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VOLUME LXVIII -

FASCICOLO SECONDO |

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DELLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
PER L'UMBRIA

VOLUME LXVIII

FASCICOLO SECONDO

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1971
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Pubblicazione semestrale - Sped. abb. post. Gruppo IV

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ARTI GRAFICHE CITTÀ DI CASTELLO
Città di Castello (Perugia)

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Le **ecomunanze,, nel quadro
della finanza del Comune
di Perugia nel primo trentennio

del sec. XV

CaAPrTOLO I

LA POLITICA ECONOMICO-FINANZIARIA DEL COMUNE DI
PERUGIA NEL CONTESTO STORICO ITALIANO DEI PRIMI
DECENNI DEL QUATTROCENTO

La fine del secolo xiv coincise in Perugia con un avvenimento
di fondamentale importanza per la possibilità di questa città di af-
fermarsi come signoria, autonoma da influenze politiche e ammini-
strative del potere della Chiesa.

Biordo Michelotti, capo dei raspanti saliti al potere dopo un'en-
nesima lotta contro i beccherini (nobili), divenuto signore di Perugia,
miró a costituire una vasta signoria incentrata nel capoluogo umbro,
capace di assicurare la propria difesa e quella delle città vicine.
Egli rapidamente riusci a collegare in un unico organismo Perugia,
Assisi, Todi, Orvieto, Norcia, Spello, Trevi, Gualdo Tadino e Città
della Pieve. Anche sul comune di Siena pensava di esercitare il suo
potere.

Con Biordo dunque Perugia poté conoscere, anche se per poco
tempo, l’illusione di divenire signoria forte, autonoma, senza vincoli
di sudditanza al papato, capace di assicurare la propria egemonia.
su tutta l'Umbria.

Ma nel 1398 Biordo fu vittima di una congiura. Naufragò un
disegno politico che, se realizzato appieno ma soprattutto consoli-
dato sotto l’egida di un signore forte e potente, avrebbe potuto ren-
dere Perugia una delle città più potenti e ricche dell’Italia centrale,
tale da gareggiare in prosperità con Firenze.
RINO FRUTTINI

Piü avanti, nel 1416, un altro condottiero ambi instaurare una
signoria su Perugia e comuni vicini ; anche Braccio Fortebracci peró
falli nel suo intento : le morti immature in questi tempi di cappa e
spada e di misture velenose provocavano sconvolgimenti politici
radicali.

La morte di Biordo fu seguita da un senso di incertezza nella
popolazione perugina, posta di fronte alle difficoltà di un'economia
in decadenza .

Probabilmente il timore di divenire facile preda di Firenze sem-
pre piü forte e ricca, indusse i perugini, sul finire del 1399, ad accet-
tare la signoria di Gian Galeazzo Visconti duca di Milano : la distanza
fra Perugia e il ducato milanese si pensava fosse un ottimo dato di
fatto, per attutire e renderne meno grave il dominio.

Non solo motivi politici erano all'origine della dedizione di Pe-
rugia al duca: il prestito di 9000 fiorini d'oro da essa contratto con
Milano, testimoniava una situazione finanziaria non brillante che fu
principale imputata della sua decadenza, come comune libero e in-
dipendente.

Il nuovo signore, riuscito vittorioso nella serrata lotta per il
possesso della contesa capitale umbra, mise da parte ogni risenti-
mento verso i nemici, desideroso soltanto di salvaguardare gli inte-
ressi dei ceti mercantili perugini e non turbare il flusso dei normali
scambi che da molti decenni avvenivano nel mercato di Firenze:
«il miglior cliente di Perugia, sia per la pesca del lago Trasimeno
come per il commercio del bestiame, dei cereali e delle lane » ?.

Infatti per mantenere una tradizione commerciale, nel passato
provvida di risultati positivi, il duca «il 6 marzo emanò un decreto
con il quale accedendo alle richieste del comune, concedeva che i
fiorentini dimoranti in Perugia potessero rimanere indisturbati ed
accudire colla massima sicurtà ai loro traffici » ®).

Evidentemente però questi provvedimenti non dettero i risul-
tati sperati.

Operatori economici con i rispettivi capitali dovettero tornare
nella loro città d’origine, Firenze, se Gian Galeazzo « mandava ai
Priori di Perugia una lettera di credito per 9000 fiorini per adempi-
mento di una delle clausole dei capitoli della dedizione » ®.

Le difficoltà finanziarie del Comune furono all’origine delle al-
terne vicende politiche che caratterizzarono la vita di Perugia nei
primi decenni del 1400. Esse culminarono con la signoria di Braccio
nel 1416. Ma l’ambizione di sempre più vasti domini e la necessità

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 3

quasi fisiologica di organizzare e concludere vittoriosamente bat-
taglie epiche, non permisero al valoroso condottiero umbro di am-
ministrare saggiamente la signoria appena costituita.

Cosicché l’irrequieto Braccio continua a svolgere la sua tumul-
tuosa attività di capitano di ventura, ora al servizio del papa, quan-
do si deve conquistare Bologna, ora contro il papa, quando la re-
gina di Napoli invoca il suo aiuto perché minacciata da Roma de-
siderosa di più ampie conquiste temporali. Finché durante l’assedio
dell'Aquila, città amica della regina Giovanna, Braccio muore in
seguito a ferite riportate in battaglia.

Questa data segna di fatto l’inizio del dominio temporale della
Chiesa su Perugia. Un dominio ben più rigido ed esoso di quanto
ne fosse stato in precedenza il controllo politico e fiscale, tantoché
le difficoltà del Comune aumentano poiché «la entrata che la Ca-
mera Apostolica cavava della città di Perugia era più dell’uscita
almeno per 25.000 fiorini all'anno » 9.

L'impossibilità di gestire autonomamente le entrate fiscali, in-
dirizzandole verso investimenti di utilità collettiva, provoca un'ul-
teriore insaprimento della crisi economica della città, con un tra-
gico epilogo nella peste del 1430. E tale data segna il limite della
nostra ricerca storica.
CaAPrTOLO II

LA STRUTTURA DELLA AMMINISTRAZIONE COMUNALE

Le corporazioni delle Arti e Mestieri con la loro organizzazione
indispensabile per intessere rapporti di affari nel mondo produttivo
e commerciale perugino, monopolizzando tutte le attività economi-
che della città e del contado, costituivano il nucleo del potere pub-
blico dal quale si diramava, articolandosi nei vari settori della vita
cittadina, la struttura politico-amministrativa del comune perugino.

Il Consiglio Generale e il Consiglio dei Priori erano emanazione
chiara, e giuridicamente riconosciuta negli statuti del Comune, della
politica condotta dalle corporazioni, risultato della deliberazione de-
mocratica degli artefici, componenti la quarantina di corporazioni
d'arti e mestieri operanti a quei tempi a Perugia.

Il Consiglio Generale era composto di 500 artefici, coi loro ca-
merlenghi o rettori.

Soltanto in casi straordinari veniva convocato l'arengo in piazza
san Lorenzo: una sorta di assemblea generale dei cittadini, convo-
cati per essere informati sulle decisioni di fondamentale importanza
per la vita del comune, prese dal Consiglio Generale e dal Consiglio
dei Priori.

Soprattutto attraverso la vitalità perenne di questo organo col-
legiale, le corporazioni perugine riescono a dare un’impronta ben
definita alla economia della città ; la quale non ricca di risorse pri-
marie («bisogna dire peraltro che mancò a Perugia il fondamento
della sua ricchezza : l’agricoltura ») 9, non avendo sviluppato in una
misura che andasse oltre la troppo limitata forma artigianale l’at-
tività manifatturiera della lana, ottenendo risultati mediocri nelle
altre attività artigianali, acquistava importanza economica per il
solo fatto che nell'Umbria nessun altro centro comunale aveva rag-
giunto maggiore importanza politica di lei.

Per la sua valida localizzazione, Perugia divenne un ottimo cen-
tro di smistamento dei vari e numerosi prodotti dei quali abbiso-
gnava tutta l'Umbria, fino a Sansepolcro ed Urbino, discreta inter-
locutrice nei rapporti commerciali che si svolgevano intensissimi fra LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 5

i comuni dell'Italia del nord, troppo occupati a sviluppare l'attività
manifatturiera in continua espansione, per organizzare l'agricoltura
ad un livello intensivo, indispensabile per le esigenze annonarie di
quelle comunità cittadine prosperose, ed il meridione che assolveva
egregiamente alla storica funzione di granaio d'Italia.

Perció la corporazione della Mercanzia e quella del Cambio ave-
vano il primo posto nelle processioni, quasi a voler dimostrare che il
benessere dei mercanti e dei cambiatori perugini era un segno cari-
smatico della benevolenza divina. E i soli stranieri, generalmente
fiorentini, che ambissero a risiedere in Perugia ottenendone la citta-
dinanza con i privilegi annessi, esercitavano l’arte del Cambio.

Nella corporazione erano distinte 4 categorie di componenti :
garzoni, lavoranti, discepoli e maestri.

I primi erano veri e propri servi delle arti, senza diritto di voto
nelle assemblee. I lavoranti formavano una classe di individui che
non possedeva ancora tutti i requisiti per figurare tra i principali
membri dell’arte.

Assimilando gli insegnamenti del maestro, i discepoli impara-
vano l’arte.

Fra queste quattro categorie vi era netta distinzione. Non si
otteneva facilmente di passare da una categoria all’altra.

Infatti mutamenti sostanziali all’interno della corporazione era
difficile che avvenissero in via ordinaria ; semmai il tempo, portando
avanti l’età dei maestri, poneva il problema della loro sostituzione,
onde garantire l'avvicendamento di responsabilità e la perpetuazione
della tecnica della lavorazione impartita ai discepoli.

Per divenire membro delle corporazioni era necessario pagare
una tassa sostanziosa : privilegio che era concesso a pochi cittadini.

Ricostruendo tutti i rapporti esistenti fra l'organismo corpora-
tivo e la pubblica amministrazione, si puó concludere che il governo
perugino fosse il vertice di una base popolare, dove il censo era ele-
mento discriminante per decidere chi avesse diritto di elezione sia
attiva che passiva.

Tutti i pubblici impieghi duravano sei mesi e al massimo un
anno e venivano distribuiti per porta. Gli « officiali » appartenevano
alle arti, e terminato il tempo del loro « officio », tornavano alla loro
consueta occupazione ?.

Dal 1400 al 1430 nonostante il susseguirsi con breve intervallo
di tempo di tre signorie (Gian Galeazzo Visconti duca di Milano,
Ladislao re di Napoli, Braccio Fortebracci da Montone capitano
6 RINO FRUTTINI

di ventura), Perugia mantenne i suoi organismi politico-amministra-
tivi; probabilmente più su un piano formale che non sostanziale
se, ad esempio, al duca di Milano era «lecito di tener sempre nella
città un suo luogotenente, senza licenza del quale i magistrati non
potevano né far consiglio né alcuna cosa di momento né anco il
luogotenente senza licenza dei magistrati » 9.

Inoltre uno dei conservatori della moneta, tesorieri del comune,
doveva essere nominato dal duca. Ogni sottomissione, infatti, signi-
ficava accettare patti più o meno onerosi per Perugia, la quale,
rinunciando a certi fondamentali privilegi di autonomia e di indi-
pendenza, otteneva come contropartita la soluzione a problemi di
ordine finanziario che le sue modeste risorse, in periodi di congiun-
ture politiche ed economiche sfavorevoli, non le consentivano porre
in «bilancio».
X

CaPrroLo III

LA SFERA DI COMPETENZA DEGLI ORGANI
FINANZIARI DEL COMUNE

Il servizio di cassa del Comune di Perugia veniva disimpegnato
nel secolo xv da tre organi finanziari: la Camera dei Conservatori
della Moneta, la Camera dei Massari e la Camera dell'Abbondanza.
La Camera dei Conservatori della Moneta, costituita da tre ufficiali,
appunto i Conservatori della Moneta, «cives perusini et de populo
perusino » eletti mediante estrazione a sorte per un periodo di sei
mesi, era l'organo finanziario più importante perché gestore di quasi
tutto il gettito fiscale del comune ?).

E perciò, nell’intento di regolare con più oculatezza le loro at-
tività, si permise che nominassero consulente un cittadino esperto e
dotto in diritto. Essi avevano l’onere di amministrare le entrate
provenienti da quasi tutte le gabelle del comune (gabella della «sa-
laia », « Comunantia acquae lacus », gabella grossa, gabella del vino
venduto nella città, borghi, sobborghi, «gabella vini et bestiarum »
del contado, gabella « comitatus » «comunantia camerarum », « ga-
bella cenciarum », «gabella panicocularum ») 19, tutte imposte in-
dirette dalle quali provenivano entrate ordinarie.

Infatti a quei tempi le imposte dirette, proporzionate al reddito
imponibile stabilito nel catasto, erano considerate fonte di entrate
straordinarie : «introitus extraordinarius » come si evidenzia nel re-
gistro N° 43 delle entrate dei Conservatori.

La distinzione risale al lontano 1234 quando si volle scritto in
pietra, chiamata la pietra della giustizia, che « né collette, né dazio,
né mista gravezza si imponesse se non per quattro cause soltanto,
cioè per fatto o del papa, o dell’imperatore, o dei romani o per guer-
ra generale che il Comune di Perugia avesse per suo vantaggio » 13),

Nel secolo xv l'esazione doveva essere fatta «per libra », cioè
proporzionata al reddito di ciascun contribuente e non « per bocca »
come era avvenuto dal 1210 in poi, con un meccanismo di esazione,
che a dire del Bartoli «spiaceva al popolo e piaceva ai nobili i quali
8 RINO FRUTTINI

avevano i loro beni esenti da gravezze per diritto feudale o li ave-
vano fuor del comune » ?2,

A noi risulta che in questo periodo l'imposta diretta o «foca-
tico », in quanto colpiva il capo della famiglia detta «focus», ve-
niva esatta dai Conservatori della Moneta ogni anno, divenendo
sotto questo profilo se non di nome, ma, quello « che più conta, di
fatto, imposta ordinaria.

Non vi può essere distinzione sostanziale tra i vari metodi di
imposizione nel meccanismo di un sistema fiscale quando eventi,
previsti come straordinari, hanno la ventura di ricorrere frequente-
mente.

Perugia in quegli anni doveva difendersi continuamente, so-
prattutto per evitare rapide manovre di assedio e di penetrazione
nella città da parte di fuorusciti. Ed è facile arguire che le guerre,
anche modeste, sono estremamente debilitanti per organismi finan-
ziarii piuttosto anemici e depressi.

I Conservatori della Moneta riscuotevano anche i prestiti sotto-
scritti sul prezzo degli appalti delle varie gabelle.

Altre entrate nelle casse dei Conservatori provenivano dall’ « in-
troitus gabelle duorum soldorum pro quolibet libra exitus super dic-
torum conservatorum » cioè una imposta sull’entrata, reminiscenza
fiscale della gabella dei contratti, che dalla fine del '300 non compare
più nei registri delle comunanze.

Comunanze e registri contabili dei Conservatori della Moneta,
nonché i registri dei Massari, rappresentano i pilastri per la documen-
tazione del sistema finanziario dell’antico Comune di Perugia.

Nei registri contabili dove vengono elencate le entrate (separate
dalle uscite anch’esse registrate cronologicamente su un registro che
diremmo oggi «libro giornale ») relative ai sei mesi durante i quali
i Conservatori restavano in carica, possiamo rinvenire ampio mate-
riale di indagine per una prudente elaborazione del bilancio del co-
mune che ci siamo proposti di illustrare, almeno per un anno signifi-
cativo del periodo che prendiamo in esame, negli ultimi capitoli di
questo lavoro.

Potremo cogliere così la sintesi dinamica del volume di ricchezze
del comune perugino che ha come epicentro l'evoluzione qualitativa
e quantitativa del «dare» e dell’«avere» degli organi finanziari
della città, risultato del potenziamento e dello sfruttamento delle
sue risorse economiche, fra le quali il commercio occupa senz'altro
il primo posto.
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La diocesi di Perugia nel secolo XIV : essa coincideva in linea di massima col contado
: del comune di Perugia.

(da Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV (Umbria) a cura di PrgrRo SELLA).
Da questa porta, a valle di Porta Eburnea, entrava in Perugia
il pesce fresco, appena pescato dal Lago Trasimeno
(Lacus Perusiae)
LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 9

L'espletamento delle funzioni della Camera dei Massari avve-
niva in modo analogo a quello or ora visto per i Conservatori della
Moneta.

Fino al 1312 tra i compiti del Massaro era anche quello di prov-
vedere agli approvvigionamenti delle vettovaglie, specie di grano,
per la città. i

Nel secolo xv, invece, i suoi compiti erano diminuiti notevol-
mente, ben circoscritti e limitati.

Cosicché la Camera dei Massari divenne sussidiaria rispetto a
quella dei Conservatori della Moneta. i

La funzione più rilevante e specifica rimase la riscossione delle
imposte giudiziarie, preceduta da una registrazione particolareggiata,
la quale metteva in risalto il fatto doloso dal quale traeva origine
lentità della pena pecuniaria 19),

I Massari erano due, generalmente religiosi, appartenenti al terzo
‘ordine dei francescani. Da loro dipendevano due notai e due fancelli.
Tenevano la contabilità in due libri, uno per le entrate e uno per le
uscite. Gli introiti di alcune gabelle, sia direttamente percepite dal
comune, sia che fossero date in appalto a privati cittadini, ed i pre-
stiti sottoscritti sull’appalto di queste gabelle venivano gestiti da
loro.

Non avevano molto peso sul gettito del comune la gabella dei
quadrupedi, quella dei banchi, quella dei pesi e delle misure, la co-
munanza dei lignatici e della calcina di Monte Malbe, la gabella
della legna e della paglia. Esse venivano riscosse dai Massari assieme
alla gabella della concordia, una tassa che il comune esigeva ogni
volta che veniva chiamato a dirimere una contesa come giudice di
pace'9. Infine la gabella dei due soldi «pro qualibet libra exitus
dictorum massariorum » oggi assimilabile alla imposta generale sul-
l'entrata, colpiva ogni movimento di denaro registrato dalle casse
dei Massari.

Nella esazione delle imposte essi dovevano tener conto del giusto
valore delle monete d'oro e d'argento. Avevano facoltà di spendere
le somme depositate nella loro camera, anche se l'erogazione non ri-
guardava la voce contabile di entrata.

Altre disposizioni sullo svolgimento delle loro funzioni «... ven-
nero emanate per la proroga di versamenti, per la stipulazione di
prestiti con interesse, per la consegna dei residui di cassa, per la re-
golarità delle esazioni » 15).

Una magistratura di grande importanza era sempre stata l'An-

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10 RINO FRUTTINI

nona, costituita da tre ufficiali e talvolta anche da piü. Infatti de-
putata all'Annona era spesso una commissione di dieci cittadini, due
per ogni porta, nominati dai Priori. Ad essi era delegato il compito
di ricercare il grano da immettere nel mercato perugino. Un com-
pito non facile considerati i gravi problemi di produzione (provocati
da una grave crisi agricola del contado) di approvvigionamento in
mercati lontani, di distribuzione del prodotto, ed infine l'aspetto non
secondario del livello dei prezzi, fattori economici interdipendenti
che determinavano una rigida politica annonaria del comune la
quale, lungi dal risolverla, inaspri la crisi economica in atto. Infatti
«... la politica annonaria, limitando gli sbocchi dei prodotti agri-
coli soprattutto dei cereali, imponendo addirittura consegne obbli-
gatorie di tali prodotti a prezzi politici...»?9 veniva a deprimere
ogni tentativo di espansione dell'economia agricola perugina.

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CAPITOLO IV

LE COMUNANZE

4) SIGNIFICATO DEL TERMINE

I] termine « Comunanza » nella sua accezione storica piü cir-
coscritta, dovrebbe indicare le rendite delle proprietà (beni immobili)
del Comune di Perugia nel periodo medioevale, cioé le entrate relative
al demanio privato. In senso stretto oggi definiremmo la comunanza
come un'entrata originaria o patrimoniale.

Ma chi esamini presso l'Archivio di Stato di Perugia i registri
contabili raccolti sotto la denominazione « Comunanze », avverte su-
bito l'elasticità con la quale gli organi amministrativi dell'epoca han-
no inteso raggruppare le piü svariate entrate, derivanti e dall'esa-
zione di imposte indirette (entrate derivate) e dalla riscossione di
redditi patrimoniali del comune (entrate originarie o patrimoniali) e
perfino da un'imposta diretta sul patrimonio (« Tenor cedule nove
imposite ») dal 1410 in poi. Esaminando questi registri dal 1400 al
1430 e precisamente i numeri 2 e 3, si evidenziano numerose gabelle,
fondamentali strumenti di contribuzione per le casse comunali '?.

La conoscenza del contenuto di ogni cedola «infilzata » nei re-
gistri è indispensabile per chi voglia comprendere l'evoluzione del
sistema tributario del Comune di Perugia dal 1300 alla prima metà
del 1400. Infatti le entrate più sostanziose devono imputarsi per lo
meno fino alla seconda metà del secolo xiv, alle rendite di beni pa-
trimoniali del comune (Comunanze) : il Medio Evo è caratterizzato
da un'economia prettamente agricola, e i cespiti degli organi pub-
blici sono quasi esclusivamente rappresentati dal demanio privato.

Perugia inoltre possiede un bene naturale, economico per il basso
costo di manutenzione e assai proficuo per la sua generosa localiz-
zazione al centro dell'Italia, equidistante dai due mari; intendiamo
quella fonte di grande ricchezza del comune perugino che fu il Lago
Trasimeno, in quei tempi «Lacus Perusiae ». La continua diminu-
zione delle rendite in natura delle poste del Chiusi, cioè la proprietà
agricola del comune, che rappresentano, fino alla prima metà del
12 RINO FRUTTINI

secolo xiv, «la base per l'attuazione di quei provvedimenti di
politica annonaria che, soprattutto in determinati periodi in re-
lazione a situazioni di scarsità nell'afflusso di cereali sul mercato:
cittadino, erano promossi dal Comune »!9, provoca in sostanza
la flessione della validità e la fine del monopolio della entrata.
« Comunanza », intesa in senso stretto, nell'ambito delle entrate del
comune. Il fenomeno sembra confermare l'opinione del Fanfani il
quale vede in questo periodo «la finanza pubblica incamminarsi
sempre più sulla strada in cui la si trova nella età moderna : alle.
grandi spese il patrimonio del principe od il demanio non possono
far fronte e non resta che attendere le forti somme occorrenti dal
gettito fiscale e dai prestiti » !9.

Ma il termine Comunanza ormai era entrato nell'uso comune:
delle formule finanziarie, per servire ad indicare una piü vasta gam-
ma di entrate.

Nei registri che abbiamo esaminato sono indicate minuziosa-
mente le condizioni alle quali dovevano sottostare sia i compratori
della gabella o comunanza, sia i contribuenti perugini. Infatti l'or-
ganizzazione finanziaria del comune non era cosi articolata da ap-
prontare un sistema di esazione delle imposte efficiente e capillare,
mediante esattori direttamente dipendenti dal comune. Ed allora,
ogni anno, viene bandito e messo all'asta l'appalto delle varie ga-
belle, due mesi prima della scadenza dell'appalto precedente, se-
condo il principio del maggior offerente *9. A questo punto potrebbe
sorgere un dubbio : se le entrate che il comune percepiva erano
imputabili a vendite, seppure temporanee (appalti) di beni patrimo--
niali e dei loro frutti, non dovrebbero forse essere classificate, se-
condo un criterio finanziario moderno, fra le entrate straordinarie:
cioè quelle entrate che «ricorrono una volta ogni tanto » ?

Si potrebbe rispondere che in periodi di emergenza tutte queste:
distinzioni non hanno significato : tutte le varie forme di imposi-
zione diretta e indiretta, ricorrono di frequente, quasi senza soluzione
di continuità; prova ne sia che a Perugia le collette, che oggi do--
vrebbero corrispondere all'imposta di famiglia e. al prestito pubblico
per il loro carattere di imposizione straordinaria determinata da bi-
sogni urgenti e imprevedibili (guerre, carestie, pestilenze), allora erano:
considerate un provvedimento di ordinaria amministrazione.

E Perugia medioevale, piccolo comune senza grandi risorse, de-
sideroso di mantenere la propria indipendenza a tutti i costi, nono-
stante gli appetiti dei vicini più potenti (come il Papa, il Comune di
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 13

Firenze, il Re di Napoli, per finire a Gian Galeazzo Visconti) e di
coloro che pur non vicini, possedevano una straordinaria capacità di
movimento e abilità di condottieri, si da organizzare scorrerie di ar-
mati per tutti i contadi d'Italia, doveva pagar cara la sua fede nei
valori della libertà. Mantenere un esercito per la difesa della città e
del contado non era impresa finanziaria da poco. E, nella migliore
delle ipotesi, quando si scendeva a tenzone cogli usurpatori, minac-
ciosamente pressanti alle porte della città era giocoforza venire a
patti con gravi ripercussioni sull'erario e, in ultima analisi, sui con-
tribuenti.

Nel periodo che prendiamo in esame la durata dell'appalto era
generalmente di un anno. In precedenza peró molte gabelle, come la
« Comunantia lignatici et calcinatorum Montis Malbe », la « Comu-
nantia del Chiusci» e la « Comunantia aquae lacus» venivano date
in appalto rispettivamente per cinque, dieci e tre o cinque anni.
L'esigenza impellente di entrate certe e cospicue a breve scadenza
l'una dall'altra per rinsanguare le esigue casse del Comune di Pe-
rugia, fece ridurre ad un anno il periodo di appalto.

Infatti se la durata dell'appalto fosse stata, ad esempio, di
cinque anni, il pagamento da parte del compratore veniva rateizzato
di anno in anno, mentre ridotta ad un anno la scadenza del contratto,
le scadenze per il pagamento delle rate del prezzo della gabella si
alternavano di mese in mese, con una continuità pressoché costante
di introiti per il comune. Ad esempio: la «gabella della lena,
della paglia e dell'erba» del 1387 veniva venduta ad un prezzo
pagabile per rata, alla fine di ogni due mesi, ai Massari del
comune.

Si potrebbe obbiettare che il fattore «entrata certa » trovava
una maggiore correlazione con la durata dell'appalto a scadenza re-
lativamente lunga (5-10 anni). Non dimentichiamo però le esigenze
dei compratori, i quali apprestavano ogni loro iniziativa imprendi-
trice a criteri estremamente prudenziali, che mal si conciliavano con
impegni contrattuali a lunga scadenza. Tutto ciò a causa di una con-
giuntura economica, conseguenza inevitabile del susseguirsi burra-
scoso di eventi politici non sempre positivi per la nostra città. Con-
giuntura che, imponendo al comune di attuare una politica di spese
ricorrenti, si rifletteva in modo decisamente negativo sulle tasche
dei contribuenti perugini.

Ma il comune proseguiva per la sua strada. Certe risoluzioni poli-
tiche si pagano. E chi paga è il compratore della gabella, per rivalersi
14 RINO FRUTTINI

poi con l'aiuto di una buona schiera di esattori (« offitiali») sui cittadini.

Abbiamo detto: « compratore ». In genere però la gabella era
venduta a più compratori i quali, nel contrattare l’acquisto e nel-
l’organizzare il sistema di esazione della gabella, costituivano una
società di persone. In un protocollo notarile del notaio ser Cristo-
fano di Biagio nell'anno 1410, 8 dicembre ®), sono verbalizzate le
condizioni di un contratto di società tra dodici persone per l'acquisto
della gabella del vino che si vendeva al minuto per il tempo di un
anno. Un certo Massolo era stato assunto come tesoriere della so-
cietà. Il prezzo pattuito della gabella fu di 2605 fiorini « secondo ciò
che è stato stabilito per la gabella dal tesoriere del Re e dai Conser-
vatori delle Monete ». Lo scopo e la durata della società era molto
limitato, coincidendo con la natura economica e con la scadenza
della gabella ; rivelava prudenza nell’azione commerciale dell’appal-
tatore perugino. Tra l’altro le ipotesi di insolvenza e di evasioni fi-
scali dei sudditi o il timore di verificarsi eventi straordinari, sovver-
titori dell'ordine costituito (tutt'altro che improbabili in quei tempi
dove le guerre, le carestie, le pestilenze si alternavano fatalmente)
imponevano ai compratori (in genere opulenti mercanti) il fraziona-
mento del rischio. Cosicché la costituzione di società temporanee
divenne un ottimo espediente cautelativo ed una fonte non indiffe-
rente di lauti profitti.

Ciò conferma la tesi del Fanfani: «... la finanza ordinaria e
straordinaria fornì occasioni di affari ai mercanti e ai banchieri che,
quali appaltatori e riscuotitori di gabelle o concessionari di prestiti
collaborarono attivamente col fisco per tutto il Medio Evo, ritraen-
done forti lucri e sfruttando per di più a vantaggio dei propri com-
merci posizioni privilegiate ad esse connesse » ?2).

In conclusione entrate certe ed immediate pervenivano al co-
mune condizionando il sistema finanziario nel modo descritto.

D’altra parte altrettanto immediata era l’erogazione dei fondi
disponibili per sostenere spese straordinarie che vuotavano le casse
del comune. Il quale, di fronte a certe necessità di ordinaria ammi-
nistrazione, come lo stipendio ai propri dipendenti, numerosi ed usi
percepire buone remunerazioni, ricorreva alle collette e addirittura
a prestiti presso altri comuni temporaneamente amici (Firenze, Mi-
lano). E così veniva provocata una pericolosa correlazione fra en-
trate straordinarie da una parte e uscite ordinarie dall’altra. Avremo
modo in seguito di esaminare più attentamente questo interessante
fenomeno di imprevidenza amministrativa.
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 15

b) ELENCO DELLE COMUNANZE

Per dare al lettore un quadro preciso della struttura e delle
componenti il sistema tributario del Comune di Perugia, riportiamo
qui di seguito in ordine di importanza le varie gabelle in vigore dal
1400 al 1430, contenute nei registri N° 2 e 3 delle « Comunantie »,
delineandone le caratteristiche tributarie.

1) Comunantia fructi aquae lacus: entrata derivante dal pa-
gamento del prezzo dell'appalto della gabella sul pesce pescato nel
lago Trasimeno.

2) Comunantia gabelle grosse et pedagi : imposta sull'entrata e
l'uscita di beni attraverso il contado e la città.

3) Gabella vini: imposta sul vino venduto all'ingrosso e al
minuto nella città e nel contado.

4) Gabella de la salaia : monopolio del comune nell'approvvi-
gionamento e nella vendita del sale.

9) Gabella lignorum et palearum : imposta sulla quantità di
legna tagliata nel demanio comunale di monte Malbe.

6) Gabella quadrupedum : imposta sul macello della carne bo-
vina, ovina, suina.

7) Gabella panicocolum : imposta sulla produzione del pane.

8) Cedula nove imposite : imposta diretta sul patrimonio fa-
miliare.

9) Comunantia postriboli : imposta sul postribolo.

10) Comunantia pasture Chiuscii : tassa di pascolo sulle pro-
prietà comunali del Chiusi.

11) Comunantia campionis carnium : entrata derivante dalla
gestione di uno spaccio di carne tenuto nella piazza del Sopramuro.

12) Comunantia pasture et pedatarum montis Malbe : tassa di
pascolo e imposta sul pedaggio e sugli armenti transitanti per il
monte Malbe.

13) Comunantia lignatici et calcinatiorum montis Malbe : im-
posta sulla quantità di legna e pietrisco raccolta sul monte Malbe.

Le condizioni alle quali le suddette gabelle venivano date in
appalto e i sistemi di imposizione stabiliti dal comune, che gli ap-
paltatori dovevano rispettare nell'espletare la riscossione delle im-
poste, sono contenuti nel primo gruppo dei registri che abbiamo
indicato già in precedenza. È interessante notare che il testo delle
gabelle, detto « Cedula », è scritto in volgare perché si potesse com-

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16 RINO FRUTTINI

prendere da tutti i cittadini mentre, in genere, i documenti che ve-
nivano stilati dai notai degli organi comunali erano scritti in latino,
anche se volgarizzato (come i libri di computisteria, i verbali delle
sedute del Consiglio dei Priori, gli Statuti ecc.).

Il testo di tali registri ha costituito la base del nostro studio e
ci ha permesso di poter dare un quadro abbastanza completo ed or-
ganico del sistema di imposizione ed esazione tributaria dal 1400 al
1430 vigente nel Comune di Perugia.

C) I CAPITOLI DEGLI APPALTI DELLE COMUNANZE

Il Fabretti, nel vol. 11 dei suoi Documenti di storia perugina,
riporta il testo integrale di alcune tra le gabelle più importanti,
come la gabella del vino, la gabella grossa, la gabella della legna e
della paglia, che anche noi abbiamo rilevato dai registri pergame-
nacei dell'Archivio di Stato di Perugia per gli anni che interessano il
nostro studio, insieme ad altre gabelle di fondamentale importanza
per il gettito del comune. Basti pensare che la comunanza dei frutti
dell’acqua del lago Trasimeno costituiva il 15% delle entrate co-
munali e l’introito della vendita del sale raggiungeva il 25% del
gettito erariale.

Queste aliquote fiscali verranno esaminate in modo dettagliato
nel capitolo rx, dedicato all'elaborazione del bilancio consuntivo del
comune.

Ora, esaminando le condizioni di appalto delle gabelle contenute
nei registri, cerchiamo di mettere in luce i rapporti che legano i cit-
tadini agli organi pubblici ; rapporti duplici: vediamo infatti da una
parte i cittadini soggetti ad imposta, dall'altra alcuni degli stessi
cittadini divenire strumenti esecutivi, in qualità di appaltatori ed
esattori di imposte, delle deliberazioni del comune in materia tribu-
taria. E questo é senz'altro uno degli aspetti piü caratteristici del-
l'economia medievale.

Il mercante, o una società di mercanti, puó essere investito della
legittimità all'accertamento e alla riscossione delle imposte. Viene in
tal modo a porsi su un livello di superiorità giuridica nei confronti |
degli altri cittadini, in quanto organo del pubblico potere nell'esple- |
tare aleune mansioni finanziarie alle quali tutti i cittadini devono |
sottostare perché imposizioni di legge. Cosicché la classe dei mercanti |
con l'appaltare le gabelle, accentra un duplice potere: economico,
proporzionato alle rispettive ricchezze capitalizzate con l'esazione delle
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«In nomine domini. Amen. Hic est liber sive quaternus continens in se omnes et singulos exitus...»
(A.S.P., Archivio Storico Comune di Perugia, Conservatori della Moneta. Reg. n. 43, c. ir). X Xp seruo ENI SO TO
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E il seguito del registro precedente. Si noti la lunga motivazione di ogni uscita con le formalità di rito.
A lato della pagina ne veniva registrato l'importo. AZ nyc Ie Ito ts t PMID.
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 17

gabelle, e politico-sociale, risultato non tanto di una partecipazione
creativa tramite l’organizzazione dell’Arte, alla vita cittadina con i
suoi problemi di ordine amministrativo, quanto conseguenza del pos-
sedere un capitale più o meno grande che permetteva di prendere
in appalto gabelle, con entrate e rapporti di affari proporzionali al
capitale stesso.

È sostanzialmente un giro vizioso nella formazione di « nuova
ricchezza »; l'espletamento di una funzione di pubblica utilità di-
viene strumento di formazione di profitti capitalistici ; un investi-
mento come un altro per il mercante che vuole mettere a profitto e
non tesaurizzare i fiorini accumulati.

Naturalmente venivano a crearsi posizioni di monopolio, sapien-
temente sfruttate e mantenute dal mercante appaltatore, le quali
erano anche particolarmente odiose al popolo, perché la facoltà di
disporre della forza concessa dallo Stato, induceva abbastanza spesso
gli appaltatori ad abusare senza scrupoli della loro posizione 29).

Dal momento che, come abbiamo già detto, l'esazione delle im-
poste si faceva frequentemente per appalto e molto raramente a
percezione diretta, era necessario che il riscontro delle entrate fosse
preventivo, mediante vigilanza sugli appaltatori da parte delle Ca-
mere. Non é da meravigliarsi pertanto che i capitoli di appalto delle
gabelle ponessero delle condizioni ben precise e minuziose, addirit-
tura pedanti per gli interessati.

La Gabella della Salaia

Cominciamo dunque ad esaminare le condizioni di appalto della
gabella sulla vendita del sale, il meccanismo di esazione del tributo,
il sistema di distribuzione del sale nell'ambito della politica annona-
ria del Comune di Perugia che imponeva l'approvvigionamento pres-
so i mercanti fornitori e la ripartizione del sale in quantità tale da
garantire il fabbisogno annuale dei cittadini.

La gabella della salaia che abbiamo trascritto interamente dal
registro N° 3:9 contiene numerosi capitoli. Il primo riguarda il
compratore della gabella. Egli é tenuto a fare «canava » del sale,
cioè magazzino per la conservazione del sale «nella piazza di So-
pramuro dove debba tenere sale mercantesco, buono, puro, netto e
bianco ». Qui egli poteva vendere il sale ai cittadini di Perugia. La
vendita era soggetta a calmiere poiché «i detti compratori possono

2
18 RINO FRUTTINI

costregnere ciascuna persona che possedesse beni stabili stimati nel
catasto di Peroscia a togliere el sale per la lira d'essi beni...».
Ogni libbra (Kg. 0.329) costava 2 soldi. Ciascun cittadino e conta-
dino abitante del contado «che godono el beneficio de la civiltà i
quali sono allibrati fino a 25 libbre inclusive di denari, sieno tenuti
a togliere fino a 10 livere per tutto l'anno»; gli allibrati dalle 25
alle 50 lire potevano «togliere 15 livere di sale per tutto l'anno»;
da 50 fino a 100 lire di denari venivano assegnate 20 libbre di sale ;.
e infine dalle 100 lire in su 20 libbre di sale « per centinaio del suo
catasto ... E il quale sale se degga togliere di 6 mesi in 6 mesi nei
primi 2 mesi di ciascun 6 mesi e così pagare. E che i cittadini, i quali
non hanno catasto, deggano togliere con quelli che hanno 25 libbre,
cioè 10 libbre di sale all'anno. E che ciascuna altra persona allibrata
e non allibrata abitante nella città, borghi e sobborghi de Perusia
sia tenuta a togliere e pagare al detto sale a ragione de 18 libbre di
sale per bocca nei termini sopradetti ».

Il sale dunque veniva distribuito in una quantità proporzionale
allo imponibile del cittadino, quale risultava dallo « armario » (ca-
tasto) e in base al numero di «bocche » (da quattro anni in su) per
ogni famiglia.

Il monopolio del comune nell’approvvigionamento e nella di-
stribuzione del sale, intesa come assegnazione obbligatoria di esso
contro pagamento, sono le caratteristiche preminenti di questa ga-
bella. Su di essa il comune poteva fare affidamento per un gettito
sicuro e costante negli anni. D'altra parte nella scala prioritaria
delle risorse naturali del comune, posto preminente era assegnato
alle saline. Era logico pertanto che «... tutti quei comuni che di-
sponevano di proprie saline si sforzassero di organizzare in mono-
polio dello Stato la produzione, distribuzione e commercio del Sale.
e quelli che non avevano sorgenti proprie, ne hanno tuttavia mono-
polizzato la distribuzione e il commercio » 25).

Gli abitanti del contado erano tenuti ad acquistare 18 libbre di
sale per ciascuna bocca. Infatti il sindaco di ogni castello e villa del
distretto di Perugia doveva preoccuparsi di ritirare la quantità di
sale assegnata alle suddette comunità presso la «canava », dopo
aver compilato la «segna » delle persone che vivevano sotto la sua
giurisdizione. Dalla distribuzione del sale erano esclusi « queglie con-
tadine e queglie stessero per fante con alcuno cittadino»: una
clausola del comune per limitare il fenomeno dell’urbanesimo che,
esasperato, poteva avere conseguenza letale sull’agricoltura.

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 19

Ciascuna persona che «non togliesse en fra l’anno il sale che
gli spettava per libbra o per bocca perda il sale e paghi 18 denari
per libbra di sale di quello che non togliesse ». Da questa clausola
possiamo rilevare l'obbligatorietà del prelevamento del sale per ogni
cittadino e la natura strettamente fiscale della Comunanza.

Il compratore della gabella aveva diverse facoltà. Fra l’altro
poteva «costregnere ciascuna persona che avesse beni stabili sti-
mati nel catasto di Perugia a togliere il sale per la lira d’essi beni,
posto che non l’avesse nel suo catasto et etiamdio se fossero beni
del Comune i quali beni fossero stati donati o conceduti o per qua-
lunque motivo li tenesse o possedesse. E se tali beni non fossero
stimati, i Conservatori li devono stimare a richiesta dei detti com-
pratori e sotto la pena di 50 libbre per fare questa stima ».

Alcune condizioni cui dovevano sottostare i compratori della ga-
bella: essi «non possano né deggano mettere alcuna quantità di
sale né bianco né bruno che non sia prima approvato per lo tesoriere
e conservatore essendo tra loro in concordia che il sale sia buono,
puro, netto e mercantesco . . . ».

Una condizione riguarda le modalità di esazione della gabella
da parte dei compratori: «anco che i ditti compratori aggiano ter-
mine uno anno a rescuotere dopo la fine del loro tempo. E si durante
el dicto anno alcuno castello fosse in ribellione o in contumacia del
magnifico signore Braccio o del Comune, che aggiano termine a re-
scuotere entro uno anno dal dì che revenisse a l’ubbidienza del Si-
gnore o del Comune ». Inoltre i compratori dovevano rifondere a
loro spese i casseri di Santo Antonio e di Sant'Angelo con some 15
di sale, di libbre 300 la soma (Kg. 1486,5).

Per quanto riguarda le modalità di pagamento per l’acquisto
della gabella, esso doveva effettuarsi in quattro tempi in un anno,
cioè «... el primo dì ch'ella recede a tre mesi e così successivamente:
di tempo in tempo il resto ».

La documentazione disponibile non ci ha permesso di poter sta-
bilire con certezza se i compratori della gabella, oltre ad avere com-
piti di distribuzione del sale, avessero anche quello di reperirlo pres-
so i mercati di approvvigionamento. Parrebbe di sì, se generaliz-
ziamo il fatto che « Meo de Ser Nicolò e Compagne, compratore de
la salaia presente», erano in grado di approvvigionare i compratori
della gabella (in questo caso loro stessi) di ben 200 some di sale
(197 quintali) «per quillo prezzo e a quilla ragione che viene el
dicto sale posto » cioè senza maggiorazione di prezzo.
RINO FRUTTINI

Pene severe erano comminate ai venditori abusivi di sale: 10
soldi per ciascuna libbra di sale fino alle 100 libbre, 20 soldi per lib-
bra di sale oltre le 100 libbre e «degga perdere il sale. E se fosse
condannato la seconda volta glie se dupliche la pena, e la terza glie
se quadrupliche e oltra ció glie se tolga la mano mancina ». Si puó
comprendere come vi fosse espresso divieto «per ogni persona, co-
mune, collegio, corpo o qualunque dignità, ufficio benefico o premi-
nenza ad esse (di) mettere né far mettere ne la città, contado o di-
stretto de Perusia alcuna quantità di sale... Questo non si intenda
per queglie compratori, né anco si intenda per queglie che portas-
sero sale cum bullettino d'esso compratore o de gli ufficiali o com-
pratori de la gabella grossa. E che a ciascuno sia lecito a restare,
prendere o tenere qualunque gisse contro el contenuto d'essa salaia.
Ed essi presentare davanti al Podestà o Capitano o ad essi compra-
tore»

Il sale, come già detto in precedenza, era soggetto ad una re-
gime monopolistico ; ció al fine di rimanere nei limiti di una politica
annonaria, indispensabile in quei tempi di guerre, di lotte intestine
fra nobili e popolari, fra governo e fuorusciti.

Ci fa piacere constatare di non essere i soli a raggiungere questa
conclusione. Infatti il Luzzatto nella sua opera che abbiamo già ci-
tato avvalora sostanzialmente la validità della nostra ricerca quando
parla di... «alcuni comuni dell’interno (i quali) si valgono di questo
monopolio come di un vero strumento d’imposizione, obbligando tutti
i sudditi, di ogni età e classe sociale, allo acquisto di determinati
quantitativi di sale ad un prezzo molto superiore al suo costo ». Le
autorità comunali erano così rigide nel mantenere lo «status quo »
da prevedere pene molto severe per i violatori della legge, soprattutto
se questi erano i compratori della gabella. Infatti: « Anco si alcuno
dei detti compratori, o guardie o altro loro ministro fosse de tanta
presunzione che per qualunque modo o via o per qualunque quesito
colore facesse o per sé o per altrui alcuno patto o convenzione con
alcuno che fosse trovato fraudare la detta gabella contro la detta
forma, ovvero lasciasse andare chi fosse preso ipso facto, caggia in
pena de 500 libbre e sieglie tagliata la lingua e che il Podestà o Ca-
pitano sieno tenute de procedere sotto pena de libbre 500. E cia-
scuno ne possa essere accusatore. E che omne persona che accusasse
davanti al Podestà o Capitano o ai detti compratori chi facesse
contro ai presenti capitoli aggia la quarta parte de quella pena che
facesse mettere in Comune ».
LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 21

Nei confronti dei contribuenti morosi, gli appaltatori della ga-
bella avevano un potere di «sequestro dei frutti de ciascuna libbra e
possessione ».

Uno dei tanti compiti dei compratori era quello « di investigare
o fare investigare per le ensalate e chi avesse ensalato da 3 porcie
en su possa essere costretto dai detti compratori a dire da dove
avesse avuto el sale e se fosse trovato commettere fraude caggia in
quella pena che si esso mettesse el sale nella ditta città. E qualunque
ensalasse da 3 porcie en su ensalandoglie per vendere, glie degga
assegnare ai dicti compratori fra 8 di e deve chiarirgli onde avuto
el sale so la dicta pena ».

Nella distribuzione del sale un trattamento privilegiato era ri-
servato agli abitanti di Castiglion Chiusino i quali «sieno tenuti a
togliere 35 some di sale de 300 libbre la soma (35 quintali) e non piü
a ragione de 10 denari la libbra ». Inoltre «gli omene del castello
de Montone » luogo della nascita di Braccio Fortebracci, erano esen-
tati dal pagamento della gabella, mentre altre agevolazioni erano
previste per la comunità del castello di Coccorano (Corciano).

Le «miserabili persone » che fossero tali in base alla dichiara-
zione dei Conservatori della Moneta, potevano prelevare una quan-
tità di sale inferiore a quella che spettava loro secondo i regolamenti
stabiliti. Alcune riduzioni della gabella erano concesse ai frati di
santa Maria del Condotto, allo Spedale de Santo Francesco de Porta
sancta Susanna e delle monache de Valle Fabreca. Quest'ultime erano
addirittura esentate dal pagamento.

Una facilitazione e riduzione di pagamento era concessa a quei
contadini «che sono stati assenti e sono tornati» e «a quei fore-
stieri che di nuovo tornassero ». Essi (i contadini) infatti non sono
«tenuti né possano essere costretti a togliere el sale se non 12 lib-
bre di sale per bocca a ragione di 12 denari per libbra »: un piccolo
espediente nel quadro di una politica agricola volta a ripopolare il
contado perugino e i possedimenti del Chiusi che già dalla seconda
metà del secolo xiv mostravano i segni di una grave decadenza della
economia agricola perugina, modesto paradigma di un processo cri-
tico ben più ampio che dalla peste nera del 1348 porta l'agricoltura
medioevale « da una fase di rinnovamento » a «una fase di stasi » 29).
Palliativi dunque che lasciano il tempo che trovano di fronte al
permanere di una situazione di fondo estremamente grave per l'eco-
nomia agricola perugina.:
22 RINO FRUTTINI

Gabella della Legna

Dal registro delle Comunanze, N° 2, carta 212 e seguenti, si è
trascritto per intero il testo di un'altra gabella di discreto apporto
per le entrate del comune.

« Vendase la gabella de le some de le lene, de la paglia e de
l'erba e de piü altre cose de socto specificate per tempo de un anno ».
Cosi inizia la cedola dove vengono trascritte le condizioni di appalto
della gabella sulla vendita di paglia, fieno, foraggi ed altre erbe.

«12 denari per ciascuna soma de lena...» dovevano pagare i
commercianti che si recavano a venderla nella città, borghi e sob-
borghi di Perugia. I compratori della gabella dal canto loro dove-
vano pagare il prezzo, quale risultava dall'asta, « per rata de mese en
mese ai massari del Comune ».

Un'imposta, che oggi definiremmo addizionale, colpiva inoltre
« ciascuna soma ?? de cerchie d'olmo o de falce o de castagni » nella
misura di soldi 15, (le cerchie non erano altro che i cerchi per costruire
le botti) e « ciascuna soma de cerchie de cercua o de cerro » per soldi
3; inoltre « ciascuna soma de perteche de olmo o de falce o castagno
che s'arrecassero per fare cierchie per vendere » (soldi 2 per soma);
infine «per ciascuna soma facta de biconze o de bariglie soldi 6 ».

| In tal modo questa gabella veniva a colpire le varie fasi di lavora-
zione delle botti e in genere di ogni recipiente di legno. Dalla materia
prima («lena») ai semilavorati («cerchie de olmo o de falce ») per
finire ai « bigonze o bariglie »: nessuna manifestazione di ricchezza,
anche se produttiva, sfuggiva all'esoso fisco del comune.

Gabella de le Panicocole, Forestieri e Albergatori

Il grano, un bene di prima necessità trasformabile in prodotto
di largo consumo, naturalmente era soggetto ad imposta all'atto
della lavorazione : la imposta del macinato.

La gabella che prendiamo in esame riguarda sostanzialmente la
imposta sul macinato anche se, in alcuni capitoli, la cedola regola il
razionamento di grano e farina per i panicocoli (rivenditori di pane)
e per i forestieri che soggiornassero a Perugia. I panicocoli per ven-
dere farina o pane dovevano aver ottenuto la licenza dai gabellieri.
Essa poneva limitazioni di tempo e di quantità nella vendita. E

VISA VIRATA

E LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA. FINANZA DEL COMUNE 23

evidente infatti la preoccupazione del comune di controllare il con-
sumo di un bene che non sempre era abbondante a Perugia. Ed il
Mira lo conferma nel suo lavoro, in corso di pubblicazione, dedicato
alla politica annonaria del comune di Perugia nei secoli xir e xiv,
laddove evidenzia le difficoltà di approvvigionamento per un co-
mune dove la crisi agricola, fenomeno generale di una società in
via di trasformazione, assume aspetti ancora piü gravi che altrove,
per la mancanza di un fertile ed esteso contado.

In tale contesto socio-economico la gabella dei panicocoli (o del
macinato che dir si voglia) e dei forestieri riveste un notevole inte-
resse. Una volta esaminatene le caratteristiche, appariranno ancora
piü evidenti le sue implicazioni economico-finanziarie nello svolgi-
mento dell'attività economica della popolazione.

Come tutte le altre gabelle, anche la gabella dei panicocoli ve-
niva data in appalto a privati cittadini, per la durata di un anno.
A loro disposizione erano i locali con la stadera, dove avveniva la
pesa del grano che sarebbe stato poi condotto alla macinatura.

Osserviamo la dinamica dell'umposizione e dell'esazione della
gabella. Chiunque volesse macinare grano, prima di recarsi dal mu-
gnaio doveva fare tappa presso «il banco dove s'é colto e se coglie
la dicta gabella de le panicocole e forestiere ». Avvenuta la pesatura
‘e riscossa la gabella nella misura di 9 soldi per ogni «centonaio »
di grano pesato, il gabelliere rilasciava una polizza in duplice copia,
nella quale era indicato «el dì, el nome de colui che è el grano, la
quantità del biado e l'impronta...» del gabelliere. Al mugnaio, as-
sieme al grano da macinare veniva consegnata la copia della polizza
(oggi la definiremmo una bolla di entrata) la quale era «infilzata »
secondo la tecnica consueta ancor oggi ai nostri rivenditori di carne
e droghieri, nel raggruppare le carte per il confezionamento della
merce. Ogni mese le polizze venivano ritirate dai messi dei gabellieri
per controllare l’identità del duplicato con la copia originale della
polizza in loro possesso. Il mugnaio inoltre doveva tenere aggior-
nato un «bastardello » cioè un libro giornale, indicando per ogni
cliente il peso del grano consegnato per la macinatura, quale risul-
tava dalla polizza, ed il peso della farina una volta avvenuta la ma-
cinatura. Se i due pesi (cioè il peso del grano indicato nella polizza
ed il peso della farina ottenuta dopo la macina) non coincidevano,
era suo dovere «... suggellare » la farina e chiamare i gabellieri i
quali avrebbero poi provveduto a punire l'evasore fiscale, nella mi-
Sura in cui il peso di grano indicato non coincideva col peso della
24 RINO FRUTTINI

farina ottenuta. La pena prevista era di « denari 12 per ciascuna lib-
bra de farina che recassero meno ».

Con il sistema della polizza rilasciata in duplice copia, i gabel-
lieri potevano espletare un duplice controllo, all'atto della pesatura
della farina, ottenuta dalla macina del grano presso il mugnaio ;
inoltre potevano riscontrare, mediante il ritorno mensile delle po-
lizze e del bastardello presso di loro, l'avvenuta trasformazione del
grano in farina secondo la quantità e le scadenze indicate nella po-
lizza all'atto della sua emissione.

Infatti affinché il controllo potesse essere ancora piü minuzioso
e desse garanzia nel tempo, la validità della polizza era limitata a
«... cinque di al Tevere e gli altri fiumi o fossati otto di»; cioè il
termine di validità era di 5 giorni dal giorno della sua emissione,
perché il grano venisse macinato presso i mulini situati lungo il
Tevere e di otto giorni per gli altri mulini.

La vendita di grano e di farina, nonché la trasformazione della.
farina in pane, anche se non soggetta ad imposta, tuttavia erano
seguite da un attento controllo. Infatti il testo della cedola dice te-
stualmente: «... i fornari per veruno quesito colore possano ven-
dere né fare pane né farina senza espressa licentia dei compratori
de la dicta gabella ». Detta licenza aveva dei limiti di validità nel
tempo («... che la polizza valga a le panicocole e panicocoli del
contado tra tre di e non di piü e agli cictadini ogni cinque di») e
nella quantità di pane da vendere («... della quale farina se dega
assegnare el pane en fra el termene de la polizza »).

Vediamo ora le disposizioni annonarie circa l'assegnazione del
grano ai forestieri. A coloro che soggiornassero a Perugia senza ri-
chiederne la cittadinanza, venivano assegnate due corbe di grano
«... a bocca de quattro agne en su...». L'imposta, cioè il prezzo
che pagavano per ogni corba di grano loro assegnata, aveva aliquote
differenti a seconda delle attività svolte che la gabella prevedeva
articolata in tre gradi: «... el primo sia questo : che ciascheduno
mercatante, cambiatore o altre artefice forestiero che trafficassero
en grosso degano assegnare tucte le loro bocche per doie corbe de
grano e deggano pagare la tabella a ragione de libbre sei e soldi quin-
dici per ciascheduna corba de grano ».

Al secondo grado appartenevano quei forestieri che «... traf-
ficassero meno en grosso » i quali erano soggetti ad una aliquota di
4 libbre e 10 soldi per ogni corba.

Infine quei forestieri che non «avessero avetato ella cicta, bor-

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA. FINANZA DEL COMUNE 25

ghi e sobborghi de Peroscia per tempo de 20 agne, ei quali traffe-
cassero non tanto en grosso o poco e omne altra persona forestiere
de qualunque stato o condizione sia » erano soggetti ad una aliquota
di 45 soldi per ogni corba di grano.

Erano esenti dal razionamento di grano alcune personalità, fra
le quali il re, il suo luogotenente, la gente d’armi, gli ebrei «...
purché godessero del beneficio de la civiltà », i «doctori forestieri
che fossero qui per motivo de studio » ed inoltre i «... fiorentini
mercanti, cambiatori ed altri artefici fiorentini quale continuamente
exercitasse qualche arte de le quarantaquattro » purché richiedes-
sero il domicilio in Perugia.

In tali norme, pur nella salvaguardia di precisi limiti di politica
annonaria che stabilivano un razionamento di due corbe di grano
all'anno per ogni forestiero che soggiornasse a Perugia, rileviamo la
preoccupazione delle autorità comunali di incrementare gli scambi
commerciali di Perugia con l'esterno, articolando la aliquota di im-
posta a seconda dell'interesse commerciale che poteva costituire il
forestiero ad essa soggetto.

(Riportiamo in appendice, al N° 2, il testo integrale della
cedola relativa alle condizioni di appalto della gabella delle pano-
cocole del 1409).

Comunanza di Monte Malbe

Monte Malbe, uno dei possedimenti del comune, costituisce una
duplice fonte di ricchezza : per la natura dei suoi prati e per la legna
dei suoi boschi e le pietre delle sue cave.

A due diverse sorgenti di guadagno non potevano che corri-
spondere due comunanze distinte: «gabella pasture et pedatarum
montis Malbe » e « gabella calcinatorum et lignorum montis Malbe ».

Dal registro N° 2, c. 240 e segg. e c. 211, rispettivamente per la
prima e la seconda gabella, abbiamo estratto i vari capitoli di ap-
palto. Cinque anni é la durata dei due appalti.

La prima gabella imponeva a chi volesse transitare con bestie
0 con ceste per monte Malbe, o volesse far pasturare i propri armenti,
di richiedere licenza al compratore previo adeguato pagamento :
«... che a niuna persona sia lecito né possa usare né pasturare con
niuna bestia grossa né menuta ne lo dicto monte né pedate d'esso
senza licentia de li compratori d'essa comunanza a la pena de cinque
livere de denaro per ciascuna fiada » ?9.

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RINO FRUTTINI

La seconda gabella è più complessa della prima. Lo appaltatore
doveva organizzare un servizio di vigilanza intorno al monte, una
guardia «al passo de s. Marco e al passo de la Stenda del Pian de
Massiano e togliere quillo che per glie dicte (compratori) parrà o
piacerà per ciascuna soma de lena avessero, fascio o altra quantità
de lena o pietra che se traesse del dicto monte ».

Occorreva una licenza per tagliare legna a monte Malbe, rila-
sciata contro pagamento di 12 denari per ciascuna soma di legna.
Non bisogna dimenticare che il concedere o meno questa licenza di-
pendeva esclusivamente dai compratori i quali avevano acquistato
«el fructo de la comunantia de monte Malbe, cioé la lena e taglio
d'essa lena » e la proprietà «de la calcina e pietra d'esso monte per
tempo dei 5 agne...», «pagando el prezzo d'essa (comunanza) de
anno in fine de ciascuno anno, preservata la ragione de la pastura
e pedate d'esso monte ».

Comunanza della Pastura e delle Poste del Chiusci

Rimaniamo nel settore agricolo. Nel registro N° 2 delle Comu-
nanze è riportato il testo della gabella della pastura del Chiusci re-
lativa agli anni 1414-1414 bis, 1418 e nel reg. N° 3 p. 74 e la « ga-
bella del frutto rendite e proventi delle infrascritte poste del Chiusci
...» relativa all'anno 1426.

Cosicché la comunanza «del Chiusi perugino, cioè tutto il ter-
reno che il comune ha fra il lago e le Chiane, colto incolto selvato e
non selvato da Cortona al lago, da Spedaletto al Tresa, da Fossato
Maggiore a Maiano della Chiana fino a la via che va a San Proculo
fino a Castel della Pieve » 2° che veniva data in appalto per un anno
nei primi decenni del secolo xiv, dette origine, nel xv secolo, a due
nuovi cespiti per l’erario del comune.

Il Mira nel suo lavoro più volte citato, tratteggia l’andamento
parabolico dell’entrata in natura del Chiusi per i primi decenni del
secolo xiv: da 9000 corbe di grano nel 1309 venne raggiunta la
punta più elevata nel 1321 con 15.000 corbe di grano, per iniziare
la fase parabolica discendente fino alle 5000 corbe di grano nel 1330.

Nei decenni seguenti il trend regressivo non sembra mutare, an-
che se il fenomeno assume un andamento costante : in media dal 1351
al 1384 le entrate oscillavano intorno alle 2700 corbe di grano l’anno.
Fattori congiunturali geograficamente circoscritti, conseguenti e
COEPI ARENA

LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 27

determinanti, con una interdipendenza di fenomeni, la crisi agricola
medioevale (e il Mira é stato accorto interprete di questa problema-

tica) sono gli imputati di un processo critico dell'agricoltura peru-
gina negli ultimi decenni del secolo xiv e, per quello che ci riguarda

durante i primi del secolo xv. Che anzi la crisi agricola in questo
periodo sembra aggravarsi ulteriormente.

Cercheremo di avvalorare questa affermazione, posta per ora
come ipotesi; ma seguendo un metodo empirico di ricerca, senza la

presunzione di enunciare una verità assiomatica, ci proponiamo di
raggiungere una tesi attendibile.

La storia di Perugia del Pellini agevola molto il nostro compito.
Anno 1399 : «era stata dal marzo fino al settembre in Perusia tanta

gran pestilenza che non sono mancati quelli che hanno detto che fra

il contado e la città vi morissero da trenta in quarantamila persone
sto),
Non solo : in questo periodo i perugini vivono in continua ten-

sione, non essendo « mai sicuri della mente del Papa, il quale dopo

aver ottenuto, primo dopo tanti predecessori la intera Signoria di

Roma, tanto più agognava a quella di Perugia...»*?. E tale ner-
‘vosismo era più che giustificato se Perugia, contrariamente alle sue
tradizioni diplomatiche che ostentavano piena coincidenza colla linea
politica della Chiesa, proclamava la sua dedizione prima a Gian Gá-
leazzo Visconti duca di Milano (anno 1400) poi a Ladislao re di
Napoli (anno 1408) : due personaggi il cui ambizioso disegno di con-
quistatori dell'Italia intera rendeva nemici dichiarati del papa, in
quanto sovrano di un potere temporale con mire espansionistiche.

Ma Perugia non prendeva mai posizioni nette e precise, mante-
nendole coerenti nel tempo. Ora guerra, ora rappacificazione col

papa. «Quindi, dopo aver speso per fargli guerra, bisognava spen-

dere affinché ei (il papa) mantenesse la pace...» (fiorini 11.670,

oltre il censo normale che gli spettava) ?2).

E col passare degli anni le preoccupazioni dei perugini non si

affievoliscono, anzi diventano incubi. E l'incubo maggiore nel 1410
il nobile fuoruscito Braccio Fortebraccio con le sue frequenti scor-
rerie attraverso il contado perugino.

In simili frangenti quale imprenditore agricolo perugino avrebbe

avuto il coraggio di investire il suo patrimonio, anche per un anno
su un bene la cui alea andava progressivamente aumentando ? Prova

ne sia che nei registri delle comunanze degli anni 1410-1437 il testo

dell'appalto delle comunanze del Chiusi non viene riportato. Ció, a

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28 RINO FRUTTINI

nostro avviso, dimostra che effettivamente nessun appalto venne
bandito per mancanza di acquirenti. Mentre invece fu data in ap-
palto come abbiamo già visto la pastura del Chiusi (per un anno)
e alcune poste dello stesso Chiusi (per cinque anni).

Ciò comportava un frazionamento del rischio di investimento
di notevoli proporzioni, rispetto alla assunzione dell’appalto dell’in-
tera comunanza ; frazionamento che rendeva accessibile la parteci-
pazione di un maggior numero di compratori, con non grandi dispo-
nibilità finanziarie, ad aste per l’assegnazione della comunanza fra-
zionata. Non veniva così a ripetersi la diserzione delle aste degli
anni precedenti, le quali erano divenute, per i motivi che abbiamo
esposto, sempre più onerose. Infine il comune, con il frazionamento
degli appalti, aveva la possibilità di colpire diversi cespiti patrimo-
niali, di natura anche diversa (come già era accaduto per la comu-
nanza di monte Malbe).

L’appalto di alcune poste del Chiusi è riportato solo una
volta nei due registri, e precisamente nell’anno 1426 *: « Vendese
la gabella del fructo, rendite e proventi de le infrascripte poste del
Chiusci » cioè «la posta de la Casa Maiure del Porto Filippo, de la
Badia de San Cristoforo, de San Fatucchio e della posta de Veroni
excetto i beni de la Camora (dell'Abbondanza) che ha a cottimo in
lo dicto Chiusce ».

4| Dunque, il comune tramite i funzionari della Camera dell'Ab-
bondanza, cedeva a cottimo i terreni del Chiusi, percependone di-
rettamente i frutti.

Grandi facilitazioni erano concesse a coloro che volessero inse-
diarsi con buoi domati o altro bestiame nei terreni suddetti per la-
vorarli; essi potevano edificarvi la casa, senza poi dover pagare
l’affitto del terreno, e inoltre « pasturare per tucte le bandite del
Chiusce con le dicti buoi domati senza pena e bando non ostante

omne altra exentione fosse fatta ...». Tuttavia non potevano «ra-
cogliere el grano o altra biada e venderlo senza licentia de li com-
pratori ».

Comunanza dei Quadrupedi

Il « campo de battaglia » era un ampio spazio dove si alternavano
le parate militari, le grandi manifestazioni competitive e il mercato
delle bestie da macello e da lavoro.

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'

LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 29

Li si svolgevano contrattazioni di compra-vendita tra contadini,
allevatori, macellai.

Una gabella, quella dei quadrupedi, riguardava esplicitamente
questo genere di affari; era la « gabella de tucte le bestie o vero ani-
mali che hanno quattro piei che se venderanno in campo de la bat-
taglia overo in qualche loco della città, borghe o sobborghe de Pe-
roscia » 84).

La gabella doveva essere pagata da «qualunche persona com-
parasse o uccidesse alcuna bestia o animale de quattro pieie » la
quale era «tenuta e degga asegnare al dicto comperatore o vero a
chi per luie se deputasse en fra tre dì e pagare tre denari per livera
(Kg. 0.329) de ciascheduna parte ».

Questo l’onere che gravava sul compratore. Sul venditore in-
vece, che usava vendere «le bestie in lo campo de la battaglia, quiste
termine (di tre giorni) non se entenda : se entendano e siano tenute
de pagare e segnare facto el mercato en lo dicto campo delle dicte
animali e bestie ».

La gabella gravava ugualmente su coloro che comprassero o
macellassero bestie in luoghi diversi dal campo battaglia; termine
di pagamento : sempre entro tre giorni.

I risultati dell'appalto annuale di questa gabella di discreta en-
tità, in media circa 700 fiorini all'anno, misurano l'attività del mer-
cato perugino in un settore particolarmente interessante per la pub-
blica finanza, perché connesso con fonti di entrata inmediata, in
quanto relative a vendite temporanee, con risultati di cassa immediati
e mediati in quanto tramite basilare per il prospero sviluppo del-
l'allevamento del bestiame: intendiamo riferirci alla pastura del
Chiusi e di monte Malbe.

Inoltre l'importanza della produzione e dello scambio di carne
bovina, suina, ovina e caprina rifletteva direttamente le esigenze di
un consumo tale da soddisfare bisogni di prima necessità con con-
seguenza di rigidità della domanda ; la quale, per forza di cose si
pose a livelli sostenuti, con un consumo annuo di carne di circa
26,1 Kg. di carne per abitante, contro i 23,8 Kg. di un abitante della
stessa città di Perugia nell'anno 1962 *»,

Gabella dei Contratti

Se ci si fosse limitati con eccessiva determinazione allo studio
delle comunanze dal 1400 al 1430, una volta elencate quelle che ri-

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30 RINO FRUTTINI

sultano nel periodo preso in esame, avremmo raggiunto un obiettivo
volutamente schematico di indagine.

Invece, un po' per curiosità di modesti ricercatori, ma soprat-
tutto per esigenze di reperire un materiale di studio il pit ampio
possibile, per documentare certe argomentazioni, rilevando le par-
tite contabili nei registri di uscita nella Camera dei Conservatori
della Moneta e della Camera dei Massari, facemmo attenzione ad
una formula che quasi sempre le sanzionava : « sine gabella » oppure:
«cum gabella ».

Pensammo che si trattasse di un'imposta diretta sull'entrata.
che colpiva ogni movimento di ricchezza. Ne volevamo sapere di
più. Non avendo trovato nei registri N° 2 e N° 3 delle comunanze
alcuna cedola che riportasse i capitoli delle condizioni di appalto di
una gabella con caratteristiche di imposta sugli affari, deviammo la.
nostra indagine sul registro N° 1 delle comunanze.

Finalmente, giunti alla carta N° 43, leggemmo «cedula vendi-
tionis gabelle contractuum civitatis et comitatus Perusii », e poi di
seguito : « venditur gabella contractuum et aliarum scripturarum ci-
vitatis Perusii cum pactis, ordinamentis, modis et capitulis infra-
scriptis videlicet ...». E da quello che seguiva potemmo trarre con-
ferma che la nostra curiosità non si era rivelata inutile. Infatti questa

1 gabella concerneva « provisionem mutui vel depositi de qua apparet
in strumentum publicum » (anche allora il carattere pubblicistico di
alcuni atti giuridici era « conditio sine qua non » della loro validità).
I contraenti «solvant et solvere debeant gabellariis comunis Perusii
gabelle sex denarios pro libra qualibet et non ultra, videlicet tres.
denarios pro qualibet parte ».

La gabella colpiva anche «aliquis contractus inscriptus in pu-
blicam formam manu publici notarii ut apodixa fieret emptiones vel
permutationes rerum mobilium et immobilium vel locatione vel conduc--
tiones ». Naturalmente coloro che dovevano assolvere il pagamento:
erano gli «emptores, venditores et permutantes et tam locantes » in
quanto soggetti economici dei contratti di mutuo, deposito e compra-
vendita di beni mobili e immobili.

La gabella dei contratti «che nell’anno 1368 assicurava al co-
mune circa 4.000 fiorini » *9, porta la cifra stessa del suo prezzo d'ap-
palto, non indifferente nell’insieme del gettito erariale, a testimo--
nianza della vivacità dell’incrociarsi di affari di varia natura nel
Comune di Perugia.

Purtroppo dati che riguardino il periodo 1400-1430 da noi con-

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 31

siderato non ne possediamo. Probabilmente in questi anni la gabella
dei contratti è divenuta semplicemente una trattenuta o imposta di
bollo del comune sui pagamenti che esso effettuava, ponendo in es-
sere i rapporti giuridico-commerciali contemplati nel testo della ga-
zella. Ecco allora spiegato il perché della formula «cum gabella »
oppure «sine gabella » collegata ad ogni partita di uscita dalle casse
del comune.

Gabella de le Misure

Se consideriamo il mercato del secolo xiv e xv vivacizzato dal
flusso e riflusso di merci dei vari comuni italiani, ognuno con un
proprio sistema di misure, si puó comprendere come «la gabella de
le misure »?? acquistasse notevole importanza nel Comune di Pe-
rugia, centro commerciale di un certo respiro, dove convergevano o
transitavano merci provenienti dagli altri comuni italiani.

Nel testo della gabella veniva stabilito il luogo dove doveva
avvenire la pesatura ufficiale delle merci, derrate agricole, manu-
fatti e semi manufatti : sotto la scala del palazzo del podestà. Li il
compratore doveva avere a sua disposizione tutta la gamma delle
misure, cioè : « mine e mezze mine, quarte e mezze quarte de mesu-
rare biade, tucte ferrate e bullate de segno de griffone e con altro
segno che piacerà al compratore, bariglie buone e acte da tenere
vino habundantemente senza niunio maleficio... e segnate ei dicte
bariglie el più o el meno che tenessero sullo fondo dei bariglie e
bollate del dicto segno del griffone», «mezzoline e mezzolina e
quarte giuste a mesurare olio...».

Non mancava la tariffa della misurazione :

«per ciascuna mina de grano, orzo, spelta, miglio

panico, sagina; fave, ceci, lenüu .......... 2 denari
per ciascuna mezza mina e per ciascun quarto

e mezzo dei «suddetti prodotti»... i 1 denaro
per ogni mina di sale o di olio... ....... 16 denari
perzogni:mezzojlitro dolio: a... Li ou. 12 denari

e degga avere el dicto compratore da qualunque persona ven-

derà mandorle noce o castagne per ciascuna mina 4 denari ».
Una clausola da non dimenticare : «... tutte le mesure se deg-
gano revedere aggiustare e bollare de anno en anno a le spese del
dicto compratore » 85).
32 RINO FRUTTINI

Gabella dei Banchi

Esaminando il contenuto della « gabella de le banche », una li-
cenza di commercio cui i commercianti, esercenti la loro attività
sui banchi di vendita presso luoghi stabiliti dal comune, dovevano
fare buon viso se volevano esercitare la loro attività, ci viene in
mente la descrizione particolareggiata che il Bonazzi dà della piazza
del Sopramuro (oggi piazza Matteotti) e dei luoghi circostanti dove
i perugini, allora come oggi si recavano a far compere, e i mercanti
potevano concludere grossi o modesti affari con grandi o piccoli
imprenditori di luoghi vicini. In pratica tutta l'attività commer-
ciale si svolgeva nel cerchio di poche centinaia di metri quadrati.

La esistenza di un'imposta piuttosto circoscritta e specifica su
strumenti commerciali altrettanto determinati e il gettito annuale
della stessa, per la verità non molto elevato (160 fiorini all'anno in
media) ma tuttavia costante e sicuro, come dimostra la sequela degli
appalti raramente andati deserti, sono due elementi probanti il di-
screto volume di affari che si svolgeva nel centro di Perugia durante
i primi decenni del secolo xv.

Cosicché i commercianti dovevano pagare «la gabella de le
banche cavigliate. (legate) e murate e bancora conficcate » in misura
equiparabile «... a quanto (le banche) piglieranno de le piazze e de
le strade o vie del comune de Peroscia ; e che niuna banca o banco
degga pagare, occupare piazza o strada o via oltre la quantità de
quattro piede e se più fosse doppia gabella per quel tanti più e que-
sto sia tenuto de pagare quillo o quilli cotali che la avessero a pen-
sione »*9, cioè coloro che esercitavano sui predetti banchi di loro
proprietà o in affitto del comune un’attività commerciale per «la
maiure parte dell’anno ; e questo non s’entenda per lo dì del mercato,
né per le banchette piccole né per le bancora da tavernare ».

Comunanza dell’ Acqua del Lago *9

« Vendese el fructo de l'acqua del laco de Peroscia secondo la
forma degli statuti ordenamenti e regolatione del Comuno de Pe-
roscia..., cioè tutti i frutti, rendite e proventi li quagli se rice-
vronno o avere se porronno de l’acqua de esso laco per tempo de
uno anno proximo che viene encomenziando da dì primo di maggio
1422 e a finire come seguita . . . ».

RIZZI TI LE « COMUNANZE?» NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 33

Questa è la formula consueta con la quale esordisce, come tutte
le altre, anche la cedola della presente comunanza. Ma ben più
complessa e dettagliata si presenta l’articolazione dei suoi numerosi
capitoli, i quali normalizzano gli uffici dei compratori della gabella,
i rapporti fra questi e i pescatori del lago, la sfera di competenza degli
officiali di nomina del tesoriere comunale vigilanti sulle acque del
lago. - !

La gabella in tutte le sue edizioni è sempre accompagnata da
una formula messa bene in evidenza che sintetizza gli estremi con-
trattuali più importanti dell’appalto : «che la terza parte del fructo
de l’acqua del laco sia delli compratori, e le doglie sieno dei pesca-
tori ».

Il capitolo rr contiene delle norme regolatrici « dell'arbitrio d’essi
compratori e del modo de pescare ». Era facoltà dei compratori fare
pescare e concedere il transito attraverso il lago, a chi volessero a
‘condizione che non pescassero «né pescare facessero con artifizi,
rete e istrumenti negli tempi vietati per la forza de li statuti predicti
in margine dei capitoli del quarto libro ...», «né anco se possa
pescare in fossati e in fiumi qualunque i quali vanno nel dicto laco ;
e che tutte le reti o altri istrumenti a prendere pesce bruno se deg-
gano fermare per li pescatori... a Pasqua de Resurrezione e non
possano operare in esso laco dal dì della Pasqua in fino al dì 15 di
settembre, pena a chi contraffacesse di livere 5 de denaro per cia-
scuno pezzo e per ciascuna fiada ; e altrettanta pena ai compratori
... E che i sindaci dei contadi circostanti al detto laco siano tenuti
e deggano denunziare qualunque contraffacesse in alcuna delle dicte
cose ».

Capitolo rm: «della pena de chi portasse o prendesse pescie
bruno nelli tempi proibiti ».

A ben 100 lire di denari per centonaio (Kg. 33,90) di pesce
bruno pescato nei tempi proibiti ammontava la pena comminata per
i trasgressori della legge, e 10 lire per ciascuna anguilla «se trovasse
presa passato el dicto tempo ». « E che di quisto ciascuno ne possa
essere accusatore ed abbia el terzo della pena, e l’altro terzo sia del-
l’offitiale che ne farà esecuzione e l’altro terzo sia del comune de
Peroscia ». Il portatore di pesce pescato nel tempo proibito « perda
la bestia e la cesta, ovvero barcello ovvero el dicto pesce che por-
tasse. E paghe 100 livere de pena ».

Capitolo rv: «della pena de chi pescasse con tose o con gra-
vello ».

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34 RINO FRUTTINI

I contravventori erano condannati al pagamento di 100 lire di
denari. Era sufficiente possedere. questi strumenti di pesca detti
«tose » per essere imputati. I pescatori di S. Savino e « della posta
de Castiglion Chiusino » potevano pescare con i detti tosi e andare
per lo laco con li detti garavelli » (piccola imbarcazione).

Pene molto severe, come abbiamo visto, erano comminate per
i trasgressori di norme precise. Ciò rivela accortezza negli organi
pubblici del comune nell’amministrare un bene, fonte di ricchezza
non indifferente per l'erario; un bene che necessita di cure conti-
nue, come un metodico ripopolamento nella stagione delle « freghe »
(riproduzione dei pesci) evitando soprattutto che i mezzi artificiosi,
impiegati dai pescatori per ottenere il massimo profitto della loro
attività, provochino una flessione della pescosità del lago. Ed infine
altra legittima preoccupazione del comune è di garantire il continuo
flusso d’acqua del lago. A questo scopo i capitoli xIII, XVI, XVII
esprimono un preciso pensiero del legislatore.

Capitolo xim : «la spesa per mantenimento della Cava del lago » :
«anco per mantenimento e aconcime del dicto laco e acciocché
l’acqua abbondantemente esca per la dicta cava...» i compratori
devono pagare «nella quantità de denari che sarà necesaria... ».

Al fine di moltiplicare la quantità di tenche nel lago era fatto
divieto di pescare i tencarelli sotto le quattro once (28 gr.) : e l'uf-
ficiale del « tencarame » doveva investigare su chi contravvenisse al
divieto e naturalmente prevenire il dolo. Egli era alle dipendenze del
comune. Il salario però gli veniva pagato dal compratore per una
somma di lire 50 «a la dicta ragione de soldi 90 per libbra ». Nel
periodo della quaresima, durante il quale più intensa diventa l’at-
tività peschereccia, per ovvi motivi di approvvigionamento di ge-
neri alimentari freschi della città e dei comuni limitrofi, scrupolosa-
mente osservanti le disposizioni ecclesiastiche in materia di digiuni
e di vigilie, la vigilanza veniva assolta oltre che dall’ufficiale pre-
detto anche da altri quattro ufficiali.

Essi dovevano risiedere presso i quattro porti principali del
lago, a spese dei compratori. Le anguille e la loro presenza nel lago,
costituivano un problema quantitativo non facile a risolversi. In-
fatti in alcuni periodi esse circolavano per il lago così numerose,
«da essere di danno » agli altri pesci minori. D’altra parte era neces-
sario un ripopolamento proporzionale alla quantità di esse che ve-
niva pescata. Venne allora nominato accanto all’ufficiale del tenca-
rame anche un ufficiale che controllasse e regolasse l’afflusso e il

|^ CHRERUGUHIUTLINUSE,

TIERRA " LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 35

deflusso delle anguille del lago. Inoltre due camerlenghi, sempre di
nomina del comune, avevano le funzioni di superiori vigilatori del-
l’operato degli ufficiali suddetti e dei compratori della gabella. Nel
periodo delle «cavalcate » e delle guerre condotte di frequente dal
Comune di Perugia, per lo meno 150 pescatori dovevano rimanere
presso le loro abitazioni e continuare nella loro attività senza essere
costretti a prendere le armi e combattere. La norma evidentemente
mirava a mantenere costante l’approvvigionamento di pesce per la
città.

Molti capitoli regolano i rapporti esistenti fra comune e compra-
tori e le funzioni di questi ultimi.

I doveri dei compratori verso il comune erano costituiti innanzi
tutto dal pagamento del prezzo d’appalto della gabella che avveniva
«in cinque paghe per rata encomenziando de dicembre cioè infine
de ciascuno mese, sicché per tutto el mese de aprile abbiano intera-
mente fornito de pagare el prezzo d’esso laco per un anno e così
di anno in anno ». Inoltre «... li compratori sieno tenuti pagare:
per la fabreca de S. Domenico e della chiesa, in anno fiorini 150 »,
50 fiorini all'anno alla comunità dell’isola Polvese per la costruzione:
della fortezza e 100 fiorini per la chiusa del lago e per i porti « che
se deie de nuovo fare de pietra, legname, rena e calcina in lo fossato
ovvero fiume della Vanella el quale viene del distretto e territorio de
Cortona... Et anco per la stantia ovvero casa che de nuovo se en-
tende fare intorno al dicto laco per bene e per guardia del dicto
laco, cioé el borghecto e la casa del piano piü comoda e piü adacta
fiorini 50 in anno, a soldi 90 per fiorino ».

In un emendamento alle precedenti disposizioni si impone ai
compratori stornare la somma di 50 fiorini, destinata alla costru-
zione della Casa del Piano, per «lo principio de una torre (che) se
deve principiare al fossato de Pantano ».

E evidente che il comune si preoccupa di garantire la massima
vigilanza intorno al lago. Se poi si aggiunge che « per megliore guar-
dia al lago se degga per lo tesauriere uno barigello con doie cavaglie
e 10 fanti per tempo de cinque mesi dal 15 de aprile al 15 de set-
tembre col salario de 25 fiorini al mese, el quale salario deggano
pagare in questo modo » cioè stornare i 50 fiorini destinati all'Isola
Polvese per il salario al bargello, e il resto dei salari li paghino di
tasca loro, se ne trae un'ulteriore testimonianza delle cure sollecite
e ben organizzate del comune per garantire nel tempo una costante
rendita del patrimonio ittico.
36 RINO FRUTTINI

Altra incombenza dei compratori: «... se per bisogno della
cava del laco fosse bisogno de prendere alcuno denaio, che i detti
compratori siano tenuti de prestare a requisizione del tesauriere in-
fino a la somma de 200 fiorini ad ogni sua petizione ». Questo capi-
tolo è stato aggiunto di seguito al testo delle condizioni dell'appalto
che ogni anno venivano confermate. Dimostra che le entrate ordi-
narie del comune non erano sufficienti per il fabbisogno finanziario
annuale. E l'unica forma di entrata straordinaria, esauriti tutti gli
espedienti in materia fiscale, poteva derivare dal contrarre mutui
presso privati.

I compratori dovevano, in occasione di certe festività, fornire
pesce gratuitamente ad alcuni personaggi : al tesoriere del Papa per
Natale, per la ricorrenza di S. Ercolano e la domenica delle Palme
nella quantità di libbre 2.200 (Kg. 723,8) di pesce grosso tra tenche
e lucci. Ugualmente ai Priori delle Arti. In cambio : «il cancelliere
debba lasciare registrare in la cancelleria la cedola del dicto laco
da li notai de li Conservatori della Moneta o da chi piacerà alli com-
pratori d'esso laco gratis e senza alcuna mercede o provvigione d'esso
cancelliere . . . ».

Fin qui gli oneri dei compratori. Vediamo ora i diritti. Essi
erano proprietari di un terzo del pesce pescato in tutto il lago e ne
avevano il monopolio della vendita presso il mercato cittadino. Chiun-
que volesse pescare, o vendere pesce doveva essere in possesso di
licenza che i compratori stessi rilasciavano ed erano tenuti «de ri-
lasciarla a chiunque la richiedesse sotto pena di 100 denari ».

La funzione della polizza era calmieratrice, dal momento che
«se debba vedere chi avesse fraudato in non togliere la polizza o
in recare piü pesce che non dice la polizza ».

«Li venditori non debbano concordare con li compratori del
frutto de l’acqua del dicto laco né fare con essi convegni sotto pena
di libbre 100 ».

Ai compratori spettava l’esazione di un’altra imposta. Infatti
ogni anno i pescatori e « chi avesse nave o garaveglie nel laco dove-
vano pagare un fiorino e mezzo per ciascuna nave » e « per ciascuna
garavella pescante continuamente soldi 45 e per ciascuna altra ga-
ravella pescante alle freghe de lucce soldi 20 di denari ». Le somme
suddette o venivano riscosse immediatamente, o i pescatori le face-
vano «retenere e scontare delle somme e quantità le quali doves-
sero avere per qualunque cagione da li dicti compratore ». Questi ul-
timi dovevano impiegare almeno 150 fiorini delle somme così ri- LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA. FINANZA DEL COMUNE 97

scosse in questo modo: «... fiorini 100 in ciascun anno a concime
ovvero nuova opera ovvero edificazione di case o de stanze... in-
torno al dicto laco ; e fiorini 50 che deggano dare e pagare annata-
mente alli offitiali de le anguille ».

Non a caso ci siamo soffermati a lungo e minuziosamente nel-
l'analizzare tutti i capitoli della « comunantia aquae lacus » e le re-
lative «additiones ». Temiamo peró di averne presentato il conte-
nuto in modo troppo scheletrico, con un metodo che, se è a tutto
vantaggio delle esigenze di documentazione storiografica, non riesce
tuttavia a far comprendere al lettore l'esatta localizzazione econo-
mica e finanziaria di un'imposta, che da sola giunge a coprire buona
parte del gettito finanziario del comune.

Nel contesto di tutte le entrate fiscali, quella proveniente dai
diritti del lago non può avere una precisa classificazione : è entrata
patrimoniale in quanto proviene da beni del comune ; ma dal punto
di vista dell'esazione dell'imposta la potremmo classificare come pri-
vativa fiscale: i compratori della gabella hanno infatti il controllo,
se non il monopolio, di tutto il pesce pescato. Controllo, infatti,
perché tutto il pesce pescato deve essere denunciato ai compratori ;
quando poi i pescatori sono alle dipendenze (addirittura salariati)
dei compratori, cosa niente affatto improbabile se prevista espressa-
mente in un emendamento delle cedole dove risulta che dai compra-
tori «sia lecito comandare ai detti pescatori che facciano le compa-
gnie per pescare ai thuora e alle cerbaie », il controllo diviene evi-
dentemente monopolio e gli appaltatori delle gabelle divengono pic-
coli armatori (avendo a disposizione le barche dei pescatori) e ven-
ditori all'ingrosso di pesce nel mercato di Perugia.

E l'affare doveva dare ottimi risultati : raramente l'appalto an-
dava deserto.

L'eccezionale pescosità del lago (documentata da una monogra-
fia del Mira, citata anche dal Fanfani, dove risulta che il lago Tra-
simeno forniva 4700 q.li annui di pesce contro i 3000 q.li del lago
di Como) ; la sua felice localizzazione al centro dell'Italia senza l’in-
tralcio di temibili concorrenti (e ove ve ne fossero, anche modesti,
si provvedeva ad attuare una politica autarchica, tramite una forte
imposta daziaria prevista nella «gabella grossa » verso pesce im-
portato dal lago di Bolsena o di Marta, o della Val di Chiana) nel
giro di diversi chilometri: «il pesce del Lago Trasimeno a sud scese
fino al mercato di Perugia e al nord risalì fino a quello di S. Sepolcro.
In altre parole ad una giornata di cammino dalle basi di produzione,
38 RINO FRUTTINI

fu consuetudinario il pesce fresco » ‘) ; la natura del suo prodotto,
un genere commestibile di prima necessità, di largo consumo « so-
prattutto durante il periodo quaresimale sulla base di precise norme
ecclesiastiche quasi sempre riprese dagli statuti comunali » 9; la
sua caratteristica di fondamentale risorsa per le economie familiari
delle varie comunità, molto numerose, organizzate intorno ad esso
lago (almeno 150 pescatori che percepivano con molta probabilità
altrettanti redditi certi per altrettante famiglie, erano dispensati dal
partecipare a guerre o dal «cavalcare » al soldo del comune, onde
continuare nella loro attività produttrice di così largo benessere e
rilevante ricchezza); l’importanza del suo sviluppo o per lo meno
della costanza delle sue rendite per il riflesso positivo sul volume
degli scambi sia di pesce fresco sia di pesce salato e sulle attività
industriali collegate al lago stesso (costruzione delle imbarcazioni e
degli arnesi della pesca): sono tutti fattori che dovevano incidere
positivamente sulla politica finanziaria del comune. Sulla politica
finanziaria in quanto il comune poteva fare affidamento, nel redigere
una sorta di bilancio di previsione, su un gettito ricorrente presso-
ché costante nella sua entità ; sulla politica economica, nell’appre-
stare i mezzi più adeguati per una sana politica di valorizzazione del
patrimonio ittico, e con ripercussioni positive sui terreni circostanti
il «lacus Perusiae.» dove venivano a localizzarsi, per un fenomeno
di naturale induzione che oggi diremmo imprenditoriale, attività arti-
gianali collegate alla pesca.

La Gabella Grossa o del Pedaggio Maggiore

La gabella grossa doveva considerarsi senz’altro un ottimo af-
fare per il privato appaltatore ; il volume degli scambi fra la città
e gli altri comuni era ad un livello tale da garantire e cautelare, con
guadagni cospicui e immediati contro eventuali rischi di avvenimenti
imprevisti o sfavorevoli. Né la previsione di guerre o un diffuso senso
di incertezza politica doveva essere motivo valido per disertare l’ap-
palto : dal 1400 al 1430 possediamo i dati di quasi tutti i risultati
dell'appalto annuale. I vuoti di alcuni anni potrebbero imputarsi a
diserzione dell’asta, ma anche ad avvenimenti che non riguardano
per nulla appalti andati deserti.

La Gabella Grossa (in altre città chiamata del Pedaggio mag-
giore), in sostanza un dazio doganale sull'uscita, sull'entrata e sul LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA. FINANZA DEL COMUNE 39

transito di merci attraverso la città e il contado di Perugia, assume
importanza rilevante per il nostro studio.

L'incidenza del suo prezzo di vendita, cioé del suo introito per
il comune sul gettito fiscale, puó essere un elemento interessante per
comprendere il volume e il ritmo degli scambi sul mercato cittadino.
Ed essendo i proventi della suddetta gabella inferiori soltanto a
quelli della gabella del lago e della salaia, dobbiamo dedurre che
Perugia in quei tempi sia stata una piazza commerciale piuttosto
interessante, con un via vai continuo di merci. Soprattutto un centro
commerciale dove si diramano i flussi di merci destinate agli abitanti
della città, del contado e del distretto.

La gabella grossa contiene un lungo elenco di merci o tariffa
(ne abbiamo contate circa 300 specie e qualità) accompagnate dalle
rispettive aliquote d'imposta. La tariffa rappresenta la base di ri-
ferimento per la determinazione del dazio di qualsiasi merce; la
potremmo definire un «elenco campione » come appunto spiega il
testo della gabella stessa: «... e perché non é comodamente possi-
bile omne cosa dechiarare, provedese e entendase da mo essere pro-
veduto che de l'altre mercantie non dechiarate per glie presente or-
dene se paghe e simile de quille cose che sonno de sopra scripte e
specificate per glie presente ordene e a la valuta de la cosa maggiore
de denari 12 per fiorino de la valuta de la mercantia » *».

Lo studio sistematico delle merci, le piü varie, elencate nella
gabella grossa puó avere una validità per la conoscenza piü pro-
fonda e diretta degli usi e costumi medioevali, per la valutazione
merceologica dei prodotti la cui descrizione é particolareggiata ed
esatta ; sarebbe una fonte di informazione per poter rilevare il grado
di perfezione e lavorazione di alcune industrie manifatturiere locali
come quelle della lana, del vetro, della seta, l'importanza dell'in-
dustria (che oggi diremmo « pesante ») delle armi, dedotta dal va-
lore imponente degli scambi di questo prodotto, la vastità di alcuni
commerci provata dal luogo di provenienza delle merci come le
« borscie de seta paregine grande con oro o senza oro per ciascuna »
o le «cepolle de zafarano forestiere » o il «canavaccio o semelino
forestiere » e perfino « dente d'alifante ovvero avorio » ; le fodere per
rendere piü confortabili gli abiti che avevano diversi luoghi di ori-
gine : « fodere viterbese, veronese, sardesche, de golpe e de coniglie » ;
ugualmente il lino che poteva essere « viterbese, alessandrino, napo-
letano e padovano ».

Da luoghi anche molto lontani, proveniva la lana usata per con-

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40 RINO FRUTTINI

fezionare abiti pregiati: «lana de Provenza, lana d'Inghilterra, lana.
de garbo de Turnese o de Novara, lana succeda Napolitana ».

Sempre nel ramo del commercio di manufatti semilavorati
tessili: «pagne francesche, milanese, lombarde, fiorentine, pi-
sane, aretine e inglese» per finire con le «pagne » di più vicina
provenienza o addirittura di produzione locale: « pagne peroscine,
castellane, borghese, govine, ascesciane, pievaiole, da Camerino,
orvietane ».

Anche la «pece navale » era oggetto di scambio commerciale,
un ulteriore attestato dell'importanza della attività peschereccia la-
custre ; il pesce del lago Trasimeno poteva avere dei concorrenti non
temibili, provenienti dal lago di Bolsena o della Val di Chiana, resi
ancora meno temibili applicando un'alta aliquota d'imposta : il dazio
assumeva in tal: caso giustificazione valida per la protezione econo-
mica di un bene di produzione locale.

Miele, pinoli, pepe, rigolitio, rabarbaro, zucchero e «spetiare
non specificate » : probabilmente erano ingredienti indispensabili nelle
dispense dei benestanti perugini.

Pensavamo che l'aliquota della gabella grossa, relativa ad alcuni
anni campione (anno 1391, 1430) avrebbe presentato alcune varia-
zioni con diverse interpretazioni, interessanti una più esatta docu-
mentazione delle entrate della gabella, delineandone conseguente-
mente una configurazione completa e sufficientemente particolareg-
giata, nella dinamica delle entrate ed uscite fiscali del comune, nel-
l'arco di tempo considerato.

Ma soprattutto poteva essere utile per dedurre l'inevitabile
aumento dei profitti da parte degli appaltatori a spese dei contri-

uenti.

Tuttavia nutrivamo alcuni dubbi su un eventuale sensibile au-
mento delle singole aliquote d'imposta : la gabella grossa riguardava
soprattutto i mercanti stranieri che si recavano a vendere merci al-
l'ingrosso sul mercato perugino, o mercanti perugini che ritornavano
in patria pesanti e carichi di merci da vendere ai concittadini ; inol-
tre i mercanti, imprenditori, piccoli industriali della lana o proprie-
tari di laboratori di calzature, i sarti, gli orefici, costituivano altre
categorie di imprenditori (corporazioni) aventi tutto l'interesse per-
ché il dazio doganale sulla «lana de Provenza» o sullo «indaco
grosso » per tingere i panni di lana o il lino o bambagio che « fosse
portato a filare de città en contado o revenisse de contado en citade
(in qual caso erano esentati dal pagamento della gabella) sul « co- LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 41

rame concio del calzolare », «l’ariento bianco sodo » e «l’oro non
coniato », non provocasse difficoltà di costo con ripercussioni nega-
tive sul prezzo di vendita e con flessione della domanda di panni di
lana o di calzature o di oggetti preziosi lavorati in oro, nonché ab-
bassamento di volume della produzione e dei profitti.

Non ci siamo fatti mai troppe illusioni sulla maturità politica
e sulla fede popolare di chi governava la cosa pubblica di Perugia
in questo periodo.

Erano i «popolari» dei plebei arricchiti, con tradizioni non
troppo remote di artigiani al soldo del feudatario, venuti in città
perché ingranaggi più o meno consapevoli del complesso meccanismo
del fenomeno « urbanesimo » dal quale trassero nuova vita le vec-
chie e ormai ingloriose città dell’Impero Romano.

Il termine « popolare » rappresentava soltanto una etichetta, un
segno distintivo da coloro che non erano tali: i nobili. Di fatto essi
erano borghesi, a volte anche molto ricchi : il reddito veniva distri-
buito automaticamente, come nelle società borghesi di oggi, con
criteri nei quali i fattori produttivi : organizzazione artigianale della
«fabrica », capitale accumulato dopo anni di speculazioni più o
meno rischiose e lavoro prestato in gran parte dai lavoranti presso
l'imprenditore, avevano una remunerazione sperequata, a vantaggio
della classe dei cosidetti popolari, la borghesia di allora.

Le corporazioni delle arti e dei mestieri, organizzazioni a carat-
tere mutualistico-sindacale sulle quali era imperniata tutta la strut-
tura politico-economica della città, coi suoi inevitabili rapporti di
interessi e intese da consorterie, divenivano sempre più «clubs»
ristretti con pochi privilegiati : i maestri, ai quali si contrapponevano
i discepoli, i lavoranti e i garzoni tali dalla nascita e spesso metodi-
camente di padre in figlio.

Pertanto le variazioni delle aliquote erano poche e spesso irri-
levanti; poche perché se fossero state molte significava colpire an-
cora una volta beni di prima necessità, con probabilità di conse-
guenze, anche politiche, notevoli: i fuorusciti, sempre all’erta ai
margini del contado e del distretto di Perugia, percepivano e stru-
mentalizzavano a loro vantaggio ogni minimo segno di insoddisfa-
zione dei raspanti ; irrilevanti, perché essendo il volume degli scambi
commerciali fra Perugia e il resto d’Italia notevole sì, ma non ma-
croscopico, ad un aumento sensibile della tariffa della gabella grossa,
la reazione dell’opinione pubblica avrebbe potuto essere maggiore
che in altre città con mercati più estesi, dove l’ampiezza e il ritmo
Ì
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li

42 RINO FRUTTINI

serrato degli affari non potevano risentire o per lo meno risentivano
in misura minore di certi inasprimenti fiscali.

Ma, nonostante queste considerazioni che noi abbiamo fatto e
che forse anche gli amministratori di allora non potevano esimersi
dal fare, il dazio sull’«alume alisandrino » passa da libbre cinque a
libbre sei per soma, la «biacca » da lire una a lire due per soma,
il « bambagio filato tento » da lire quattro a lire cinque sempre per
soma, le balle da lire due a lire tre, le « caprette conce en soviglione »
da lire due a lire quattro, le «fodere viterbese, veronese, sardesche
de golpe o de coniglie o de simile » da lire due a lire quattro sempre
per soma, l'«indaco fino a l'indaco grosso » rispettivamente da lire
cinque a lire sei e da lire tre a lire quattro ; il pepe da lire quattro
a lire cinque ; merci di non largo consumo e piuttosto scarse sui mer-
cati italiani *9.

La struttura della Gabella Grossa

Colui che si recava a vendere merci a Perugia, o che comunque
entrava nella città con merci, poteva « venire senza veruno enpedi-
mento sino al luoco dua sonno le guardie e li degga lasciare il pegno
a la prima porta che troverà per esse mercantie ; e la gabella grossa
pagare el di che la mecterà o vero a doie di seguenti, a pena de 25
libbre de denari a chi non lasciasse el pegno a la porta, e entendase
avere fraudato la gabella. E che quiglie cotaglie che mectessero la
dicta mercantia, pagato che averonno la dicta gabella possano la
dicta mercantia retrare tra quindici di contato el di che la mette-
ronno, senza pagamento di altra gabella si enpertanto che quillo
che la mecterà e quillo a chui petitione se mectesse dicta gabella
notificare ai dicte gabelliere come la dicta mercantia mette per re-
terare » *9,

Da queste poche righe si puó comprendere il meccanismo che
regolava il flusso ed il deflusso delle merci sul mercato perugino.

Ad ogni porta, dove avveniva l'accesso in città, erano organiz-
zati dei posti di blocco. Adibite a questo servizio erano cinque porte,
una per ogni rione: Sant'Angelo, Santa Susanna, Sole, San Pietro e
Eburnea. Qui avveniva un primo controllo della merce ; la pesatura
al centro della città, nella piazza del Sopramuro, sotto la scalinata
dell'abitazione del Podestà. L'unità di peso era la soma *9. Pertanto
la merce entrava nella città senza essere stata pesata per la deter-

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 43

minazione dell’imponibile del dazio. Tuttavia il possessore doveva
lasciare alle porte un pegno il cui valore fosse approssimativamente
uguale all’importo del dazio. Soltanto dopo aver pesato la merce e
averne pagato il dazio, il pegno veniva restituito.

Entro due giorni dal pagamento del pegno doveva avvenire
l’ingresso delle merci in città, previo naturalmente il pagamento del
dazio. Il pagamento della gabella era provato da una polizza che ve-
niva rilasciata dagli officiali all'entrata e all’uscita delle merci per
le porte della città.

La polizza aveva una validità, oltre che per le funzioni di rice-
vuta del pagamento del dazio, anche perché rappresentava una bol-
letta di uscita di quella merce che, immessa nella città, non veniva
venduta ; pertanto detta merce poteva essere fatta uscire dalle porte
della città, entro quindici giorni dall'emissione della polizza di en-
‘trata, senza essere soggetta a dazio di uscita.

Attraverso il contado « non se ne possa gire se non per le strade
deritte dua sono ei passeggiere a ciò deputati con la polizza della
gabella como della città ...».

I «passagieri » *2, officiali del comune alle dipendenze del ga-
belliere erano posti « per le strade ai luocora usate per lo contado
...» e precisamente a Castrofossato (Fossato di Vico), Casa Castalda,
Castro Sigillo, Castro Diruti (Deruta), Mollaioli, Castro Arnis, Castro
Cerquetus, Castro Marcianij, Castrum Panicalis, Castro Plagarii (Pie-
garo), Castro Castiglionis Clusini (Castiglion del Lago), Castro Fracta
Filiorum Uberti (Umbertide), Castro Montis Ubiani (Monte Vi-
biano), Pontis Clusii, Planelli, Plebis Pagliacci **.

Loro compito era il controllo e vigilanza sui viaggiatori che at-
traversavano il contado di passaggio o per recarsi in città, e riscos-
sione del pedaggio relativo. Infatti «... qualunque persona de qua-
lunche conditione volesse passare per lo contado de Peroscia con
niuna mercantia o vero cosa de che pagare se dovesse la gabella,
degga togliere la polizza al primo passaggiero ch'esso troverà a pena
a quillo cotale che non la togliesse per ciascuna fiada de 50 libbre
de denari...».

Una volta sottoposta la merce al primo controllo dei passag-
gieri posti sulle vie principali che dal contado portavano alla città,
era proibito «scarcare e fare scarcare e reponere e fare reponere
niuna mercantia né cosa de che gabella pagare se devesse en glie
borghe né sobborghe de: Peroscia né per lo contado de Peroscia senza
licentia d'esse officiaglie e gabelliere, a la pena de 100 livere de de-

d- y
44 RINO FRUTTINI

nare per ciaschuna fiada, e degga pagare la gabella dodece tanto
como dicto é de sopra ». Inoltre « niuno mercatante o altre persone
e qualunche conditione se sia, non possa né degga scarcare alcuna
soma, balla ovvero fardello, besacce o valigie en glie luoche o pos-
sesione overo cose d’alcuno citadino o contadino o forestiere o altra
persona ello contado de Peroscia, salvo che en glie luocora due sonno:
usate d’arbergare sotto pena de 100 libbre de denari al vetturale,.
mercatante o altra persona e che el recectasse, e onne persona ne:
possa essere accusatore cum uno testimonio de veduta (testimone
oculare) overo tre testemonie de fama, salvo che le predicte cose
se en caso sinistro o fortuito per camino glie corresse, per lo quale
non podesse giungnere al luoco dua è usato d’albergare, el qual caso
quello cotale el degga provare fra il termine che glie sarà dato per
lo giudice de le gabelle del comuno de Peroscia » 49).

Ai passaggieri, che abbiamo visto posti ai limiti del contado, con
il compito di esigere il dazio di transito attraverso il distretto peru-
gino dai mercanti di passaggio, fanno seguito alle porte della città.
i gabellieri cui spettava l’onere di riscuotere il dazio che colpiva le
merci che entravano o uscivano dalla città.

Ad essi era lecito «... vedere e cercare some, valigie, bisacce
e balle» in possesso dei viaggiatori. Essi potevano «senza pena »-
«togliere omne cosa che avesse o vero trovata fosse en fraude della
gabella ». E l'ufficiale; che aveva scoperto la frode poteva «reco-
mendare quille bestie e cosa che egli trovasse a qualunque persone
glie piaccia, e oltre de quisto paghe el dicto fraudante la gabella 12.
tanto che quillo che pagare dovesse ».

I forestieri i quali « mectessero o traessero de la città, borghe e
soborghe de Peroscia pagare deggano per nome e passaggio ai dicte
offitiaglie o gabelliere el quarto denaio più che monta la gabella » ;.
mentre « qualunque persona volesse passare per la città, borghe e
soborghe e per lo contado de Peroscia con mercantie le quali va-
dano e passano fuore del nostro distretto en fra el termine de tre dì
non sciogliendo né aprendo balle né fardaglie delle dicte mercantie,
le quale se scharcasse ella città o contado, ma sogellate soto el so-
gello dei dicte gabelliere o officiaglie, pagano per nome de passaggio
e de gabella il 4° denaio meno de quillo che montasse secondo che è.
dichiarato desopre ».

Il bestiame di qualunque provenienza non pagava alcuna ga-
bella alla entrata della città: « ma se dicto bestiame uscisse fuori
del nostro contado paghe de passaggio secondo le cose dichiarate de
am

LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 45

sotto al dicto offitiaglie e gabelliere, le quale cose non sonno poste
en gabella».

Con questa norma si voleva evitare che il bestiame condotto in
‘città per la macellazione venisse soggetto a due imposizioni : la ga-
bella grossa prima e quella dei quadrupedi poi; in tal caso un bene
di prima necessità come la carne avrebbe avuto un prezzo al dettaglio
proibitivo per le tasche della maggior parte dei perugini, con con-
seguenze sociali ed economiche facilmente intuibili.

Chi portava le mandrie al Chiusi «ovvero per lo contado paghe
al modo usato che non le metta per vendere alla dicta città » 59),

Pertanto le bestie che transitavano per il contado per essere
‘condotte nel Chiusi pagavano la gabella; piena esenzione era con-
cessa nel periodo della fiera di Ognisanti che si teneva a Perugia in
Borgo XX giugno. Detta fiera insieme a quella che si teneva a Ca-
stiglione del Chiusi, specializzata soprattutto per le contrattazioni
del bestiame, era una fra le manifestazioni commerciali più impor-
tanti dell'Umbria.

Il contado era tenuto in gran conto dal comune, essendo la
fonte prima degli approvvigionamenti agricoli della città. E per ren-
dere il più fluido possibile l’approvvigionamento di derrate della
‘città dal contado, era affrancata dalla gabella grossa qualunque cosa
«la quale se racogliesse en lo contado de Peroscia, salvo che quille
‘cose non sonno dechiarate davante en glie dicte ordene de la gabella
quale s'arrecassero a vendere alla dicta città, borghe e sobborghe ».

È naturale che il comune avesse la facoltà di importare qualun-
que prodotto senza dover pagare la gabella agli appaltatori. Erano
«altresì esentati dall'imposta «il Papa, Legato del Papa, Cardinaglie,
Emperatore, reaglie podestà o capitaneo, ovvero altre offitiaglie del
Comune de Peroscia quale venisse al regimento del nostro comune
‘e altre ambasciatore che mandassero ad esso comune e loro fameglie,
:soldate del nostro comune o altre gente d'armi da cavallo o da pieie,
ambasciatore del Signore di Milano o gente de Lega e qualche modo
passassero e nell’entrare e nell’uscire da la città o contado non paghi
denaio ».

I capitoli della cedola fin qui riportati riguardano l'appalto del-
l'anno 1391. Furono pubblicati dal Fabretti il quale inoltre trascrisse
alcuni emendamenti agli stessi capitoli contenuti nella cedola del
1408 *», l'anno della dedizione di Perugia a Ladislao re di Napoli.

In un capitolo si mette in chiaro che il compratore della gabella
compie questa operazione «a suo rischio e a sua ventura e che chi
46 RINO FRUTTINI

la vendesse (questa gabella, acquistata da privati, poteva nuova-
mente essere venduta dagli stessi ad altri privati) sieno tenute e
deggano venderla con quisto pacto expresso che ei compratori d'essa
l'aggiano a loro riscolo e ventura e che el comuno de Peroscia né
esso nostro Signore né per hoste né per cavalcate né per venuta de
niuna gente nemica del dicto Nostro Signore o del Comune de Pe-
roscia né per veruno altro caso proveduto o non proveduto, moderato
o non moderato, fortuito o per altro modo el dicto Nostro Signore
né comuno non sieno tenute fare alcuna sgravatione né alcuno re-
storo, ma non obstante qualunque caso deggono ei dicte compra-
tore pagare el dicto prezzo d'essa gabella enteramente » 59.

Doveva essere dávvero soffocante, un incubo la gabella grossa
per i perugini. « Non è convenevole che gabella se paghe»..., è.
scritto in un emendamento ai suddetti capitoli, quando «occurre
che ei cictadine avetante en contado et ancho ei contadini avetante
in contado per diverse cose che occurrono et per loro vestire et per
casi de morte o per altre loro bisogne reportano de città en contado
alcuna cosa ». Per questi motivi « ordenamo che sia lecito a ciascuno.
avetante en contado portare perfino a la quantità de seie braccia et.
uno quarto de lana, ed infine a la quantità de seie livere de cera
laorate senza pagamento d’alcuna gabella .0 vero passaggio e senza
polizza ovvero soggello ».

Di un trattamento davvero speciale, con una contropartita ana-
loga, furono oggetto i cittadini di Siena i quali, ai fini del pagamento
del pedaggio, erano equiparati ai cittadini perugini. Una forma d'in-
tesa di due città per diversi aspetti molto simili; una gravitante.
nell’orbita di una potenza economica come Firenze, l’altra oggetto.
costante di cure e mire espansionistiche del potere secolare del papato..

Il cuoio e la pelle mandati nei sobborghi di Perugia a la concia,.
erano esentati dalla gabella.

sempre dalle «additiones » del 1408 risulta che i compratori.
della gabella grossa almeno in questo anno erano anche acquirenti
della gabella della salaia, essi « potevano colglere per lo comuno:
de Peroscia la gabella de tucto el sale che se mecterà per lo tempo
d'un anno nella città, borghi e sobborghi de Peroscia secondo la
forma degl'ordene d'essa gabella, e de ció fare libro de per sé, nel
quale se scriva la entrata della gabella d'esso sale, si che liberamente:
la dicta gabella sia enteramente d'esso comuno. E che ei dicte com-
paratore sieno tenute e deggano la dicta gabella pagare ai conser-
vatore della moneta et asegnare la ragione de la dicta entrata a LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 47

petitione et termene di esse conservatore tante volte quante a loro
piacerà et non ad altre. Et quiglie ei quaglie arecheranno esso sale
per lo dicto anno de la dicta compra sieno tenute et deggano en prima
che scarcheno le some d'esso sale assegnarlo a la dicta gabella come
è stato usato et secondo gl'ordene d'essa gabella ».

Molto interessante questa coincidenza di oneri in un unico ap-
paltatore, anche se con funzioni diverse. Infatti normalmente il
compratore della gabella grossa per un anno si sostituiva al comune
nell'accertamento dell'imposta, nell'approntare l'organizzazione per
l'aecertamento stesso e per l'esazione dell'imposta. Pertanto la so-
stituzione dell'appaltatore al comune era completa. Ora invece il
comune incaricava il compratore della gabella grossa di riscuotere i
tributi della gabella del sale, tenendo aggiornato il libro giornale su
cui erano registrate le varie entrate della salaia, «si che liberamente
la dicta gabella sia enteramente d'esso comuno ». Il libro doveva
essere sottoposto al visto dei Conservatori della moneta in qualunque
momento essi lo desiderassero. Il comune pertanto sentiva l'esigenza
di controllare via via i registri contabili delle entrate tributarie fra
le più cospicue. Abbiamo così rinvenuto una figura di compromesso
fra il compratore-esattore il quale deve svolgere una attività abba-
stanza circoscritta che si esaurisce nella riscossione dei tributi ren-
dendone conto al comune, ed il compratore-gabelliere, il quale non
solo si occupa dell’esazione delle imposte, ma svolge tutta la sua at-
tività al fine di una razionale articolazione del sistema di accerta-
mento e di riscossione dell'imposta che lo riguarda, affinché non
abbiano a verificarsi evasioni fiscali con dirette ripercussioni nega-
tive sui risultati della sua attività.

Comunque è questo un caso unico di compromesso : il comune
parve orientato decisamente a lasciare ai privati carta bianca in una
attività che pur rischiosa, impegnativa e a volte dispendiosa, do-
veva dare tuttavia ottimi profitti a coloro che l’intraprendevano.

A questa conclusione siamo giunti esaminando i registri delle
entrate della gabella grossa, quelle poche volte che il comune nomi-
nava degli officiali, con l’incarico di percepire direttamente per suo
conto i tributi daziari. Ciò accadeva raramente e soltanto per alcuni
mesi dell’anno in attesa dei nuovi appalti.

L’anno 1410, da maggio a dicembre, le entrate ammontarono
a ben 6192 fiorini, comprendenti però alcuni mesi del 1411 e 1412.
Se consideriamo che in media la gabella veniva venduta per fiorini
2952, dovremmo dedurre che in genere il guadagno dell'appaltatore

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48 RINO FRUTTINI

era cospicuo. Non possiamo però fermarci su di un solo dato. L’en-
trata della stessa gabella dall’ottobre al dicembre del 1412 fu di
libbre 2438 che in fiorini, computando 4 lire per un fiorino, significa
609 fiorini e 2 libbre. Moltiplicando l’entrata di tre mesi per quat-
tro, si dovrebbe ottenere approssimativamente l’entrata annua di
fiorini 2436. In questo caso il guadagno, nell’ipotesi di appalto, non
doveva essere rilevante. Si tratta però di dati provenienti da registri
non completi, perché non contenenti gli introiti di tutti i posti di
blocco alle porte della città e ai punti fissi dislocati ai limiti del
contado.

Più completo degli altri ci sembra il registro N° 12 della « Ga-
bella grossa » sul quale sono specificate esattamente le causali dei
pagamenti che vengono così riassunte : « Summa introitus dictorum
offitialium, quatuor mensium et septem dierum :

In:-primis:introitus:casse:. ir. libbre 4150, s. 16, d. 4
Summa introitus bestiaminis ...... libbre:: 321;:8: 11; d; -
Summa introitus mercatorum .... libbre 0:89:15: di
Summa introitus bullarum ........ libbre. 410, s. 11, d. -
summa introitus fraudum ........ libbre:+s:49jast ved: did
Summa introitus passegeriorum .... libbre 317, s. 10, d. 6
Summa summarum totius introitus

dicte gabelle quattuor mensium

etrseptemi:dierumi= s. 3: 5:899 libbre 5263, s. 11, d. 10» 5»

se le entrate mantenevano ogni quattro mesi questo livello, il
ricavo dell'appaltatore poteva raggiungere anche la cifra di 3945
fiorini in un anno. Ció comportava un reddito lordo, compreso il
costo dell'organizzazione dell'attività appaltatrice, di fiorini 993, con-
siderando come abbiamo già visto, il prezzo medio dell'appalto della
gabella, fiorini 2952. In questo caso ci troviamo dinanzi ad un ot-
timo affare di un ipotetico appaltatore.

Gabella del Vino

Il consumo del vino nella città e nel contado di Perugia assu-
meva importanza rilevante non solo sotto un aspetto economico-
agricolo, laddove si considera la produzione vinicola collegata con
la coltura della vite, esercitata in modo assiduo e costante in tutto

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LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 49

il contado e il distretto perugino, sebbene sotto un profilo pretta-
mente finanziario, circoscritto in modo decisivo ed essenziale al get-
tito tributario del comune. Una premessa, questa, che si pone spon-
taneamente analizzando e confrontando i risultati degli appalti delle
diverse gabelle ; quella del vino risulta avere la stessa importanza
della gabella grossa per l’entità delle sue entrate annuali, in media
2456 fiorini contro la media delle entrate della gabella grossa, per
un importo di fiorini 2952.

Inoltre, altra caratteristica che la accomuna alla gabella grossa :
dal 1400 al 1436 raramente andò deserta un’asta d’appalto, segno
certo che produzione e consumo vinicolo si mantenevano costanti
nel tempo ; e, nell’arco di un anno, costanti di mese in mese. Infatti
gli introiti della gabella del vino relativi ad alcuni mesi dell’anno
1409, percepiti direttamente dal comune, danno dei risultati abba-
stanza costanti :

dal;:16:al#30#marzo: 35 5: libbre::5055:s; 19; d; 3
nel eugno cioe. libbre 1236, s. 19, d. 9
nel luglio - nea libbre 1174, s. 19, d. 1

Nell'agosto le entrate raggiungono il livello più alto con 1360
libbre e 2 denari. Il settembre e l'ottobre danno pressapoco gli stessi
risultati :

Settembre: ae 5598774 libbre 1270
ottobre «22: 535 O EE libbre 1281, s. 14, d. 159

Naturalmente questi dati che abbiamo potuto rilevare compati-
bilmente col materiale a disposizione nell'Archivio, comprendono un
periodo limitato a circa sei mesi di un anno, senza pretese di essere
assunto come campione, presupposto concreto per argomentazioni
precise. Noi comunque avanziamo alcune ipotesi.

Facendo la somma delle entrate dei sei mesi considerati e ridu-
cendo le libbre in fiorini al cambio di quattro libbre e 10 soldi per
ogni fiorino, abbiamo trovato l'importo di 1645 fiorini, una libbra,
13 soldi e 2 denari che, moltiplicato per due, dovrebbe darci, fidan-
doci della relativa costanza delle entrate mensili della gabella del
vino, un gettito annuo per le casse del comune di circa 3.300 fio-
rini. Il che non é poco se teniamo presente che in media la gabella
del vino veniva venduta per fiorini 2456. Ció significa infatti un

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LACUNA UN

50 RINO FRUTTINI

margine di guadagno per l'appaltatore di fiorini 844, risultato della
differenza di 3.300 fiorini e 2456 fiorini. Naturalmente al lordo di
tutte le spese che l'appaltatore doveva sostenere per organizzare la
propria attività ; la quale si accentrava soprattutto nella percezione
«del sexto denaio de omne quantità che se venderà esso vino a
menuto per qualunque modo » 59,

Dunque una imposta di consumo sul vino venduto al minuto,
(ed anche all'ingrosso, come vedremo) poiché «deggase pagare la
dicta gabella ai dicte compratore d'essa gabella o chi per esso com-
pratore a ciò deputato fosse en quista forma, cioè del vino che se
vendesse a menuto fra quindece di puoie che sirà tolta la licentia.
de vendarlo dal dicto compratore; senza la cui licentia o polizza
non se possa vino a menuto en la dicta cità borghi e sobborghi pre-
dicte fine a le pertinentie de le dicte ville, a la pena de 25 livere de
denare a chi vendesse vino a menuto senza essa licentia e polizza
dei dicte compratore ».

Cosi risulta dal testo della cedola del 1387, trascritta integral-
mente dal Fabretti dal registro N° 1 delle Comunanze. Né la cedola
del 1422, da noi rilevata parzialmente dal registro N° 3 c. 13 dello
stesso fondo delle Comunanze, muta sostanzialmente gli estremi delle
condizioni d'appalto se non per l'aliquota della gabella : «el 59 de-
naio de omne quantità che se venderà » : un aumento dell'aliquota
d'imposta rispetto all'anno 1387.

Abbiamo voluto puntualizzare i capitoli degli appalti della stessa.
gabella, ma di anni diversi (anno 1384 e anno 1422) per poter co-
gliere più esattamente la struttura di questa fondamentale imposta
di consumo.

Cosicché abbiamo desunto che se la: gabella del vino riguar-
dava sia il vino venduto all’ingrosso che quello al minuto, ciò si
doveva a due fattori; primo : per vendere il vino al minuto occor-
reva una licenza di vendita dove fosse specificata la quantità di
vino acquistata per rivendere 59. La gabella però doveva essere pa-
gata soltanto per il vino che veniva realmente venduto al minuto
«che non se degga pagare la gabella del dicto vino se non per lo
vino tanto che se venderà, nonostante che gabellato fosse », nono-
stante fosse già stato sottoposto alla gabella del vino venduto
all’ingrosso 5”.

Secondo : la licenza per la vendita del vino, sulla quale si speci-
ficava la quantità che si intendeva vendere, era valida solo per 15

giorni : «... cioè del vino che se vendesse a minuto fra 15 dì puoia LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 51

che sirà tolta la licenza de vendarlo del dicto comparatore » 59.
se entro il termine suddetto il venditore non riusciva ad alie-
nare tutta la quantità di vino « gabellato » (cioè già colpito dall'im-
posta di consumo all'ingrosso) quale era indicata nella licenza di
vendita, doveva richiedere una nuova licenza sempre per lo stesso
vino «che restasse a vendere e pagare la gabella come dicto é de
sopra», «quantunche gabellato fosse la bocte una o più » 59).

«E che ei dicte comparatore sieno tenute de renovare licentia
per otto dì, oltra ei quindece dì, a repetizione de culuie che avuta
averà la dicta licentia. Salvo che el dicto termine de quindece
d'avere venduto el dicto vino licentiato non se entenda en gli er-
bergatore ».

Per questi ultimi il termine era stato portato a due mesi « pa-
gando en pertanto la gabella predicta fra el termine de quindici
di ; e cosi s'entenda del vino cotto e moscatello e entendase pertanto
de non dovere pagare alcuna gabella de vino maniere o aceto forte
che se vendesse a menuto per niuna ragione » *9,

Fin qui la gabella del vino ha assunto chiaramente la forma di
una imposta di consumo a riscossione mediata, in quanto colpiva
le merci all'atto della loro vendita. Era pagata dai venditori che se
ne rivalevano sui consumatori elevando il prezzo di vendita della
merce. La struttura dell'imposta sulla vendita di vino risultava in
conclusione abbastanza semplice : un sesto dell'importo di ogni ven-
dita al minuto spettava ai compratori della gabella i quali, rilasciando
le licenze di vendita, erano in grado di controllare ogni quantità di
vino venduta o da vendersi entro quindici giorni dalla concessione
della licenza stessa.

In tal modo le evasioni fiscali rimanevano difficili da attuarsi,
soprattutto se l'organizzazione degli ufficiali, accertatori ed esattori,
era capace e ben articolata; come d'altra parte richiedeva, fra le
altre, una norma del seguente tenore : «e se en alcuno celaio (can-
tina) fosse più vicino che quillo per lo quale vendere se domandasse
licentia, sia lecito al dicto compratore de podere sogellare del suo
sogello tucte glie vasa e bocte nei quaglie altro vino fosse, salvo el
vaso e bocte nel quale fosse vino ch’el signore d’esso cotidianamente
usasse per sé e per la sua famiglia, durante el termine de la vendeta
del dicto vino licentiato ».

Gli appaltatori della gabella seguivano ogni fase della vendita
del vino. La loro curiosità fiscale, interessata perché fonte di gua-
dagno, non si esauriva alla vendita di vino al minuto. Essi interve-

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52 : RINO FRUTTINI

nivano anche nella contrattazione di partite di vino all'ingrosso :
«el quale sia reposto nella città, borghe e soborghe de Peroscia en
bocte o vero en bariglie »*9, «overo che fosse recato en bariglie
prima che se facesse mercato d'esso vino vecchio o nuovo, cotto o
crudo che sia, salvo che non s'entenda en aceto o vino movere ».

In tal caso, « puoie che se facesse mercato de vendita en grosso
d'esso vino » i contraenti « cittadino, terrazano, contadino, forastiere
o giudeo de qualunche stato o condizione fosse, quale comperasse
o vendesse vino en grosso o che per altro modo patto e consegna
de vino facesse per nome de vendita » dovevano pagare al gabelliere
«quilla quantità se dichiarasse, en caso de la dicta gabella de vino
en grosso se vendesse, de la quale quantità el dicto compratore
degga avere la mità de ciascuna parte de tucto el prezzo che montasse
el dicto vino ».

Cioé, se non andiamo errati nell'interpretazione di questa esosa
formula di riscossione, il gabelliere riceveva dall'imposta sulla ven-
dita di vino all'ingrosso un introito pari alla metà del prezzo della
partita di vino venduta :

«e a pagare la dicta gabella del dicto vino sia tenuto de pagare
el soiecto per lo non soiecto e el citadino e contadino per lo fore-
stiero o altra persona non soiecta. E che ciascuno soiecto che ven-
desse o comperasse vino en grosso da alcuno non soiecto, possa e a
luie sia lecito de retenere quillo tanto che al dicto non soiecto de-
vesse pagare per cagione de la dicta gabella » *»,

La distinzione tra «soiecto » e «non soiecto », cioè fra suddito
e non suddito aveva importanza rilevante, perché il comune potesse
effettuare una esazione semplice e sicura dell'imposta, preceduta da
un rapido accertamento del soggetto percosso. Cosicché il comune,
presentandosi ad esempio il caso di un commerciante fiorentino di
vino all'ingrosso il quale si fosse recato sul mercato di Perugia per
acquistare una partita di vino ad un grossista perugino, esigeva il
pagamento della imposta, pari alla metà del prezzo pattuito della
partita, dal suddito perugino, salvo il diritto di quest'ultimo di ri-
valersi sul «non soiecto » che «devesse pagare per cagione de la
dicta gabella ».

L'imposta sulla vendita del vino all'ingrosso, appartenendo alla
categoria delle imposte sui consumi di riscossione mediata, dette
anche accise, perché colpiscono le merci all'atto della loro produzione
o della vendita, gravava di conseguenza sul venditore all'ingrosso di
vino, con rivalsa sui compratori, rivenditori al minuto di vino i

- SITA STE GERENS OT O IEEE TS ETA E P ra pena: ET atte ; Mk uf =
SSIS PIO) < ot IDE OUI lo PACI Pie LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 53

quali a loro volta traslavano l'imposta sui compratori, elevando il
prezzo di vendita del vino stesso.

Naturalmente la fattispecie dei rapporti finanziari di cui sopra
è stata ipotizzata sulla base dei principi operativi tradizionali della
Scienza delle Finanze. Ma è evidente che essendo in quei tempi in
vigore una legislazione finanziaria, moderna in rapporto al sistema
economico-finanziario generale, consapevole di dove si potesse at-
tingere risorse monetarie cospicue (e la produzione vinicola, come
abbiamo accennato, doveva raggiungere indici ragguardevoli, buon
cespite di entrate, certe e tempestive); nondimeno i soggetti per-
cossi (i produttori vinicoli) si preoccupavano, a torto o a ragione, di
rivalersi sul capro espiatorio di simili iniquità fiscali ; il tradizionale
bevitore perugino di «foietta »*9 divenne così il soggetto inciso,
ultimo anello di una catena di rapporti finanziari dove è doveroso
rilevare la presenza di un altro personaggio economico, di non poca
importanza per la divulgazione del consumo di questa bevanda, la
funzione del quale sotto un profilo essenzialmente fiscale, era quella
di attuare la traslazione dell’imposta dal produttore al consumatore,
affibbiando a quest'ultimo un’altra gabella : sulla vendita del vino
al minuto ; il personaggio in questione, non c’è bisogno di dirlo,
era il «vinattiere » o rivenditore di vino.

Il vino venduto al minuto nelle osterie dal «vinattiere » do-
veva, alla luce delle informazioni precedenti, raggiungere un prezzo
al dettaglio piuttosto elevato, essendo soggetto ad una duplice im-
posta che ne colpiva dapprima la vendita all’ingrosso, drasticamente,
e poi la vendita al minuto con un sistema di accertamento e di ri-
scossione di non facile evasione.

Il fatto, anche se contrario alle norme statutarie, era stato già
previsto dal legislatore, «e se addivenisse che el dicto vino se ven-
desse più che una fiada (all’ingrosso e al minuto) se degga pagare
la gabella tante fiade quante fiade se vendesse el dicto vino, non
obstante lo statuto ordene del comuno de Peroscia, el quale parla
che de una medesima cosa non paghe gabella più che una fiada ;
e non se entenda venire en la dicta vendita né pagare la dicta ga-
bella del vino el quale stesse reposto en bocte ovvero en bariglie
en alcuno castello o en alcuna villa del contado de Peroscia ».

Verrebbe spontaneo dare una scorsa alla tariffa della gabella
grossa, fermarsi alla voce «vino », e verificare se esso sia soggetto
o no al dazio doganale.

Fortunatamente per le tasche dei consumatori perugini abbiamo
54 RINO FRUTTINI

letto che il vino nostrano del nostro contado pagava dazio solo a
«la uscita dal contado dua avesse la licentia : 10 soldi per soma ».
Mentre il «vino de guernaccia forestiere » « vino greco forestiere »
e il «vino nostrato forestiere » doveva pagare el dazio doganale alle
porte della città. Veniva cosi salvaguardata la produzione vinicola
Il locale. La quale venne considerata una buona volta non solo sotto
m la veste di semplice cespite fiscale, sebbene sotto un aspetto econo-
mu mico-produttivo il quale andava valorizzato, non solo con la prote-
li zione doganale, ma soprattutto con una drastica riduzione delle im-
| poste, tali da divenire umanamente sopportabili.

E una buona volta, come si diceva, precisamente nell'anno
| 1408, alle condizioni di appalto della presente cedola venne aggiunto
| il fondamentale emendamento: «Che la gabella del vino che se
tI vende menuto en la cità, borghi e soborghi de Peroscia se venda al
(NET modo usato con l’infrascripte correzioni cioè : che chi vendesse vino
en grosso non sia tenuto assegnare ai compratori d’essa gabella » *9.

Per la verità, ad onore dell'equilibrio e del senso della misura

degli esattori comunali, si deve far notare che neanche prima del
1387 la vendita di vino allo ingrosso era soggetta ad imposta, in-
fatti « ancho che qualunche vendesse vino ingrosso a qualunche per-
(IDE sona, borghe, sobborghe e città de Peroscia sia tenuto e degga prima
| "i se cominze a trarre per cagione de la dicta vendeta dare el segno de
| la bocte a quillo che compararà el dicto vino ; e dato el segno esso
compratore possa trarre e fare trarre el dicto vino como serà de suo
| piacere senza pagare alcuna gabella » *9.
a Possedendo il registro dell'entrata della gabella del vino ven-
| duto all'ingrosso, nell'anno 1409 (da giugno a novembre), avendone
calcolato gli importi mensili (già riportati all'inizio del capitolo) co-
noscendo in modo preciso l'aliquota di imposta realmente applicata
a seconda della qualità di vino venduto, è facile calcolarne il con-
sumo nella città, borghe e sobborghi (escluso il contado) di Perugia
durante i sei mesi considerati.

L'aliquota di imposta, se cosi possiamo indicare una somma
espressa in soldi o in denari rapportata al « petitto » cioé il boccale,
unità di misura per il vino e l'acquavite, varia con il variare della
qualità di vino ; per il « vinus pulitus » 5 soldi pro quolibet petitto ;
il «vinus albus » 2 soldi e 18 denari per ogni petitto o boccale ; in-
| fine il moscatello : 10 soldi per ogni boccale ©9.
| Con i dati rilevati abbiamo potuto calcolare il consumo mensile

di vino, naturalmente relativo ai mesi suddetti.

LU
LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 55

Considerate le tre aliquote di imposta di 2 soldi e 18 denari, di
5 soldi, di 10 soldi per le rispettive qualità di vino, calcolatane la
media, ponderata con approssimazione (e la ponderazione è resa ne-
cessaria in quanto la vendita non è uguale quantitativamente per
tutte le qualità di vino considerate) la quale è risultata essere di 5
soldi per ogni petitto e dividendo la somma degli introiti mensili
dell'imposta per la media suddetta, sono risultate le seguenti quan-

tità :

Per la prima quindicina di marzo .. 2023,8
iper; 1l; mese idi : giugno, i556... ee 4947,8
perl. mese:di-luglio 5.5555 06 4700
peril mese .di:agostoi:3: 6865 3. 9440
iperjilemese di:settembre* +. 2080
iper.dülmese; di ottobre 5c: ee 5124

per la prima quindicina di novembre — 2296
iltutto per un totale di litri 53.300,88.

petitti — litri
petitti — litri
petitti — litri
petitti — litri
petitti — litri
petitti — litri
petitti — litri

3642,84
8906,04
8460
9792
9144
9223,2
4132,8

7
CAPITOLO V

COMUNE, APPALTATORI, CONTRIBUENTI DI FRONTE
ALL'ACCERTAMENTO E ALLA RISCOSSIONE
DELLE IMPOSTE

« Ogni legge fiscale consta di tre parti distinte ma sostanzial-
mente connesse tra loro. La prima parte comprende le disposizioni
che istituiscono l'imposta e fissa le condizioni generiche in presenza
delle quali sorge per i privati l'obbligo del contributo. La seconda
parte contiene le norme per la determinazione del debito d'imposta
di ogni singolo contribuente ; la terza le norme per la riscossione » *?.

Questi criteri generali in materia tributaria, pertinenti ai giorni
nostri, non erano sconosciuti agli organi amministrativi del comune
nel quattrocento.

L’accertamento dell'imposta, cioè la determinazione dell'impo-
nibile e del soggetto relativo, la riscossione, nonché le sanzioni fi-
nanziarie e penali previste per i contribuenti morosi erano struttu-
rati secondo i principi di un criterio tributario moderno, ben noti al
legislatore perugino. Il famoso giurista Baldo, che visse in questo
periodo e tanto lustro dette allo Studio perugino, si occupó intensa-
mente di problemi finanziari e i suoi studi teorici furono rapidamente
proiettati a regolamentare concretamente l'impressionante pletora di
gabelle che Conservatori della Moneta, Massari, Officiali della Camera
dell'Abbondanza avevano l’incombenza di imporre ed esigere nei
tempi e nei modi dovuti.

Il testo delle Comunanze rivela senza dubbio proprietà di ter-
mini finanziari, conoscenza della dinamica nei rapporti fra gli or-
gani giurisdizionali (Podestà e Capitano del Popolo) e gli organi fi-
nanziari, precisione della determinazione delle scadenze nei rapporti
fiscali, ai fini di un esatto computo degli interessi relativi, riconosci-
mento dei diritti del contribuente in caso di contestazione sull'entità
dell'imponibile. |

Ai fini di un accertamento dell'imposta sufficientemente equo e
soddisfacente per tutti era stato istituito 1’ « armario », che permet-
teva «di determinare l'imposta con precisione, per distribuirla giu- LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 57

stamente, per graduarla secondo le condizioni economiche dei sin-
goli»; infatti Perugia «si accinse per tempo alla notazione delle
proprietà private e alla compilazione dei libri dell'estimo » **).

Cosi il sale, soggetto a monopolio, fu assegnato ai cittadini in
quantità crescente a seconda che fossero «allibrati» fino a 25; da
5 a 50 libbre ; da 50 fino a 100 libbre ; cui venivano aggiunte «18
libbre di sale per bocca » 99).

Il catasto divenne sempre più parte essenziale ed integrante del
sistema finanziario perugino, a mano a mano che le entrate patrimo-
niali cedevano il passo alle entrate derivate provenienti da imposte
dirette (Nova Imposita) che, « per sopperire alle spese di guerra fu
bandita nel finire dell'anno 1410 mentre al governo della città pre-
siedeva Francesco Ricciardi da Ortona in nome del re napolitano
(Ladislao) » 79.

L’imposta colpiva tutti i cittadini, non esclusi i forestieri. An-
davano esenti i servi e le serve, i poveri e gli inabili al lavoro, i frati
o fraticelli, i mendicanti, certi officiali pubblici, alcuni ecclesiastici
e gli scolari forestieri.

Le esenzioni erano dettate da motivi che a prima vista parreb-
bero religiosi, ma in realtà indicavano strana e timorosa deferenza
verso un potere, quello temporale del papato, con il quale Perugia
in quegli anni non manteneva certo rapporti di amicizia. Ciò nono-
stante il papa riceveva 5.000 fiorini l’anno : una contribuzione con
finalità non chiara che Perugia gli elargiva anche nel 1400, dopo la
sua dedizione a Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano e nemico
del papa.

La maggior parte delle imposte erano indirette ; pertanto l’ac-
certamento non creava grossi problemi di carattere inquisitivo o in-
diziario ; provocava invece la esigenza di una organizzazione di esat-
tori, controllori, vigilatori con il compito di seguire qualsiasi movi-
mento di merce : dal vino al sale, alla farina, alla legna, alla paglia,
fino alle centinaia di voci registrate nella gabella grossa, ognuna
delle quali indicava una merce diversa da tutte le altre, con caratte-
ristiche merceologiche particolari. I privati appaltatori si dovettero
rivelare abili esattori di imposte, se per tanto tempo attecchì in
Perugia la consuetudine di appaltare le gabelle al maggior offerente
di fiorini.

Entro scadenze ben precise, i compratori erano obbligati a re-
gistrare l’atto di acquisto della gabella con il contenuto della stessa
presso la cancelleria del comune. Pene non indifferenti (fino a 500
58 RINO FRUTTINI

libbre) erano previste in caso di inadempienza alla norma o di ri-
tardo sui termini di pagamento.

Così i compratori della «salaia» erano tenuti registrarne la ce-
dola «in la cancelleria del Comune de Peroscia con tutti i suoi ca-
pitoli entro el termine de un mese dal di dello stabilimento a la pena
de libbre 500 de denari » ?».

Nello stesso senso il cap. 2 e l'emendamento che ad esso venne
apposto, e il cap. xv della comunanza dell'acqua del lago recitano :
«che ei compratori sieno tenuti in fra el termine de otto giorni dal
di dello stabilimento fare el contracto con messer lo tesoriere del
prezzo d'esso laco e dare buone e sufficiente ricolte che pagheronno ».
Dopo ció si doveva provvedere alla registrazione del contratto. Le
«ricolte » erano garanzie di solvibilità fornite dagli aspiranti per
l'acquisto della gabella prima dell’indizione dell'appalto. E la mi-
glior prova di solvibilità consisteva nel pagamento anticipato di una
somma alla Camera dei Massari o dei Conservatori della Moneta.
La somma veniva restituita da colui che vinceva l'appalto (il mi-
glior offerente) a coloro che pur avendo dato «buone e sufficienti
ricolte », non possedevano un capitale in misura tale da competere
cogli altri contendenti piü fortunati, perché mercanti di maggior
prestigio illustrato da un’accumulazione di beni e di fiorini non co-
mune, che secondo lo spirito economico di quei tempi doveva avere
caratteristiche di immoralità se il proprietario doveva agire come se
le ricchezze gli fossero state prestate da Dio; cosicché «doveva
provvedere alla soddisfazione dei propri bisogni secondo le conve-
nienze del proprio stato elargendo il superfluo ai poveri » 9.

More solito i proponimenti dell’ «homo economicus » medioevale
erano ottimi, dettati da un sincero spirito di carità cristiana. Ma fra
il dire delle leggi e dei sermoni, spesso impartiti da San Bernardino
da Siena sulle piazze ai Perugini increduli e scettici per essere av-
vezzi, i più ricchi, ad una vita dispendiosa ed agiata, ed i poveri
rassegnati a ratificare perennemente il loro stato di inferiorità econo-
mica e morale con l’aderire al principio di antichissima memoria
«panem et circenses », posto in essere con le finanze dei più ric-
chi; ma fra il dire, dunque, e il fare, e il porre cioè in atto certe
disposizioni di legge o di consuetudini, sorgevano numerose diffi-
coltà, prima fra tutte l'umana debolezza.

Presentandosi congiunture favorevoli per la formazione di capi-
tali, dapprima modesti, poi via via, una volta inteso da che parte
stormisse il vento della ricchezza, sempre più cospicui, avevano un LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 59

bel dire San Bernardino e San Tommaso «che gli istinti economici
andavano disciplinati, armonizzati ai fini del cristiano e della so-
cietà cristiana » affinché «il massimo benessere economico raggiun-
gibile fosse quello sociale, quale mezzo ad altre maggiori conquiste » ?9).

Ed il mercante, imprenditore e banchiere ante litteram comin-
ciava ad intendere i prima rudimenta caratteristici peculiari della
propria attività, proprio prestando orecchie da mercante alle tediose
ramanzine di S. Bernardino.

Perfino i domicelli, donzelli dei priori, avevano compreso l'im-
portanza finanziaria di alcune iniziative di prestito, non sappiamo
fino a qual punto ad usura.

Nulla di straordinario se un certo giorno, 31 gennaio dell'anno
1414 «Franciscus Iacopi, Meus Bechi, Bartolus Chiustelli, Johannes
Morini, Antonius Nini, Abatinus Mathei, Domicelli Dominorum Prio-
rum artium civitatis Perusiae solverunt dictis massariis, pro parte
pretii gabelle quadrupedum vendende, florenos septem auri pro quo-
libet ipsorum de eorum propriis pecuniis, animo rehabendi ab emp-
toribus dicte gabelle et eorum fideiussoribus de quibus fecerunt eisdem
finem et refutationem : florenos... 42» *».

Per un istante facciamo bene attenzione alla dinamica dell'ope-
razione finanziaria posta in essere dai suddetti domicelli da una
parte, e dal comune e dai futuri compratori della gabella dall'altra.

Nell'anno 1414, il 31 gennaio, dei donzelli dei Priori versano
alla cassa dei Massari 42 fiorini « pro parte pretii gabelle quadrupe-
dum vendende » cioè quale anticipazione su una parte del prezzo
della gabella che ancora doveva essere venduta «animo rehabendi
ab emptoribus dicte gabelle et eorum fideiussoribus », cioè con il
proposito di veder restituita detta somma non dai cassieri del co-
mune, ai quali in sostanza essi hanno concesso un prestito, ma dagli
acquirenti della gabella.

Ancora oggi, nelle aste di appalto, coloro che vogliono concor-
rere devono versare una cauzione, quale garanzia di solvibilità una
volta vinto l'appalto. Probabilmente i nostri domicelli avevano in-
tenzione di acquistare la «gabella quadrupedum » non molto co-
tosa: in media dava al comune un gettito di 650 fiorini annui. Se
il loro intento non si fosse realizzato, sarebbero stati soddisfatti per
la somma versata dai vincitori dell'asta.

In tal modo il comune aveva incassato la somma di 42 fiorini ;
ai compratori della gabella spettava restituire la somma anticipata.

A nostro avviso i domicelli avevano soltanto delle velleità di
60 RINO FRUTTINI

emptores; e ciò è provato per due motivi: 1) anche se non dispo-
niamo dei risultati dell'appalto e il nome dell'appaltatore relativo
all'anno 1414 ed alla gabella che ci interessa, possediamo invece i
nominativi dei compratori degli anni precedenti : i domicelli non as-
surgono mai all'onore delle cronache finanziarie : probabilmente es-
sendo in genere la gamma dei compratori non molto variabile, se ne
puó trarre la conferma di quanto sosteniamo ; 2) scartabellando le
carte dello stesso registro dei Massari, fra le uscite del 16 novembre
1414, viene registrato l’eritus di 72 fiorini a favore degli stessi « do-
micelli» i quali: «fuerunt contenti et confessi habuisse et recepisse
a dictis Massariis dantibus et solventibus pro eorum salariis sex
mensium inceptis die primo mensis iuli anni 1414 ad rationem duo-
rum florenorum auri pro quolibet eorum et quolibet mense iuxta
formam regularum dicte camere florenos duodecim pro quolibet eo-
rum in totum inter omnes absque solutione gabelle florenos septua-
ginta duos de quibus fecerunt dictis massariis finem et refutationem.
Sine solutione gabelle: florenos 72 » 9,

Ora, percependo ciascun donzello un salario mensile di due fio-
rini, come potevano sei domicelli costituire una società con un capi-
tale tale da sostenere il rischio che comportava un'attività in-
tensa e impegnativa quale l'accertamento e l'esazione di tributi ?
Ed inoltre come era possibile conciliare, sia sotto un profilo giu-
ridico, sia sotto un profilo pratico-tecnico due attività entrambe im-
pegnative ? Sono due interrogativi che ci fanno sorgere un sospetto,
una semplice illazione ; e sarebbe interessante approfondirla in un
altro studio.

Un comune bisognoso di soldi perché coinvolto in eventi bel-
lici più grandi di lui, escogita tutti i sistemi possibili e immagina-
bili per fare uscire dalle tasche dei cittadini, soprattutto se ricchi
mercanti, il maggior numero di fiorini possibile.

Allora il comune si serve dei suoi domicelli quali teste di legno,
imponendo loro un versamento in fiorini alla cassa dei Massari per
simulare la loro ammissione e partecipazione all'asta.

Una simulazione che in questo caso permise l'introito nelle casse
comunali di 32 fiorini quale anticipazione sul prezzo d'acquisto della
gabella. Cosi, con una semplice finzione, veniva risollevato, anche se
di poco il deficit comunale, a spese degli appaltatori della gabella.

Naturalmente le nostre sono supposizioni che abbiamo cercato
di documentare al fine di convincere della loro attendibilità. E l'ipo-
tesi fatta sui «falsi» rapporti fra comune e domicelli aspiranti ap-
LE « COMUNANZE»? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 61

paltatori, troverebbe conferma nella situazione patologica del sistema
finanziario perugino.

Non c'é nulla di fuori dell'ordinario, di quasi illecito se, come ci
riferiscono i registri dei risultati degli appalti delle gabelle, il comune
ricevette normalmente dei prestiti da qualsiasi cittadino, nella mi-
sura di somme a volte irrisorie, sulle rate del prezzo delle gabelle
vendute. Oggi lo chiamaremmo prestito pubblico. Allora invece era
un'operazione, con molti lati oscuri per noi, la quale essendo posta
in essere, doveva procurare un introito ai soggetti in essa coinvolti :
per ogni gabella molto numerosi sono i sottoscrittori dei prestiti,
sulle varie rate del prezzo al quale la gabella era stata venduta.

L'insieme delle somme sottoscritte a volte superava di gran
lunga il prezzo della gabella appaltata. Cosi nell'anno 1403 la ga-
bella della salaia fu venduta per fiorini 1400. Facendo la somma dei
prestiti sulle varie rate di pagamento abbiamo rilevato la somma di
ben 7.706 fiorini, con uno scarto di 5306 fiorini rispetto al prezzo
d’appalto. Per la gabella del vino, invece, venduta nel 1402 per
3.070 fiorini, la somma dei prestiti coincideva con il prezzo di ven-
dita. Nell'anno 1402 sempre rilevante era stato lo scarto per la ga-
bella della salaia : prezzo di vendita 1633 fiorini ; somma dei prestiti
4181 fiorini con uno scarto di 2548 fiorini. Lo scarto diminuì sensi-
bilmente nel 1415, dove al prezzo d’appalto di fiorini 12.400 fece
riscontro una somma di prestiti di fiorini 13.376 e lo scarto fu ri-
dotto a fiorini 976 79).

Sempre nell’anno 1402, la somma di 1500 fiorini alla quale fu
appaltata la gabella delle panicocole, venne coperta dai prestiti sol-
tanto per fiorini 1049.

In sintesi la dinamica dell’operazione relativa ai prestiti sud-
detti ci sembra essere la seguente : privati cittadini sostenevano il
prestito pubblico garantito dalla rata del prezzo di appalto della
gabella. Tale sottoscrizione ne superava di gran lunga il prezzo
d'appalto. Il prestito veniva versato nelle casse del comune, mentre
agli appaltatori della gabella ne spettava la restituzione a determi-
nate scadenze, per una somma comprensiva degli interessi.

Eventuali differenze in più o in meno fra rata del prezzo di ap-
palto e ammontare dei prestiti sottoscritti, venivano regolate diret-
tamente fra comune da una parte e appaltatori dall’altra. Si veniva
così a determinare un interessante fenomeno di circolazione mone-
taria che riguardava tre soggetti economici : il comune, gli appalta-
tori e i privati cittadini sottoscrittori del prestito pubblico.

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62 RINO FRUTTINI

Prima di continuare nello sviluppo del nostro processo logico-

finanziario, vorremmo convincere il lettore dell'opportunità di usare

il termine «prestito » sulle varie rate del prezzo delle gabelle. In-
fatti anche noi ci siamo ritenuti convinti e legittimati a usare la.
parola prestito, in questa fattispecie finanziaria, soltanto dopo aver
appurato che un certo Nofrio di mastro Giglio esegui il pagamento
della colletta alla Camera dei Conservatori della moneta per fiorini
5, 56 soldi e 6 denari per conto di ser Nicola di Marco.

E nel pagare egli informa i cassieri del comune sulla provenienza.
di quei fiorini. Naturalmente i cassieri del comune registrarono sui
loro libri la dichiarazione di ser Nofrio, probabilmente richiesta quale.
valida giustificazione per un ritardo nel pagamento della colletta.
Cosi la curiosità dei cassieri del comune si rivela di grande aiuto nel
soddisfare le nostre esigenze di ricercatori. Sappiamo allora che ser
Nofrio pagó la colletta con i denari « quos dixit rehabuisse de pre-
stancia ab emptoribus comunantie super salis » ??.

Neppure i professori universitari disdegnavano di dare denari
ad usura : « costat sub 1406 die 15 mensis iulii, infrascriptos doctores.
medicos et magistros solvisse domino thesaurario et Paolino Ceccholi
et sotiis conservatoribus monete infrascriptas florenorum et pecu-
niarum quantitates de eorum et cuiuslibet eorum propria pecunia

animo rehabendi super dicta comunantia ab emptoribus ipsius super
prima paga ipsius si vendetur et si non vendetur de primis denariis.

ex ea exigendis videlicet . . . » 9.

Segue poi un elenco di venticinque professori, docenti presso
l'Università degli studi, sottoscriventi per una somma complessiva
di 287 fiorini. Il 14 luglio dello stesso anno Antonio di Angelello

«Comuni de Perusio procuratorem strenui viri Ceccholini de Miche--
loctis capitanei, solvisse super dictis conservatoribus duomilia sex-
centos florenos auri de propria pecunia dicti Ceccholini animo re-
heabendi super dicta salaia tota tertia paga ipsius et residuum super

quarta paga pro ut in introitu dictorum conservatorum continentur ».

In quest'operazione ben 2.616 fiorini vengono investiti da un.

unico cittadino sulla rata del prezzo di una gabella il cui assuntore

doveva dare, in questo caso piü che mai, ottime garanzie di ono-
rare i propri impegni finanziari, essendo il rischio dell'investimento:

rilevante e non frazionato.
Il detto Ceccholino Michelotti, fratello di Biordo che signo-
reggiò Perugia alcuni anni verso il 1396-7, doveva possedere ingenti

depositi di fiorini se nel 1415 il 30 dicembre dette incarico a « Ma-

som ng

4 LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 63.

theus Ranaldutii bancherius de Perusio porta Sancti Angeli, procu-
rator et procuratorio nomine » di versare alla cassa dei Conserva-
tori della Moneta 362 fiorini, quale prestito concesso ai compratori
dell'aequa del lago nell'anno 1415. Con la rata del febbraio se-
guente i compratori della gabella lo avrebbero soddisfatto del suo
credito. Nello stesso giorno lo stesso banchiere stipula altri due pre-
stiti, a nome del medesimo Ceccholino ; essi sono coperti da altre
due rate del prezzo della stessa gabella, per un importo di 1517
fiorini ciascuno. Il versamento di si ingente somma viene registrato
nel libro dei Conservatori della Moneta e nel registro delle comu-
nanze *9,

Purtroppo peró, e soprattutto per Ceccolino Michelotti, l'ope-
razione speculativa non è delle più felici. L'appalto della gabella
che doveva durare tre anni é annullato circa dieci mesi dopo.

Infatti l'anno 1416 è denso di avvenimenti tali da sovvertire.
completamente le posizioni di potere politico esistenti nella città :
Braccio da Montone, alla testa dei beccherini fuorusciti, diventa
signore di Perugia dopo una battaglia che coinvolse migliaia di uo-

mini nella piana di S. Egidio. E Ceccolino Michelotti, uno dei con-

dottieri più in vista della parte avversa a Braccio, esponente di gran
prestigio dei raspanti, venne fatto prigioniero.

L’anno seguente la gabella fu venduta nuovamente, questa volta

per un anno 8°),
Banchieri che operano concedendo prestiti rilevanti, a nome di

soggetti economici, che, data l’entità dell’operazione mostrano, senza

reticenza medievale, di aver accumulato capitale notevole ; appalti
di gabelle, intorno ai quali si nota un intenso movimento speculativo,

che crollano improvvisamente; mutui di denari specificati chiara-

mente nell'eseguire l'operazione relativa (ed ogni atto è registrato
per ben due volte, in due registri contabili distinti): ció denota una
mentalità moderna, l'uso di strumenti economico-finanziari che sono

quelli di un regime economico dove la circolazione monetaria e cre-

ditizia è ad una fase di avanzata elaborazione, e l'attività finanziaria
privata e pubblica si svolge ordinatamente e con precisione, anche
senza raggiungere l'esattezza dei nostri calcoli elettronici.

Questi esempi dovrebbero convincere dell'entità e della miriade

di interessi che si concentravano sugli appalti delle gabelle : l'assun-

zione della gabella e le relative incombenze divengono un fatto di

primaria importanza nella valutazione della partecipazione della

borghesia perugina al processo finanziario del comune.

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64 RINO FRUTTIN:

Tuttavia, durante periodi di guerra e pertanto di disordine mo-
rale, economico e, per quello che ci riguarda, tributario, si possono
presentare risorse artificiose che, sapute sfruttare provocano ric-
chezze e benessere per alcuni (pochi) cui fa da deplorevole e vergo-
gnoso sfondo sociale il pauperismo cronico dei piü.

Vediamo Perugia in questo periodo : innumerevoli, e spesso in-
sensate guerre di conquista dettate dall'ambizione del valoroso con-
dottiero Braccio Fortebracci, precedute da frequenti lotte fratricide
fra comune e fuorusciti (ora i nobili ora i popolani); ció serviva a
diffondere un'atmosfera di incertezza, di abulia perfino di scora-
mento negli animi piü sensibili e provati.

La scala delle priorità intellettuali e sociali, valorizzata da cri-
teri di selezione fondati sulle vere capacità e virtü dell'individuo,
diviene pericolante ; solo parametro di valutazione per acquisire un
alto gradino nella scala sociale è la ricchezza.

In tal modo ora i primi, che antecedentemente non erano tali,
sono i borghesi piü ricchi, coloro che acquistano una posizione di
privilegio monopolistico colle loro ricchezze, risultato di un'attività
che non é stata senz'altro volta a vantaggio della pubblica comunità.
E uno di costoro ad esempio poté prendere in appalto la gabella del
lago nel 1416 al prezzo di ben 11.300 fiorini. Il fortunato è « Lodovi-
cus Pauli Sobalze Porta Eburnea cui stabilita et vendita fuit dicta
comunantia aquae lacus...» 8.

Il meccanismo che regola i rapporti fra compratori della ga-
bella, comune e sottoscrittori del prestito rimane sempre lo stesso :
il compratore acquista la comunanza con tutti i diritti in essa in-
corporati e s'impegna al pagamento rateizzato del prezzo della ga-
bella a determinate scadenze presso i cassieri del comune. Questi,
prima della scadenza delle varie rate, hanno già ricevuto tutto o
quasi tutto l'importo tramite le numerose sottoscrizioni del prestito.
Ai compratori non rimane altro che girare il pagamento ai sottoscrit-
tori del prestito stesso.

DEBITI ERE IT CaPrrroLo VI

CONSIDERAZIONI SOCIO-ECONOMICHE SUI RISULTATI
DEGLI APPALTI DELLE GABELLE DAL 1400 AL 1436

Molto spesso dall'elaborazione di dati rilevati cronologicamente
per un arco di tempo significativo e piuttosto ampio, si possono
trarre argomenti nuovi e concreti, perché basati su elementi di fatto
come i registri dell'archivio, indispensabili per uno sviluppo dello
studio storico ; che necessariamente deve poter essere suffragato da
prove, anche se frammentarie, ma tuttavia sempre prove da com-
binarsi fra loro e con altri elementi prodotti dal ricercatore, a testi-
monianza della serietà delle sue deduzioni.

A noi interessava, giunti a questo punto del lavoro, inserire il
quadro piü rifinito e completo possibile dei risultati degli appalti
delle comunanze costituite con i criteri suddetti, nella cornice eco-
nomica, nel movimento dinamico, disordinato, a volte caotico degli
avvenimenti politici e sociali, nelle difficoltà finanziarie che Perugia
incontrava senza dubbio durante quest'ultimo sprazzo di vita co-
munale libera e indipendente (anche se alternata con brevi tempi
di sottomissione a potenti signori, come Gian Galeazzo Visconti
duca di Milano, e Ladislao re di Napoli) prima di entrare definitiva-
mente nella sfera del potere papalino.

Vedere dunque le imposte, con tutte le logiche implicazioni or-
ganizzative per il loro accertamento e per la loro riscossione, nella
prima fase di riscossione dei tributi, cui seguiva la seconda fase di
ripercussione sul livello di vita dei cittadini, in quanto esso livello
collegato in misura rilevante con le variazioni della pressione tribu-
taria ; al limite mettere insieme tutte le notizie a disposizione, come
a formare un mosaico per comporre le manifestazioni della vita co-
munale nel loro aspetto economico, sociale e politico quali si sareb-
bero potute osservare ogni giorno sui mercati, sulle piazze, nelle
case e nelle botteghe degli artigiani e dei mercanti : sono tutte ipo-
tesi di ricostruzione storica che si rendono utili nella misura in cui
riescono a interpretare gli avvenimenti del passato sulla base di
motivazioni economiche e sociali, più che semplicemente politiche.

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66 RINO FRUTTINI

Come a dire: se vogliamo essere obiettivi, occorre riconoscere
che il corso della storia é delineato non tanto dalla personalità ori-
ginale e dall'impegno di grosse personalità di statisti, di condottieri,
di diplomatici, quanto dalla loro abilità di sapersi ergere a paladini
(con uno stile che per passare alla leggenda deve avere talvolta note
istrionesche) delle aspirazioni del popolo (oggi diremmo dell'opinione
pubblica) il quale le manifesta d'istinto, ingenuamente senza peró
individuare i tempi e i modi per attuarle razionalmente.

Nasce in tal modo (e lo rileviamo per inciso) la figura del prin-
cipe, quale il Machiavelli ci ha dipinto, ambizioso, vanitoso, alla
ricerca di grandi eventi per poterli dominare, dimostrando cosi al
mondo la sua forza, la sua intelligenza, la sua capacità di dittatore.

Egli però non potrà mai raggiungere il vertice di una potenza
duratura senza capire a fondo i problemi, le illusioni, le ambizioni,
le esigenze del popolo ; anche se il principe diviene despota, ma non
buon reggitore della signoria, conducendo vita avulsa dalla realtà
sociale dei suoi sudditi; sui quali riesce ad imporsi non solo con il
terrore, ma con doti di intuizione e con una profonda abilità nel
gioco politico dei rapporti di forza fra le maggiori componenti la
società medioevale.

La storia economica può aiutarci a comprendere con più verità
i fatti del passato. Dei quali, non dimentichiamolo, il popolo fu il
supremo artefice.

Ed ecco allora spiegata, ai fini di uno studio che riesca a com-
penetrare meglio la realtà sociale del periodo preso in esame, l’im-
portanza dell’andamento dei risultati finanziari degli appalti delle
gabelle di questo periodo storico.

In tale andamento si riflette la misura degli umori dell’opinione
pubblica perugina, essendo proporzionata quasi esclusivamente al
livello della pressione tributaria, determinata dai provvedimenti fi-
nanziari presi dai Priori, affiancati durante questo periodo dai « dieci
dell’arbitrio » (una sorta di comitato civico eletto in periodo di
emergenza; segno chiaro di poca tranquillità per la città). È evi-
dente infatti che quanto maggiore è il prezzo d’appalto delle varie
gabelle e pertanto più gravosa la pressione tributaria, tanto minore
è il reddito rimasto a disposizione dei cittadini per provvedere ai
propri bisogni individuali.

Si potrebbero trarre pertanto interessanti indicazioni : sulla pres-
sione tributaria di quei tempi e conseguentemente sul reddito fami-
liare dei contribuenti perugini, come seguiva a certe iniziative fiscali.

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LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 67

Doveva tirare aria di fronda in Perugia a sentire il Bonazzi ;
il quale ci dà un resoconto a fosche tinte : «si viveva una vita sten-
tata, burrascosa ed incerta in mezzo ai lagni dei malcontenti e le
codarde recriminazioni degli accidiosi » *?).

Sotto certi aspetti si notò un cambiamento del tenore di vita
ma molto esteriore e temporaneo, limitato a pochi individui, con il
principiare della signoria di Braccio Fortebracci. Infatti le sue vit-
torie belliche riportate in ogni parte d’Italia erano motivo «di ag-
giungere altre feste alle tante che per ritorni, vittorie, nozze, nascite,
incoronazioni, arrivi di principi e principini si facevano quasi ogni
mese a Perugia » *. Naturalmente non erano sufficienti elargizioni
una tantum a favore della persona di Braccio, quali gli 80.000 ducati
pagati per il riscatto del Malatesta #) per modificare una situazione
economica ormai irrimediabilmente deficitaria : erano buoni sem-
mai dato il loro carattere di temporaneità, ad attuare e a perpetuare
le ambizioni politiche e guerriere del condottiero «per gratificargli i
soldati con pingui elargizioni, per amicargli sempre più i concitta-
dini con private magnificenze, pagando del suo (di Fortebracci) per-
fino i debiti creati sotto il governo dei Raspanti » 85).

In questa situazione caotica e irresponsabile sia alla base della
comunità cittadina sia al vertice, Braccio signore di Perugia, focoso
capitano di ventura, era troppo impegnato a girare di contrada in
contrada, ansioso di nuove conquiste da appendere al suo immagi-
nifico gagliardetto che avevano più di fumo che d’arrosto : non po-
teva mantenere ed assolvere alle sue responsabilità di amministra-
tore della cosa pubblica di Perugia; e sotto il suo fiduciario Bin-
doccio Ricciardi l’anno 1416 «i nobili sempre più divorati da una
smisurata ambizione rompevano ad ogni maniera di soprusi nella
formazione delle borse, nel conferimento degli uffici, nel maneggio
della cosa pubblica » 8°.

Il barometro dei fenomeni politici che turbano il normale an-
damento della cosa pubblica in uno stato, è senz'altro la pressione
tributaria. A dar retta al Bonazzi ed alla sua inquietante descrizione
dell'economia e della finanza perugina si dovrebbe concludere pessi-
misticamente e commiserare ancor più i contribuenti del comune,
stimando a chissà quale livello fosse stato elevato il volume dei
prelievi tributari.

Certo non é facile poter calcolare, anche approssimativamente,
l’incidenza media dell’insieme delle imposte sul reddito medio del
cittadino. Ma è evidente che se sensibile doveva essere l'aumento
68 RINO FRUTTINI

dellimposizione fiscale, in egual misura doveva elevarsi il gettito
del comune : in pratica i prezzi riscossi dagli appalti delle gabelle ;
sempre naturalmente per rimanere nell'ambito della imposizione in-
diretta.

In tal modo il quadro prospettico dei risultati degli appalti
delle gabelle e gli andamenti dei grafici che i dati rilevati in discreto
numero ci permettono di delineare e di interpretare, vengono a co-
stituire un punto di riferimento obiettivo ed ineccepibile sulla si-
tuazione finanziaria del comune, sulle condizioni di reddito dei con-
tribuenti, nonché sui rapporti finanziari tra fisco e contribuente,
non solo in quanto titolare di un reddito familiare, sebbene come
forza produttiva in possesso di un capitale da investire ed animato
da idee nuove e geniali da realizzare.

Comparando i vari risultati (prezzi d'appalto) per ogni tipo di
gabella dall'anno 1402 all'anno 1436 non si manifestano aumenti
esorbitanti e costanti (e pertanto inasprimenti di imposte) come il
Bonazzi allarmato ci fa comprendere. Ció non significa che l'anda-
mento dei risultati degli appalti non presenti variazioni, anche bru-
sche di anno in anno; pensavamo peró, rammentando i passi piü
importanti per la nostra documentazione sulle opere degli storici
locali, che la finanza pubblica fosse sull’orlo della bancarotta. Al
contrario i grafici presentano un percorso relativamente fluttuante,
quasi mai con tendenze costanti alla diminuzione.

Ad esempio la gabella del frutto delle acque del lago, posse-
dendo i dati di 22 anni su 35 (dall’anno 1401 all’anno 1436) presenta
un introito medio di fiorini 9.397 all’anno che comparato con il
minimum di fiorini 4.395 registrato nell’anno 1425 (e tale minimum
costituisce un’eccezione se durante gli altri 21 anni per i quali pos-
sediamo i dati non si sconfina oltre il valore minimo di 7520 fiorini)
e con il marimum di 13.750 fiorini dell’anno 1406, non presenta,
giusta le considerazioni fatte or ora, variazioni notevoli o che ten-
dessero a divenir tali col passare degli anni. Al contrario, dal 1429
la curva assume un percorso decisamente stabile su valori che oscil-
lano intorno agli 8.000 fiorini.

La gabella della « salaia », altro pilastro delle entrate comunali,
presenta una brusca impennata nel 1413. Dal 1402 fino ad allora
il prezzo dell’appalto si era mantenuto intorno a valori non infe-
riori ai 5.500 fiorini e non superiori ai 9.000. Nell'anno 1413 si va
improvvisamente da un prezzo di fiorini 6.300 a un prezzo di fio-
rini 11.616 sul quale importo la gabella pare assestarsi.
(DS

LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 69

Dall'anno 1423 all'anno 1425 abbiamo un vuoto dovuto alla
frammentarietà del materiale di ricerca. Infine nel 1436 la gabella
viene venduta al prezzo di 6.000 fiorini per tre anni (2.000 fiorini
all'anno), un prezzo molto basso rispetto ai precedenti.

La gabella grossa e la gabella del vino hanno pressappoco lo
stesso andamento, senza troppo brusche impennate con risultati oscil-
lanti intorno ai valori medi di 2.952 e 2.456 fiorini rispettivamente.

Le altre gabelle danno tutte risultati decisamente inferiori a
quelli riportati, pur raggiungendo nel complesso cifre rispettabili :
1823 fiorini mediamente per anno, frutto della somma dei risultati
degli appalti della gabella della legna e della paglia, dei quadrupedi,
del postribolo e dei banchi.
CapitoLo VII

PARALLELI, NELL'AMBITO DELLE COMUNANZE,
FRA ENTRATE ORIGINARIE ED ENTRATE DERIVATE

Il sistema finanziario del secolo xv non raggiungeva una per-
fezione tale da poter distinguere in esso, su basi scientifiche, le im-
poste dalle tasse, le imposte dirette da quelle indirette e tanto meno
le entrate patrimoniali da quelle derivate.

Naturalmente ciò provocava la carenza di giustificazione giuridica
ed economica per gran parte delle imposte, e confusione ed arbitrio
nell’articolare l’imposizione.

In altri termini non ci si preoccupava molto delle conseguenze
economiche e sociali delle imposte o di inasprimenti fiscali, fidandosi
sullo spirito feudale di sudditanza compenetrato nella mentalità del
contribuente medioevale.

L’abitudine di pagare il soldo al feudatario ad ogni più piccola
manifestazione di guadagno, dopo secoli di disposizioni tributarie
vessatorie, non poteva venir meno da un momento all’altro.

E forse ancora oggi il contribuente non può fare a meno di ac-
cettare l'antico ritornello «il fisco ha sempre ragione», pagando
così l'importo di ogni cartella tributaria meccanicamente, senza cer-
car di capire, perché paga, che cosa paga e in quale misura.

Grande dimestichezza con il diritto dimostravano i nostri am-
ministratori, quando occorreva escogitare formule di esazione fi-
scale, soggette alla più completa vigilanza per evitare ogni possibile
evasione.

Dunque : un sistema finanziario, quello dei comuni, con un in-
sieme di imposte graduate su una scala prioritaria di importanza e
misurate tenendo conto di fattori temporanei prettamente quantita-
tivi, scelti seguendo un calcolo di semplice convenienza immediata
che si estrinsecava in un’entrata di fiorini, senza prendere in esame
le esigenze economiche, geografiche, sociali delle comunità le quali
dovevano essere condizione determinante e non ridotte al rango di
fonte meccanica di riscossione.

Da questo punto di vista si può comprendere perché le entrate

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+; LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 71

patrimoniali provenienti dai beni del Chiusi subirono una flessione
rilevante, divenendo in poco tempo elemento insignificante nella
somma delle entrate fiscali.

Probabilmente il cespite d'entrata patrimoniale « poste del Chiu-
sci» troppo era stato spremuto per continuare ad essere allo stesso
tempo un buon investimento per i contadini, salariati o mezzadri,
che abitavano il detto territorio e dare una consistente quantità
di entrate in grano per la Camera dell' Abbondanza responsabile della
politica annonaria.

Naturalmente il fenomeno non va considerato avulso dalla realtà
che allora, come abbiamo già visto, non era molto favorevole per
l'agricoltura ed il suo sviluppo. Sta di fatto peró che il comune non
fu in grado di sfruttare con una sana politica agricola (che natural-
mente mal si concilia con velleità belliche) la generosa terra del
Chiusi.

Molto più accorta, anche perché di più facile attuazione, fu
invece la politica di valorizzazione del lago di Perugia, il cespite
più importante e proficuo di entrate.

Delineando un parallelo nell’ambito delle gabelle di questo pe-
riodo fra entrate derivate ed entrate originarie e ponendo nel con-
fronto da una parte una serie di gabelle che vanno dai dazi doganali
all'imposta sui banchi di vendita, dalla gabella sul consumo di vino
all'ingrosso alla gabella sui cenci, dalla regalia della salaia (ed è
una regalia perché dopo la Pace di Costanza... «la distribuzione
‘obbligatoria del sale per motivi fiscali fra la popolazione a prezzi di
tariffa seguitò ad essere nei comuni una delle fonti principali di en-
trata ed una delle basi più sicure di tutto il sistema finanziario ») *?
fino alla gabella della legna e della paglia, e per finire alla gabella
dei panettieri o a quelle delle misure; e dall'altra le vere entrate
patrimoniali, ormai ridotte a poche centinaia di fiorini che fornivano
la pastura e le poste da vendersi nel Chiusi, le pasture e le pedate,
ilegni e la calcina di monte Malbe (naturalmente rimane il frutto
dell’acqua del lago, un gettito dovuto più ad una privativa finale
piuttosto che ad un’entrata patrimoniale, le cui caratteristiche po-
sitive per l'economia della città abbiamo più volte sottolineato),
lesame comparato di queste due forme di entrate, dal quale imme-
diatamente si evidenzia l'enorme importanza che vanno acquistando
le entrate derivate, volendo e dovendo il comune percepire un get-
tito e porlo ad un livello tale che continui a soddisfare i bisogni
della comunità, ci permette di aggiungere, parafrasando il Doren,

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72 RINO FRUTTINI

che «i demani, come fonti di entrate fiscali, perdono sempre più
terreno. Certamente molte città possiedono delle terre comuni ; ma
la loro utilizzazione per l'allevamento é di regola concessa ai citta-
dini gratuitamente » **) ; Perugia fa eccezione : anche la pastura sul
Chiusi e quella di monte Malbe era pagata ai gabellieri.

Con questa rinnovata struttura del sistema finanziario si pre-
lude ai concetti moderni di finanza pubblica, dove i bisogni della
collettività, che non gravita piü intorno al feudatario, vengono sod-
disfatti non già con l'alienazione dei beni del signore o con l'uso dei
beni stessi (percependone il frutto e pagandolo con un esoso corri-
spettivo in giornate di lavoro) cioè mediante «imposizioni perso-
nali ordinarie » che portavano ad «una limitazione della libertà per-
sonale»*? sebbene con un articolato insieme di imposte, che per
sempre maggiore comodità del fisco colpiscono le manifestazioni me-
diate e immediate della ricchezza.

Poi, di fronte alle esigenze di perequazione tributaria fatte va-
lere dall’opinione pubblica popolare maggiormente frustrata dall’in-
gordigia fiscale, le imposte dirette vennero prelevate in base all’al-
libramento dei contribuenti nel catasto, che divenne così un estimo
nel valutare le proprietà del contribuenti e determinarne l’imponi-
bile ed aliquota d’imposta.

In conclusione i cespiti di entrata del comune nel periodo che
prendiamo in esame sono in ordine di importanza le imposte indi-
rette (sul consumo del vino al minuto e all’ingrosso, dazi doganali e
pedaggi, gabella grossa) privativa fiscale (lago Trasimeno) redditi
demaniali (pasture e poste del Chiusi, pasture e lignatici di monte
Malbe) regalie (gabella della salaia); poi la imposta sui quadrupedi,
sulla legna e sulla paglia, sulle misure, sui banchi, tutte le imposte
indirette con le quali si cercava di arrotondare il normale fabbisogno
finanziario della città.

«Per far fronte ai bisogni straordinari si ricorre alle imposte:
dirette, alle prestanze, all'alienazione del demanio ; usarono pure:
città e sovrani ricorrere alla svalutazione monetaria » 99).

Perugia più che ricorrere alla svalutazione monetaria, posse-
dendo raramente una zecca indipendente, si preoccupava di reperire
ingenti quantità di fiorini con le prestanze, dalle quali trasse origine
un intenso giro di interessi, come abbiamo già detto.

Ciò nella fase iniziale provocò un disordine finanziario che fece
comprendere immediatamente la necessità di un’istituzione fonda-
mentale per dare ordine alla circolazione monetaria e creditizia,
LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 78

cioè la banca, organo regolatore indispensabile per le esigenze di
una finanza pubblica in evoluzione. Da qui a non molti lustri (anno
1462), sorse infatti a Perugia il Monte dei Pegni il quale verrà a rap-
presentare un’ulteriore testimonianza «che in Italia la tendenza al
consolidamento dei debiti pubblici, alla trasformazione dei debiti
fluttuanti in debiti perpetui, in monti (di pegno) ad interesse sta-
bile, è stata attuata in generale con successo e che nel xv secolo le
quote di partecipazione a questi debiti nonostante parecchie espe-
rienze poco felici, erano considerate come un impiego gradito delle
classi agiate specialmente perché le cedole degli interessi potevano
essere usate per il pagamento delle imposte dirette e gli interessi
non pagati potevano essere accreditati » ?2,

Cosi risulterà estremamente interessante elaborare non solo pa-
ralleli fra entrate originarie e derivate, ma soprattutto studiare si-
stematicamente il movimento di cassa di un comune, cercando di
raggruppare le varie voci di uscita e di entrata al fine di procedere
ad un tentativo di bilancio: concetto questo a quei tempi scono-
sciuto, quando si amministrava il pubblico tesoro senza nulla preve-
dere e tanto meno programmare, ma soltanto pensando alle necessità
comunali e la relativa copertura dall'oggi al domani.

Un bilancio che in piccolo esprimeva le esigenze di uno Stato
Sovrano, i criteri di spesa e di investimento con le relative priorità.

E alla luce di questo studio ci troveremo d'accordo con il Fan-
fani allorché sostiene che nell'intraprendere il cammino verso i mo-
derni concetti che regolano l'articolazione dei sistemi finanziari «...
le monarchie furono precedute dalle libere città e si capisce il perché
quando si tenga presente: 1) che queste non potevano contare su
riserve patrimoniali d'origine feudale, nate com'erano contro il feudo ;
2) che nella loro dura esistenza dovettero affrontare sempre nuovi
compiti, appena proporzionati alla loro potenza demografica e mer-
cantile. In queste condizioni, pressoché dall'origine, gli Stati citta-
dini non ebbero che una via di scampo : aggiungere al poco eredi-
tato dal precedente regime, sia in fatto di demanio che di redditi
diretti e indiretti, il gettito di contribuzioni riscosse con sempre mag-
giore frequenza dai cittadini, e far fronte ai bisogni eccezionali con
il ricorso al prestito. Ma anche per questo o al momento della sua
accensione o a quello della sua estinzione, se fatta con gruppi finan-
Ziari privati, e per il servizio degli interessi, per tutta la sua durata
non si poté contare che su una risorsa: i tributi pagati dai citta-
dini » ?2),
CAPITOLO VIII

ELABORAZIONE DEL BILANCIO CONSUNTIVO
DEL COMUNE DI PERUGIA NELL'ANNO 1416

Dopo aver esaminato una ad una le gabelle che il comune im-
poneva e che i perugini pagavano ; messo a fuoco il complesso mec-
canismo di appalto delle gabelle stesse, per un giro di interessi pri-
vati sorprendente ; posto in evidenza l'andamento dei prezzi d'ap-
palto delle quattro gabelle fondamentali per le finanze del comune
(gabella della salaia, comunanza del frutto dell’acqua del lago, ga-
bella grossa, gabella del vino) ; elaborate le entrate fiscali del comune
tenendo per base le summae summarum ovvero le entrate fiscali dei
libri giornale delle entrate e delle uscite delle Camere dei Conser-
vatori della Moneta e dei Massari; ció premesso abbiamo ritenuto
opportuno, per dare una visione economica omogenea e sufficiente-
mente completa del sistema economico-finanziario del Comune di
Perugia durante i primi decenni del secolo xv, inserire le comunanze
in quel preciso e scarno contesto il quale solo, per organicità nei
rapporti fra le varie voci di spesa e di entrata e soprattutto per testi-
monianza dinamica di un comune nel pieno delle sue capacità di
organo pubblico che amministra una comunità animata da diverse
migliaia di individui (38.700 verso la fine del secolo xir), può espri-
mere l’idea del peso che dette comunanze sostenevano nella risolu-
zione delle incombenze finanziarie del governo della città ; il contesto
al quale alludiamo è evidentemente il bilancio annuale consuntivo
del comune.

La scelta dell’anno al quale riferire il bilancio non è fatta a caso.
Non illudendoci fosse possibile scegliere nel periodo dal 1400 al 1430
un anno il quale, in quanto avente la funzione di anno campione
per il nostro studio, desse referenze tali da garantire la costruzione
di un bilancio campione, sintesi contabile della normale amministra-
zione di un governo comunale senza gravi e fondamentali problemi
da risolvere (la crisi agricola, l'incremento demografico, l'urbanesimo
e finalmente le guerre creavano grosse difficoltà al comune privo di LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 75

fondamentali risorse da sfruttare), il criterio di scelta dell’anno 1416
per effettuare il nostro «tentativo di bilancio » è stato deciso essen-
zialmente da esigenze di natura documentaria, perché l’anno 1416
si è presentato ricco di dati e notizie ricavate dai registri N° 43 e
No 41 dei Conservatori della Moneta rispettivamente per le entrate
del semestre febbraio-luglio 1416 ed agosto 1416-febbraio 1417, e
sempre per le entrate dal registro N° 101 dei Massari per il semestre
gennaio-luglio *»).

Il criterio cronologico di scelta ha indicato ugualmente l’anno
1416 perché mediano nel periodo considerato e coincidente con la
signoria di Braccio.

È nostro arbitrio l'elaborazione di un bilancio fatto secondo i
criteri di una contabilità moderna. Allora il bilancio non aveva
senso : si motivava ogni singola entrata ed ogni uscita senza metodo
preciso, sommandone gli importi al solo scopo di conoscere alla fine
dell’esercizio finanziario (un semestre) il risultato di un insieme di
somme registrate di volta in volta ai piedi di ogni pagina.

Non sappiamo fino a qual punto Conservatori e Massari aves-
sero un riscontro della loro attività : il Sindaco Maggiore, revisore
dei conti, era più un ufficio formale che altro ; spesso veniva cumu-
lato ad altre cariche su una stessa persona.

Le spese straordinarie dovevano tuttavia essere autorizzate dai
Priori *9.

Le altre spese minori venivano liquidate direttamente dagli or-
gani finanziari in base a generiche disposizioni statutarie.

Soprattutto non sappiamo con precisione quale fosse il volume
di entrate e di uscite della Camera dell'Abbondanza, se si fa ecce-
zione per il periodo maggio-agosto 1416 con un risultato di libbre
3.000 che riguardava lo «introitus grani farine et panis venditi ad
minutum » 9°).

Che prima di esprimere giudizi e di calcolare percentuali si deb-
bano fare riserve (anche se non pregiudizievoli per la sostanziale
verità dei risultati ottenuti) é ovvio, quando si vogliano applicare
metodi nuovi per dati numerici elencati e basta, senza alcuna pre-
visione di manipolazione.

Questa osservazione è importante soprattutto quando si con-
sideri la sibillina formulazione dei rapporti di «dare» ed «avere»
fra i tre organi finanziari del comune. Ció infatti provoca difficoltà
nella nostra indagine, rischiando di farci imputare uno stesso im-
porto per due volte, ad esempio quando una uscita è preceduta da

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76 RINO FRUTTINI

un rapporto di cassa fra Conservatori e Massari, o fra Conservatori
e Officiali dell'Abbondanza.

Tale premessa peró non inficia la sostanza della nostra ricerca,
la quale mira ad evidenziare soprattutto la configurazione qualita-
tiva e quantitativa delle entrate e delle uscite dell'anno 1416.

Una nota caratteristica comune a tutti gli anni finanziari dal
1400 al 1424 era il deficit finanziario. Al fine di determinare l'anda-
mento della finanza comunale attraverso gli anni che presentavano

. la documentazione più esauriente, tale da consentire con una certa

esattezza confronti tra entrate e uscite, siamo ricorsi a questo me-
todo (fermo restando il presupposto che per efféttuare paralleli bi-
sognava possedere perlomeno i risultati dei registri dei Conservatori
della Moneta, in quanto espressione quasi completa della gestione
comunale semestrale ed annuale): nei semestri dove non si dispo-
neva dei risultati totali delle registrazioni effettuate dai Massari,
abbiamo inserito la media delle uscite rilevate negli anni precedenti
e seguenti l'anno considerato ; ugualmente per le entrate.
Fatti i calcoli siamo giunti alla conclusione seguente :

annosld4lo:...... «dos deficit : fiorini .. 364
anno l4l8: ar 035 deficit : fiorini 4.646
anpor1420-=-; ri anoo deficit : fiorini 6.749
anno 1422... — . |... 5 deneit torni 3.454
anno l423 — 9 go deficit : fiorini 16.015

L'anno 1416 si chiudeva dunque con un deficit irrilevante ; in
realtà doveva trattarsi di un pareggio delle entrate e delle uscite.

Il fatto, più unico che raro, coincideva con l’inizio della signoria.

di Braccio (luglio del 1416). Ed il signore, per amicarsi sempre più
i concittadini dimostrava grande munificenza distribuendo a dritta
e a manca «gli 80.000 ducati d’oro pagatigli per riscatto dal Mala-
testa... pagando del suo perfino i debiti creati sotto il governo dei
Raspanti » ?9.

Pertanto è un pareggio fittizio quello del 1416.

Subito dopo infatti si ritornò alle vecchie abitudini ; pericolose:
abitudini per l’autonomia del comune che già dal 1400 (anno della
sua dedizione a Gian Galeazzo Visconti) aveva chiuso un bilancio
con le uscite che ammontavano a ben 89.449 fiorini. Peccato che non
disponiamo delle entrate corrispondenti.

Negli anni seguenti il deficit tende ad aumentare : probabilmente:
Braccio aveva terminati i favolosi 80.000 ducati d’oro !

rr ———’— e» caaoanTti:- y "Y AES fo sn np di c E TU
"29 3 ; H i n 3 1 A ye f i sora sa TIRA
2 CSI ES TRI CAME reni LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 77

BILANCIO CONSUNTIVO DEL COMUNE DI PERUGIA

NELL’ANNO 1416
ENTRATE
Introitus Ordinarius

a) rimanenza di Cdssd > a

b) entrate per prestiti sottoscritti sul prezzo degli appalti
delle gabelle

1) gabella: della: salaia |... ..... 5. ooo
2) comunanza dei frutti delle acque del lago......
3) gabella:grossate: delspedaggio:: sati iaia
4) gabella del vino (venduto al minuto e all’ingrosso,
nella: città; borghi: essobborghi)i: nidi.
5) gabella del vino e delle bestie vendute nel con-
tado;e.neldistretto.j..;.;3. rt nt
6) gabella del distretto, della legna e della paglia,
dei banchi di vendita, dei quadrupedi, della le-
gna e della calcina di monte Malbe, complessi-
vamente isti pn

Totale parziale" -:«-

f 861
f. 10.063
f. 6.036
f. 1.384
f. 2.822
f. .. 404

922
f. 21.901

pari al 52,459, dell'entrata complessiva

€) entrate per la riscossione delle rate delle gabelle appaltate

Tyj3gabella: della. salai8: 5.5599: oe dore E
2) comunanza dei frutti delle acque del lago......
3) gabella del vino (venduto al minuto e all'ingrosso
nella :città; borghi.e.sobborgh)) - ... 5:5...
Aj;gabellasgrossa 055-2 it DICTOS
5) gabella. dei; cencl;.: atri so E. AR
6) :gabella* del:distretto 9*2 reno fan
7) gabella del vino e delle bestie vendute nel con-
tado e nel distretto, comunanze e pasture di
monte Malbe, gabella dei pegni, gabella del po-
stribolo;;complessivamente.- + ti
Totale parziale ......

I: 1:371
f 750
f 644
f. 1.008
f 529
f 958
f. 235
f. 5.495

pari al 13,29% dell'entrata complessiva
78 RINO FRUTTINI
d) entrate di gabelle percepite direllamente dal comune

1) gabella del vino e delle bestie vendute nel con-

tado e nel distretto o ores [5401
2) gabella della legna e della paglia ............ fpe 273 |
3) gabella dei pesi e delle misure, gabella dei pa-

netten; complessivamente... i. i f. 103.

4) introitus macinatus buccarum offitialium forensium — f. | 757

Totale parziale :..... f. 1.534
pari al 3,66% dell'entrata complessiva.

e) entrata della « gabella dei due soldi» per ciascuna lib-
bra di uscita dalla cassa dei Conservatori della moneta
e dei Massarp eso CHORI OIN UE LOI I f. 2.517
pari al 6,01 95 dell'entrata complessiva.

f) entrata di imposte giudiziarie (multe, condanne, ga- |
bella della=GConcordia) 6 aa fi 835 È
pari all’1,99% dell'entrata complessiva. |

g) entrate varie (per trasporto di biada dal Chiusi, per |
affitto di «camere»o negozi, ecc.)................ IL . 495
pari all’1,18% dell'entrata complessiva

h)-entrale pere ntscossionescrediti 3. 015 oes I 679: |
pari all'1,7095 dell'entrata complessiva

Totale entrate ordinarie...... fi 99.456.

Introitus Extraordinarius

a)sgabella :del:focatico rr. ir. [. 4.439 |
pari al 10,88% dell'entrata complessiva »

b) entrate-persprestiti.ottenuti: rari. f. 8.280 |

pari all’8,84% dell'entrata complessiva

ENTRATE COMPLESSIVAMENTE ACCERTATE .............. f. 41.736.
entrata complessiva (100%)
LE « COMUNANZE»?» NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 79
UsciTE

a) Spese per cause di guerra (soprattutto per il soldo alle
IA 5: e NIU O. JEU nS E WERE LCS «d. 18.212
pari al 41,3195
b) spese per salari ai dipendenti e agli officiali del co- i

Imunes eee ae e i IERNCUE f. 16.924
pari al 38,39%

c) spese varie (per costruzioni, riparazioni, cancelleria) .. £f. 3.766
pari all’8,594%

di&pagamento- debiti: oc IR. t. 2.182
pari al 4,99%

o) spese. per ambasciate: ina i daB f. 1.847

pari al 4,18%
f) per versamenti fatti agli officiali sopra le Masserizie,
agli Officiali sopra le Mura, agli Officiali dell’Ab-
bondanza'e;;per:acquisto;di grano... i... ...... di 003
pari all’1,49%,.
g) per saldo a pareggio *? e per concessione di un mu-
tuo a:sser:Bertus ;Antonn i ee sent i. 7499
pari all’1,14%
f. 44.079
pari al 10095

Il bilancio del 1416 si presta a considerazioni molto interessanti :
1) il 52,45% delle entrate derivano dalla sottoscrizione di
prestiti sul prezzo degli appalti delle gabelle. La dinamica di questo
fenomeno è già stata messa a fuoco nel capitolo v. Qui abbiamo
una conferma dell'importanza che entrate derivate (dovute alla ri-
scossione delle gabelle) e circolazione creditizia connessa con il pa-
gamento delle rate del prezzo d'acquisto delle gabelle stesse ave-
vano per le esigenze finanziarie del comune ; esigenze di spesa con-
tinua, ricorrente, alla quale dovevano far riscontro entrate altret-
tanto continue, ricorrenti, ma soprattutto tempestive, anche se non
ingenti perché frazionate nel tempo.

Questa operazione creditizia doveva essere molto frequente: i
Priori, gli «officiali sopra le mura », il gonfaloniere e naturalmente
i mercanti sottoscrivevano il prestito, ed inoltre un gran numero di
cittadini per somme anche molto modeste. Di operazioni di questo
genere noi ne abbiamo contate 204 in un anno *9,

-X 4
E
13
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|
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ud en T OP,

80 RINO FRUTTINI

2) le entrate derivate provenienti da imposte indirette sul
consumo di riscossione mediata e immediata (limposta sulla ven-
dita all'ingrosso e al minuto del vino) dai dazi comunali (gabella
grossa), dalla privativa fiscale (gabella della salaia), e da altre im-
poste minori, nonché dall'imposta generale sull'entrata (gabella dei
due soldi per ciascuna libbra di uscita dalle casse del comune), dalla
imposta di famiglia (gabella del focatico) e dai prestiti concessi al
comune (le « prestancie ») coprono da sole quasi tutto il gettito fi-
scale. Unica eccezione, in quanto entrata patrimoniale, ma anche,
sotto certi aspetti, privativa fiscale, rimane la comunanza dei frutti
del lago che, appaltata in quell'anno per fiorini 11.720 dei quali
riscossi 7.506 fiorini, incideva sul gettito annuale per il 17,96%.

Fino alla metà del secolo xiv le entrate patrimoniali più cospi-
cue provenivano dai possedimenti del Chiusi. Da allora in poi si
hanno per certi due fatti: la decadenza impressionante delle sud-
dette poste per la produzione di grano e biada e la mancanza di
una documentazione precisa sulla gestione dei beni in natura del
comune i quali, in massima parte di provenienza del Chiusi, veni-
vano amministrati dagli Officiali dell'Abbondanza con gestione au-
tonoma rispetto agli altri organi finanziari. I tre Officiali dell'Annona
infatti gestivano gli «introiti grani, farine et panis venditi ad minu-
tum ». Da maggio ad agosto del 1416 l’introito fu di 676 fiorini:
purtroppo è l’unica notizia che possediamo della politica annonaria
del comune 199),

È certo però che il consiglio dei Priori si preoccupava di delibe-
rare «ordinantia pro grano existente in comitatu reducentibus ad
civitatem Perusii » 1°, Sono dunque ormai lontani i tempi (inizio
del secolo xiv) quando la natura del gettito tributario era tale nella
sua documentazione presso i registri degli organi finanziari del co-
mune, da permettere al Mira di «concludere come almeno su un
piano strettamente contabile, nei primi anni del xiv secolo i soli
redditi di natura patrimoniale fossero in grado di coprire il fabbi-
sogno finanziario del comune » !*»2,

3) in precedenza è già detto perché in periodi di spese straor-
dinarie, frequenti in misura tale da divenire ordinarie secondo i
principi della logica finanziaria, non abbia significato il fare distin-
zioni fra entrate ordinarie ed entrate straordinarie.

Gli amministratori comunali, senza spremersi troppo in disser-
tazioni sulla proprietà o meno di un termine, consideravano «in-
troitus extraordinarius » quello proveniente dalla esazione della ga-

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umi We VS? ONE E SE
LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 81

bella del focatico. (Questo infatti é il titolo di una serie di registra-
zioni della « gabella foci »).

Anche noi per dare più verosimiglianza, con i principi finanziari
dell'epoca, allo schema del nostro bilancio l'abbiamo collocata fra
le entrate straordinarie, pur sapendo con certezza che la « gabella
foci» veniva imposta ogni anno dal 1400 in poi.

È opportuno spendere qualche parola in più sulle caratteristiche
di una gabella la quale potrebbe essere assimilata senza forzature
alla moderna imposta di famiglia. Infatti la «gabella foci» veniva
pagata da ogni famiglia o «focus », in proporzione all'allibramento
del capofamiglia nel Catasto od Armario.

L'allibramento o ruolo del contribuente veniva stabilito da una
commissione di esperti («estimo ») in base all'estensione ed alla
qualità dei terreni da lui posseduti. Infatti la proprietà terriera era
l'unico mezzo di valutazione del grado di ricchezza dei cittadini.

Nel registro N° 43 dei Conservatori della Moneta abbiamo rin-
venuto numerose registrazioni imputabili alla esazione della « ga-
bella foci ».

Conoscendo l’allibramento (imponibile) di un certo numero di
contribuenti e l'ammontare dell'imposta corrisposta, si poteva ri-
salire empiricamente alla determinazione dell’aliquota e del sistema
di applicazione dell’imposta.

Ed operando in questo senso, estratte numerose registrazioni di
altrettanti contribuenti, siamo giunti alla formulazione del seguente
prospetto con le conclusioni che ad esso seguono :

IMPONIBILE IMPOSTA ALIQUOTA DI IMPOSTA
1° libr. 360,10 soldi s. 67,6 den. 0,94%
2° libr. 1.000,00 soldi s. 90 0,45%
3° libr. 1.680,00 soldi sfa135 0,40%
49 libr. 1.820,00 soldi St 135 0,397.95
50 libr. 2.620,10 soldi s. 180 0,34%

Dal che si deduce che l’aliquota è regressiva nel senso che all’au-
mentare dell’imponibile essa diminuisce progressivamente ; le classi
più agiate pagavano un’imposta proporzionalmente minore rispetto
a coloro che possedevano di meno : un modo come un altro, ma molto
efficace, per garantire la formazione ed il mantenimento di guadagni
capitalistici.

6
82 RINO FRUTTINI

Il sistema di applicazione di questa imposta ci sembra quello
cosiddetto a «scaglioni».

Infatti se dividiamo per classi, ciascuna di mille libbre, gli im-
ponibili, si giunge alla elaborazione del seguente prospetto :

a) per l'imponibile da libbre x '*» a libbre 999 .. 67,6 soldi
by. per L imponibile. da. libbre.-1000.- .:.— uns. 90,0 soldi
c) per l'imponibile da libbre 1000 a 2.000 (90 + 45
SOldB- s opo ou rut. iei cp deer 135,0 soldi
d) per l'imponibile da libbre 2.000 a 3.000 (135 +
;HBCHIDI MR HC "eer 180,0 soldi 104)

4) altra fonte di entrata straordinaria furono i prestiti straor-
dinari sottoscritti da alcuni mercanti :

Tohannes*Petrutil-s<;:-: Sac: 0 Etre f. 300
Amdreas«Berardutii*s* Pr 0:5: 1$ Rh -20e-s. TO
Giulianüs Martinelli... 1201 1:5*50
Bontempus lohannis: sr. siria {90

In totale 3741 fiorini pari all’8,84% del gettito annuale.

Quando si parla di prestito è giocoforza considerare anche l’in-
teresse.

Nel Medio Evo, come è noto, ufficialmente l’interesse era igno-
rato: il diritto canonico lo stigmatizzava come strumento di corru-
zione.

Ma un mercante non presta invano cospicue somme di fiorini
al comune soltanto perché sicuro di riaverli dopo un certo periodo di
tempo, o semplicemente per alto senso civico essendo la patria in
pericolo.

E le ipotesi da fare non possono essere che due : o l’interesse
veniva in realtà pagato, proporzionalmente al tempo ed all’importo
delle « prestancie » pur non risultando esplicitamente contabiliz-
zato nei registri comunali (e noi saremmo propensi per questa so-
luzione : non a caso infatti si usavano i termini prestancia, mutuum,
provisio !°) ; se un senso devono avere esso non può prescindere dal
concetto di interesse ; e non c’è diritto canonico che tenga).

Oppure nei vari contratti di mutuo stipulati da privati con il
comune, l'interesse non c'entra per nulla. La seconda congettura che
avanziamo infatti è meno semplice della prima anche se, sotto certi
aspetti, più affascinante.
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 83

I prestiti che alcuni opulenti mercanti stipulavano col comune
potevano avere uno scopo essenzialmente politico : assicurarsi l’ami-
cizia dei Priori e degli altri maggiorenti della città, creare attorno a
sé un'atmosfera di benevolenza e di simpatia da parte dell'opinione
pubblica, preparando così il terreno per adire le supreme magistra-
ture della repubblica. Da che mondo è mondo il sapore del potere
non guasta mai il palato. Così quel Iohannes Petrutii, addottorato
in legge, docente all’Università degli Studi, nominato spesso amba-
sciatore e consulente del comune, appaltatore di numerose gabelle
e fra queste quella importante dell’acqua del lago, divenne anche
Conservatore della Moneta, come abbiamo già avuto modo di no-
tare. E sarebbe estremamente interessante indagare sulla sua vita
privata quale potrebbe risultare dalle carte notarili conservate in
archivio.

5) dal contado e dal distretto con l’esazione della gabella
del vino e delle bestie (quadrupedi) e del comitato, il comune perce-
piva un gettito di fiorini 2.233 uguale al 5,3% del gettito totale :
una discreta percentuale dovuta alla estensione del distretto peru-
gino, cosparso di numerose comunità organizzate attorno al castello
dell’antico feudatario o in nuove ed operose ville.

6) La giustizia a quei tempi non doveva essere oberata di
lavoro. Considerando infatti le pene onerose che erano previste an-
che per infrazioni modeste, e la confortante percentuale dell’1,99%
sulle entrate globali dovuta all’introito di 835 fiorini per la riscos-
sione delle imposte giudiziarie, dobbiamo concludere che il popolo
perugino fosse rispettoso ed osservante delle leggi.

Il Mira nel suo lavoro già citato analizza il fabbisogno finan-
ziario medio annuo nel 1 decennio del xiv secolo così ripartito 109) :

1) spese per salari dispensati dal comune f. 6.085 pari al 33,54%
2) spese per cause di guerra (soprattutto

per 11:soldo. alle Milizie)... a... pipa f. 6.006 pari al 33,06%

3) spese per risarcimento di danni .... f. 1.792 pari al 9,86%
2) spese per AMDASciater.....-.....-+. LL. 691 pan al .3)19095
9) spese per lavori pubblici... ... I. 1.992 pan al 7,9495
6):spese per elemosine. |... ... so e f. 1.078 pari al 5,6095
MESPESE Valle. > lg iii I;- 1.116: pari 8i. 6,1595
totale inn. ; f. 18.100 pari al 100%

Dal confronto tra i due bilanci si evidenziano immediatamente
le seguenti caratteristiche :

NH.
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84 RINO FRUTTINI

il fabbisogno finanziario nell'arco di un secolo si è più che
raddoppiato ; e nel corso dei primi decenni del secolo xv si man-
terrà sempre su una cifra che oscilla dai 40.000 ai 50.000 fiorini.

C'é tuttavia da porsi un interrogativo molto importante: il
rapporto lira-fiorino si é mantenuto costante o no in questi anni ?

Se il raffronto fra i due fabbisogni viene effettuato al cambio
del 1416 allora il totale annuale delle spese dei primi anni del se-
colo xiv si riduce a un terzo del fabbisogno annuale registrato nel-
l'anno 1416, di fiorini 41.736.

Naturalmente i paralleli fra spese di periodi diversi comportano,
perché possano essere validi, non solo una riflessione sul prezzo
della moneta, ma uguaglianza di situazioni: in primo luogo il nu-
mero degli abitanti del comune e del contado.

Abbiamo motivo di ritenere che nell'arco di un secolo la popo-
lazione perugina non dovette subire mutamenti essenziali, tenendo
conto che il secolo xiv portò gravi lutti alla popolazione : tre pesti-
lenze, una dietro l'altra ; considerando le guerre fra i comuni umbri
e le guerriglie intestine, dobbiamo escludere che in quel periodo lie-
. vitasse un particolare incremento demografico. Semmai questo fe-
nomeno si riveló alla fine del secolo xiv e agli inizi del secolo xv.

Grosso modo, pertanto, nella popolazione perugina non ebbero
a verificarsi incrementi sostanziali rispetto ai decenni precedenti,
anche se gli storici sono concordi nel sottolineare un generale au-
mento demografico; il quale a Perugia dovette in questo periodo
riportare il numero dei cittadini a quello che era prima delle funeste
pestilenze.

E giusto allora concludere che l'aumento sensibile del fabbi-
sogno dal 1300 al 1400 (da libbre 63.575 a libbre 199.855 : forse il
rapporto in libbre perugine è più chiaro) è dovuto in parte alla sva-
lutazione del soldo rispetto al fiorino.

Ma pur tenendo in conto la svalutazione e calcolando perció il
fabbisogno finanziario del 1400 al cambio del 1300 (libbre 3 e 10
soldi per un fiorino) otteniamo sempre un importo pari a libbre
154.276 che supera di molto il corrispondente importo del primo
decennio del secolo xiv (63.575 libbre).

Evidentemente dovette aumentare l'onere di alcune spese ; la
guerra ad esempio: nel primo decennio del 1300 le spese belliche
impegnavano in media il 33,00% del gettito globale annuale ; ora,
nel 1416 ammontavano al 41,00% con un incremento dell’8%.

I dipendenti e gli « offitiali» del comune dovevano essere au-

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LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA. FINANZA DEL COMUNE 85

mentati dal secolo xiv al secolo xv ; solo per la custodia delle porte
venivano impiegati nel 1416 circa 150 uomini; la guerra infatti ri-
chiedeva maggior vigilanza e di conseguenza un più elevato numero
di salariati comunali.

Inoltre possiamo dare per certo che l'aumentato costo della
vita provocó anche un sensibile aumento dei salari.

Ne beneficiarono soprattutto il Podestà, i Priori, il Capitano
del Popolo e via via tutti gli «offitiali » che ricoprivano le cariche
più importanti. Solo i domicelli rimasero con il loro salario immu-
tato: 2 fiorini mensili. In compenso peró li troviamo imperterriti
al loro posto dal 1414 al 1416. Il fatto ci sembra straordinario ; essi
insieme ai Priori dovevano rimanere in carica due mesi. Probabil-
mente preferirono un salario basso e duraturo ma sicuro ad una re-
munerazione maggiore, ma della breve durata di due mesi.

In conclusione l'aumento percentuale delle spese per i dipen-
denti fu del 4,85%. Ugualmente aumentate le spese per le amba-
sciate : dal 3,80% al 4,18% con un incremento dello 0,38%.

Sull'importo della voce spese varie del bilancio del 1416 influi-
scono quasi del tutto le spese per lavori pubblici. Perció fatto il
confronto fra le percentuali corrispondenti, registriamo un incre-
mento dello 0,60%.

Il pagamento dei debiti costituisce una voce a sé nel nostro
bilancio che non trova corrispondenza nel bilancio elaborato dal
Mira. Come, viceversa, le spese per elemosine registrate nel 1300
non compaiono nel nostro prospetto. Nei periodi di guerre, i poveri
non sono più poveri (almeno ufficialmente), tutti assoldati, volenti
o nolenti al servizio della patria in pericolo. E la guerra apportatrice
per antonomasia di congiunture favorevoli solo per alcuni, rispar-
miava ai ricchi il pensiero di beneficenze che la mentalità dell’epoca
diceva doverose, permettendo loro l’impiego di quei fiorini « pen-
sati» per la carità, in investimenti più concreti e proficui (purché
seguiti da vantaggiosi guadagni monopolistici) di quello che non fos-
sero le lagnose promesse di vita eterna e le benedizioni formali dei
beneficiati.

Rino FRUTTINI

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RINO FRUTTINI

NOTE

1) Bonazzi L., Storia di Perugia, Città di Castello, Unione Arti Grafiche,
1959, Vol. 1, p. 486 : « Pei disastri patiti dopo la morte di Biordo, il nostro
paese era rimasto cosi povero e deserto che furono assolti da ogni debito
tutti i contadini che tornassero ai loro campi, liberati da ogni gravezza tutti
i forestieri che tornassero ad abitare la città ».

*) FRANCESCHINI A., La dedizione di Perugia a Gian Galeazzo Visconti,
in «Archivio Storico Lombardo », xc (1966), pp. 287-305.

®) FRANCESCHINI A., Op. cit.

‘) PELLINI P., Dell’historia di Perugia, parte 11, p. 128: «et esendosi
scoperto che un famiglio del Castellano di Passignano voleva dare quella
rocca ai fiorentini, e che essi vi attendevano il Duca diede ordine ai magi-
strati che facessero pubblicare per la città che a mercanti fiorentini, che pas-
sassero, fosse fatto pagare di gabella 5 o più di quello che per l’addietro pa-
gato avevano ».

5) PELLINI P., op. cit., p. 299.
*) Bonazzi L., op. cit., p. 433.

") Bonazzi L., op. cit., p. 439: «così niuno abbandonava l'arte sua per
l'impiego le cui facili funzioni esercitava senza la burbanza dei nostri buro-
cratici; e si può comprendere come dovesse allora sentire la sua dignità di
uomo un artigiano che, una volta Camerlengo, un’altra volta Priore, aveva
composto liti fra i suoi concittadini, aveva firmato trattati di pace e di al-

leanza con principi e repubbliche ».
>) PELEINL-E., Op. CIE, p., 144:

*) «Auctoritas Masariorum antiqua fuit traslata in Conservatores Mo-
nete ut in Bolectino novi regiminis in quinto registro fol. 32. Isti Conserva-
tores Monetae, qui latini dicendi essent quaestores, debent esse tres boni,
prudentes et legales viri, ut et eorum officium durat per sex menses. Debent
iurare una cum notariis de officio bene administrando coram dominis Priori-
bus. Constiti eorum officium in exigendo et recipiendo introitus civitatis et
de ipsis nomine civitatis refutatione faciendo. Non possunt accipere pecuniam
mutuo sub foenore sine permissione dominorum Priorum et camerariorum ».

Da queste poche righe riprese dal Gigliani possiamo vedere chiaramente
le incombenze dei Conservatori della Moneta.

Un mutamento rispetto al passato si

ce Se e

è verificato soprattutto per ciò
che concerne la procedura di versamento presso le casse del comune. Infatti
mentre nel secolo xiv era d’obbligo che all'atto del versamento o della ri-
scossione d’una somma da parte dei Conservatori della Moneta o dei Massari
fossero presenti dei testimoni (« Actum in civitate Perusii in camera resi-
dentie Conservatorum monete civitatis et Comitatus Perusii presentibus ser
Cola Salvoli et ser Paulo Celloli notariis de Perusio, testibus vocatis et rogatis
Bellionus Bartholomei ecc. ». Cons. della Mon., anno 1354, reg. N° 5, c. 1),
LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 87
nel secolo xv o si ritiene di poter nutrire una maggiore fiducia negli officiali
del comune, oppure si vuole rendere piü fluida l'operazione di pagamento,
delle imposte ad esempio o di riscossione dei salari. Cosi i testimoni non sono
richiesti neppure quando si tratta di operazioni finanziarie rilevanti : « Bar-
tolomeus Checcarelli porta sancti Angeli et Nicolaus Bandei porta Solis sol-
verunt dictis Conservatoribus de eorum propria pecunia videlicet de florenis
et pecuniis perventis ad eorum manus de gabella duorum soldorum pro
qualibet libra vigore bulectini rescripti facti per comitates Perusii, animo re-
habendi a Johanne Cini emptore comunantie salarie presentis anni in et
super ultima paga dicte comunantie ut et patet in registro rubro de quibus
prescripti Conservatores fecerunt eidem finem et refutationem ». (Cons. della
Mon., anno 1416, reg. N° 43, c. 46).

1) La gabella del comitato, cioè del distretto di Perugia, fino al 1400
riguardava solo il contado. Non ci è stato dato modo di conoscere bene la
natura di questa gabella poiché non fa parte dei registri delle comunanze.
Nel 1400, dopo la dedizione di Perugia a Gian Galeazzo Visconti, fu stabilito
che «il Duca ei suoi ministri in Perugia non possano mettere gravezze nuove,
anzi habbiano a tor via la gabella del macinato e le tasse del contado imposte
dai magistrati per la necessità della guerra con tutte l’altre gravezze » (PEL-
LINI P., op. cit., parte 1, p. 118).

11) BoNAZZI L., op. cit., p. 224.

1) BARTOLI F., Storia della città di Perugia, Perugia, Santucci, 1843,
p. 253. :

13) In tal modo siamo venuti a conoscenza che un tale ser Filippo, men-
tre era notaio dei Priori, «contro la forma del diritto, dolosamente e falsa-
mente e colposamente » registrò in un atto pubblico delle riformanze che la
cittadinanza della città di Perugia era stata concessa non solo ad Antonio
di Maggiolo, ma anche al di lui fratello. Perció fu condannato a versare la
somma di 500 libbre « que debent converti in aconcimine palatii domini Ca-
pitanei causa consequendi assolutionem et sententiam assolutionis ».

A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Massari, reg. 101, anno
1416, c. 10 (vedi nota 1 in Appendice).

14) Un esempio di registrazione per il pagamento della gabella della con-
cordia: «Bartolomeus Simonis de Perusio porta Sancti Petri solvit dictis
Massariis nomine Blaxy Giorgi, dicto greco, abitante in porta Sancti Petri
et Parrocchie Sancti Silvestri et nomine Martini Bartolomei porta Eburnea
Parrocchia Sancti Savini pro gabella concordiae eis facte per magnum Grif-
folum Francisci, Parrocchie Sancti Petri : 50 libbre ».

(A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Massari, anno 1416,
reg. N° 101, c. 4).

15) ArnrreRI V., L'amministrazione economica dell’antico comune di Pe-
rugia, in «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria », r1
(1896), p. 398.

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88 RINO FRUTTINI

16) Mira G., Un aspetto dei rapporti fra città e campagna nel perugino
nei secc. XIII e XIV : l'approvvigionamento dei generi di prima necessità, in
Atti del VI Convegno di Studi Umbri, Gubbio, 26-30 maggio 1968.

1?) Anche il concetto di gabella non è ben definito, dal momento che
viene usato indifferentemente ad indicare sia un’imposta indiretta, sia una
imposta diretta, ed anche una tassa.

18) MrnRA. G., Le entrate patrimoniali del Comune di Perugia nel quadro
dell’economia della città nel secolo XIV, in « Annali della facoltà di Economia
e Commercio dell’Università di Cagliari », anno accademico 1969-70.

19) FANFANI A., Sforia economica, Torino, U.T.E.T., 1961; p. 397.

^) Dal registro N° 12 delle Comunanze, anno 1423-24, c. 11, risulta che
la gabella del vino fu venduta per l’anno 1425 ad un tale di nome Sinibaldus
Petri de Porta Sancte Susanne in società con Batista Remisci al Banio Porta
Sancti Angeli, «... quibus vendita et stabilita fuit dicta gabella tamquam
plus offerentes ».

21) A.S.P., Archivio Notarile, Cristofano di Biagio, (44), c. 176.

2) FANFANI A., op. cit., p. 396.

*) DOREN A., Storia economica dell’Italia nel Medio Evo, Bologna, Forni,
1965, p. 538.

^) Queste notizie e quelle contenute nelle pagine seguenti sono state
riprese dal registro N° 3 delle Comunanze, appalto della salaia del 1421,
c. 4 sgg.

*) DOREN A., op. cit., p. 536.

**) FANFANI A., op. cit., p. 177.

*') Una soma equivale a Kg. 131,6.

**) Il pagamento dell'imposta è in funzione della natura degli armenti :

«per:ciascun :paio-di: Duovi. i 403022..120. 9109.8. 24 s. 40
per clascun:paiocd'armentio 2:55.15. 3.44 01S AL s. 30
persiciascuna:bestia-cavalina i53 3551,72. 500. Su. s. 20
per:ciascuna “bestia: asinina vini io, S: 10
per-ciascuna:bestia minuta ::3.5.. 2513 5.2 012 A 11.. s.

ció per ciascun anno de li dicti 5 agne».

°°) MIRA G., Le entrate patrimoniali . . ., op. cit., p. 15:

°°) PELLINI P., op. cit., parte n, p. 114.

*) Bonazzi L., op. cit., p. 420.

*) BoNAzzi L., Op.:cit., p. 420.

**) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg. 3,
anni 1421-1437, c. 74.

*) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg. 3,
anni 1421-1427, c. 53.

**) Questi dati sono stati ripresi dalla tesi del laureando Luigi Fucci sul
« Commercio delle carni in Perugia nel secolo xiv e xv 9» p^'72:

*) MIRA G., Le difficoltà finanziarie del Comune di Perugia alla fine LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 89

del '300, in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria »,
LXIII (1966), p. 126.

37) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg. 2,
anni 1408-1420, c. 95 sgg.

33) Nel registro N° 13 delle Comunanze, anni 1402-1413, viene fatto un
lungo elenco di ville e castelli a seconda del rione cui appartenevano, i quali
dovevano al comune ogni anno una tassa per il servizio che il compratore
della gabella delle misure prestava in queste comunità. Cosi siamo venuti in
possesso dell'elenco completo delle ville e castelli del rione di Porta S. Su-
sanna: Castrum Passignani, Castrum Montis Petrioli, Castrum Antrie, Ca-
strum Montis Funtagnani, Castrum Corciani, Castrum Castiglionis Figliorum
Fusci, Castrum Montalis, Castrum Magarii, Castrum Gaycorum, Castrum
Mungiuini, Castrum Santi Mariani, Castrum Galmaziani, Castrum Montis
Melini, Castrum Sancti Savini de lacu, Castrum Paciani, Castrum Ospitalis
Funtignani, Castrum Agelli, Castrum Mugnani, Castrum Pietrafictae, Ca-
strum Bagnarie, Castrum Sancti Martini de Collibus, Castrum Castiglionis
de Valle, Villa Sancti Monni, Villa Plebis Cayne, Villa Chiogiane, Villa Fa-
meliae Lomey et Montis Fronaldi, Villa Montis Sperelli, Villa Sancti Sisti,
Villa Pratalense, Villa Valiani Santi Florentii, Villa Lacugnani, Villa Mace-
retarum, Villa Sancti Feliciani de lacu, Villa Cocchi, Villa Plebis Tiviane, Villa
Insule Maioris, Villa Insule Polvensis, Villa Tuori e Biazzani, Villa Burgi
Novi.

89) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N° 3, anno 1422, c. 36.

40) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg. N° 3,
anno 1422, c. 38 e segg. Nel reg. N° 2 e nel reg. N° 3 le cedole della comu-
nanza aque lacus sono riportate per gli anni 1406, 1412, 1415, 1416, 1422,
1429, 1433, 1434. Le Additiones et modificationes alle cedole suddette sono
posteriori al 1430.

41) FANFANI A., op. cit., p. 277.

4): :Mrra;G., ‘op. cit:;-p.:29.

4) FABRETTI A., Documenti di Storia Perugina, Vol. 11, p. 45.

4) I dati si riferiscono agli anni 1391 e 1415.

4) FABRETTI A., op. cit., p. 44.

45) «Ancho perché en diverse luoche se fa mentione de soma, enten-
dase en omne loco soma de mulo o de bestia cavallina de libbre 400 (Kg. 131,6)
0 da 400 en su e la somella de la bestia asenina s'entende essere de libbre 300
e non più ». Per maggiore garanzie di una pesatura giusta, se « quiglie cotaglie
de chi fossero le mercantie se sentisse del peso gravato, che se possa e degga
la dicta soma repesare a suoie spese ».

47) I passaggieri erano « deputatos ad colligendum et exigendum a vec-
tigalibus et aliis quibuscumque transeuntibus intra comitatum seu exeun-
tibus de comitatu Perusii... pro quibus solvi debet dicta gabella grossa ».
90 RINO FRUTTINI

A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Gabella Grossa, reg.
N911;.c..21.

48) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Gabella Grossa, reg.
N? 11, anno 1415, c. 48 e sgg.

4°) FABRETTI A., Op. cit., p. 52.

59) Cavaglie;persciaschuno 2155. vinse lena. 1:50; is; 55;:d; 0
ronzine;iper:ciaschUnOs6 526.209. ia 1:05:58 :2:2,:d.56
asene;:per.ciaschunoxa.: ees. di. eta I; :0558; 4:25:d:- 6
poledre asinine en fra l’anno, per ciaschuno .... 1.0,s. 1,d. 0
bufale:;perzeiaschuna 25234. 2Gr GR AES 15530;x8::52,;d.:0
buove. o vacche; per ciaschuno: .:.......... 1::0; 58.:::125:1d.:0
viteglie en fral'anno, per ciaschuno.......... 150,:8::2:155d..0
castrine per centonaio a conto ............ 1::0,:8s::10;,5d;:0
piecoresper;centonaio:a:conto: s ian. 15:0,:58:5105:d.:0
becche capre o caprette per centonaio ...... 1::0558? 104370
porce grosse e porce mezzane per centonaio a
conto

IHE edt coqui c SUD eur UIS 1::0; s::12,,d;:0
muglie:o;mule; per-.ciaschuno —. .. sui 1:.05:8;::5;.d.:0

$) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N? 2, anni 1408-1420, cc. 21-31.
59) FABRETTI- À;; 0p. cit.; p.57.
5) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Gabella Grossa, reg.
N° 12, c. 118.
54) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Gabelle Varie, reg.
N? 11, c. 1 segg.
55 FABRETTI A., op. cit., p. 190.
58) FABRETTI A., op. cit., p. 191.
57) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N? 13, anni 1402-1413, c. 3.
58) FABRETTI A., op. cit., p. 190.
59) FABRETTI A., op. cit., p. 190.
60) FABRETTI A., op. cit., p. 192.
*3) 1 botte = litri 933,465.
1 barile — litri 58,341.
(dal manuale di Metrologia del MARTINI, Torino-Firenze, E. Loe-
scher, 1883).
*j FABRETTI A., Op. cit., p. 198 segg.
*5 La foglietta era un'unità di misura per il vino e l'acquavite: 1 fo-
glietta = litri 0,4455 (MARTINI, Manuale di Metrologia cit., edizione 1881).
**) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N° 2, anni 1408-1420, c. 16.

$5 A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N9.1;:c.. 172;
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 91

**) Le aliquote di imposta sono state tratte dal reg. N° 11 della serie
delle Gabelle Varie alla carta 18. Il petitto è una unità di misura caratteristica
«del vino e dell’acquavite ed equivale a litri 1,823, cioè un boccale secondo il
MARTINI, (op. cit., p. 602). Dal GiGLIANI (Compendio degli Statuti e delle leggi
«di Perugia), abbiamo riscontrato che: «salma vini est trium cadorum ».
1 cadus = 20 boccali (o petitti). Nel 1344 l’aliquota di imposta sul vino bianco
era di due soldi rispetto a quella presa in esame che è di 2 soldi e 8 denari.
(«Ad rationem duorum soldorum pro quolibet petitto », A.S.P., Archivio
storico del Comune di Perugia, Gabelle Varie, reg. N° 10, c. 27).

*) FANNO M., Scienza delle Finanze, Torino, ed. Lattes, 1958, p. 78.

68) ALFIERI V., op. cit., p. 462.

69) «Quando autem in catasto dicitur tale petium terre est aestimatum
libr. 20, solidi 10, denar. 2, intelligitur librae ad grossam. Soldi 20 faciunt
libram unam parvam, sive ad minutum » (GiGLIANJ, op. cit., p. 53).

7) FABRETTI A., Documenti di Storia Perugina, Vol. rr, Torino, Tip.
privata dell’autore, 1887, p. 72.

71) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N° 3, anni 1421-1427, c. 7 sgg.

7) FANFANI A., op. cit., p. 256.

7) FANFANI A., Op. cit., p. 249.

7) Naturalmente operazioni finanziarie del tenore suddetto erano com-
piute normalmente da mercanti che risiedevano a Perugia i quali avevano
modo di conoscere bene gli oneri delle varie gabelle. Sempre nel 1414 ad esem-
pio «Johannes Petrutii mercator solvit dictis massariis pro parte pretii ga-
belle bancarum civitatis Perusis florenos 27, libbras 2 soldos 14 de sua propria
pecunia animo rehabendi ad emptoribus dicte gabelle et a fideiussoribus eo-
rum de quibus fecerunt eisdem finem et refutationem. (A.S.P., Archivio
‘Storico del Comune di Perugia, Massari, reg. N° 95, c. 20).

Lo stesso mercante nel 1416 divenne conservatore della moneta, come ri-
sulta dalla carta 13 del registro N° 16 delle comunanze : «constat sub 1416
die 17 iuli infrascriptos homines et personas solvisse Andreoni Raneri, Johanni
Petrutii et Johanni Luce Gelfutii tunc conservatores monete comunis Pe-
rusii de sua propria pecunia animo rehabendi ab emptoribus officialibus et
collectoribus dicte comunantie in et super quinta pagha dicte comunantie
infrascriptas quantitates florenorum et pecuniarum ...». Lo stesso Johannes
Petrutii era stato uno degli acquirenti della gabella dell'acqua del lago nel
1415. Il contratto, della durata di tre anni, venne sciolto meno di un anno
«dopo (A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N° 7, c. 138). Ci sembra perlomeno insolito un simile fatto : nominare ammi-
nistratore del denaro pubblico un mercante, appena reduce da un'operazione
finanziaria andata in fallimento é indice di estrema leggerezza e imprevi-
denza. È

*) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Massari, reg. N° 25,

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92 RINO FRUTTINI

c. 28. Nel registro N? 92 della Camera dei Massari il 28 gennaio 1411 gli stessi
domicelli si dichiarano « confessi et contenti recepisse et habuisse a massariis »
60 fiorini d'oro « pro sex rombis eisdem domicellis debitis in festo S. Costan-
tii dicti anni ».

Il 3 marzo poi essi verranno remunerati per un salario complessivo di.
72 fiorini relativo a sei mesi. Una caratteristica delle cariche pubbliche del
Comune di Perugia era quello di essere rinnovate entro periodi di tempo
brevi, e comunque inferiori all'anno. I domicelli dei Priori invece in questo
caso rimangono al servizio dei priori stessi per ben. 4 anni: dal 1411 al 1414
compresi. Ció a nostro avviso é un indice del progressivo decadimento del
concetto popolare che riguardava il governo della cosa pubblica, sintomo
che Perugia si andava maturando per un governo dittatoriale come avvenne
nel 1416 con la signoria di Braccio Fortebracci.

76) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
N° 8, c. 1 sgg.

77) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Sussidio focolare,
reg. N° 4, c. 24. Dal DonEN, Storia economica dell’ Italia nel Medioevo (Bologna,
Forni, 1965, p. 557) riteniamo che sia utile riportare quanto segue a pro-
posito dei prestiti. «Il sistema dei prestiti, che aveva rappresentato una
necessità in tutti gli stati italiani per la sproporzione fra spese ordinarie e
straordinarie e per il carattere di provvedimento essenziale mantenuto quasi
generalmente all'imposta diretta, ha assunto specialmente nei grandi comuni
mercantili uno sviluppo complessivo e fortemente differenziato che in molte
parti è diventato il modello del sistema moderno del debito pubblico.

Da principio si devono distinguere due forme di prestiti obbligatori :
quella dei prestiti che assumono talvolta il carattere di una semplice esa-
zione di imposte dirette e possono essere senza interessi, e l'altra, molto piü
frequente, dei prestiti obbligatori ad interesse, coi quali si potevano ottenere
dai contribuenti somme assai maggiori di quelle che si sarebbero mai otte-
nute a titolo di imposta, specialmente in vista delle possibilità di valersi dei
prestiti come mezzi di pagamento al corso del giorno ».

78) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
No2835c5 111.

7?) Dal reg. N° 38 dei Conservatori della Moneta, c. 14, riportiamo il
testo delle operazioni finanziarie effettuate dal banchiere Matheus Randutii.

«Matheus Randutii bancherius de Perusio porta Sancti Angeli procura-
tor et procuratorio nomine strenui capitanei Ceccholini de Micheloctis solvit
pro sotiis conservatoribus nomine Antonio et sociorum fructum comunantie
aque lacus comunis Perusii, per tempore trium annorum inceptorum in ka-
lendis mensis maii proximi praeteriti de ipsius Ceccholini propria pecunia
animo rehabendi a dicto Antonio et sociis ipsius super pagha mensis februarii
proximi venturi florenos 862, libbras 1 pro ut apparet in registro rubro fol.
126 de quibus praescripti conservatores fecerunt eidem finem et refutationem »..
LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 93

«Matheus Randutii predictus solvit pro sotiis conservatoribus nomine
dicti Antonii et sociorum emptorum fructuum dicte comunantie pro parte
predicti dicte comunantie de ipsius Ceccholini propria pecunia animo reha-
bendi a dicto Antonio et sociis emptoribus super tertia pagha dicte comu-
nantie presentis anni pro ut apparet in dicto registro dicto folio : florenos
1517 ; libbras 2 ; soldos 17 ». 1

La terza registrazione é in tutto simile alla precedente, solo che il pre-
stito concerne la quarta rata. Tutte e tre le registrazioni trovano riscontro
nel registro N° 7 delle Comunanze, c. 131: « Constat sub dictis mil.o et die
(30 dicembre) Matheum Ranaldutii bancherium de Perusio porta Sancti
Angeli et pro nomine strenui capitani Ceccholini de Micheloctis solvisse pro
sotiis conservatoribus pro parte pretii dicte comunantie nomine dicti Anto-
nii et sotiorum de ipsius Ceccholini propria pecunia animo rehabendi dicto
Antonio et sotiis emptoribus super pagha mensis febrarii proximi venturi
florenos 867 ; libbre rix ». Uguale formulazione viene usata per gli altri due
pagamenti.

80) « COMUNANTIA AQUE LACUS ANNI 1417. Lodovicus Paoli Sobalze porta
Eburnea cui stabilita et vendita fuit dicta comunantia aque lacus civitatis
Perusii pro tempore unius anni incepti in kalendis mensis maii et finiendi ut
sequitur per notabiles et circumspectos viros ser Bartolomeum Ceccarelli de
Sanguinuccis de Perusio thesaurarium in civitate perusina, ser Cinellum Al-
fani, ser Franciscum Berardelli Vannis et ser Balionum Fortere, cives perusinos
conservatores monete camere perusine pro magnifico et eccelso domino nostro
Braccio de Fortebraccis comite Montoni capitaneo tenetur solvere dicto the-
saurario et conservatoribus dicte camere perusine pro dicta comunantia de-
tractes viribus in totum 11.300 florenos solvendos iuxta formam cedule et
regolarum camerae predictae pro ut in dicta venditione de qua plena et late
patet manu ser Antonii Cecchi de Perusio notarii... et latius continentur.
Pro quo quidem Lodovico Pauli emptore predicto et eis precibus et mandato :
(segue l'elenco dei compratori) ; extiterunt fideiussores qui et quolibet eorum
in solidum una cum dicto Lodovico emptore predicto ad solutionem dicti
pretii et ad omnia et singula per ipsum emptorem promissa se obligaverunt
et obligati esse solverunt iuxta formam et regulam camere et cedule.

Item tenetur solvere, reddere et restituere dictus Lodovicus emptor et
predicti fideiussores ex forma cedule dicte comunantie florenos 320 quos
commissarii dicte comunantie habuerant mutuo a supra dictis thesaurario et
Conservatoribus ».

Reg. N? 15 delle Comunanze, c. 1 sgg.

81) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Comunanze, reg.
Nostra 65-3;

82) Bonazzi L., op. cit., p. 493.

8) BONAZZI L., op. cit., p. 520.

84) Carlo Malatesta fu fatto prigioniero dall’esercito di Braccio Forte-
94 RINO FRUTTINI

bracci durante la battaglia di sant'Egidio, vittoriosa per Braccio sull'esercito
regolare del governo popolare di Perugia. Da allora (anno 1416) fino all'anno
1424 (morte del Fortebracci) Perugia fu sottomessa alla signoria dell'irre-
quieto condottiero.

$5) BONAZZI L., op. cit., p. 562.

3) BoNAZZI L., op. cit., p. 585.

87) DonEN A., op. cit., p. 536.

88) DOREN A., op. cit., p. 532.

89) DOREN A., op. cit., p. 531.

90) FANFANI A., op. cit., p. 399.

*) DOREN A., op. cit., p. 565.

®?) FANFANI A., op. cit., p. 397.

*5 Le uscite sono state prelevate dai registri N° 40 e N° 42 dei Conserva-
tori della Moneta e dal registro N° 101 della Camera dei Massari. Sempre.
appartenenti alla Camera dei Massari abbiamo rinvenuto dalla carta 8 alla.
carta 9 del reg. N° 42 dei Conservatori della Moneta le uscite relative al se-
condo trimestre. I dati tuttavia sono incompleti in quanto comprendono
solo pochi giorni dell'ultimo mese dei sei mesi dell'officio dei Massari. Viene.
riportata peró la somma finale.

*) Già abbiamo messo in evidenza in una nota precedente che il paga-
mento di una condotta a Paolo Orsini per un importo di 3.150 fiorini fosse-
stato autorizzato ai Conservatori dai Priori.

?) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Annona, reg. N° 6,
c. 1 segg.

3$ -BONAZZI D. op::cit;;:p::609.

97) L'imposta del comitato, o distretto, ha tutte le caratteristiche di una.
imposta diretta, gravante sui terreni. Infatti è stabilita precedentemente,
probabilmente da una commissione di periti, la somma che ciascun paese
deve pagare.

?5) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Conservatori della:
Moneta, reg. N° 42, c. 31: «introitum supradicti temporis superesse et su-
perare dictum eorum exitum in florenis: f. 489 ».

*) Una cospicua sottoscrizione venne fatta da Bartolomeus Checcarelli
in società con Nicolaus Bandei. Essi «solverunt dictis conservatoribus de
eorum propria pecunia videlicet de florenis et pecuniis perventis ad eorum.

| manus de gabella duorum soldorum pro quolibet libra... animo rehabendi
| a Johanne Cini emptore comunantie salarie presentis anni et insuper ultima.
paga dicte comunantie:... florenos 1280 ». (A.S.P., Archivio Storico del
Comune di Perugia, Conservatori della Moneta, reg. N° 43, c. 56). Ecco un
esempio del giro di interessi gravitante intorno alla riscossione ed ai prestiti
sulle gabelle ; gli appaltatori della gabella « dei due soldi » ne girano l'introito-
direttamente per la sottoscrizione di un prestito sull'ultima rata della «sa-
laia ».

E-——— —
Mi
o. ————

LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 95

Spesso il socio di una società di mercanti costituita per l'acquisto di una
gabella, effettuava per proprio conto un prestito sul prezzo di quella stessa
gabella che doveva essere pagata dalla sua società: « Hermanus Baldinelli
et Bartolomeus Marini, emptores comunantie salarie anni presentis solverunt
de eorum propriis pecuniis nomine sotiorum et eorum fideiussorum florenos
1190 pro parte pretii dicte comunantie animo rehabendi ab eorum sotiis et
eorum fideiussoribus ut patet in registro rubro: florenos 1190 ».

Lo stesso procedimento fu seguito da quei famosi domicelli dei quali al
capitolo v mettemmo in dubbio la capacità finanziaria per acquistare una
gabella. A quanto sembra di capire ora sono riusciti nel loro intento, ed anzi,
due di loro riescono pure ad anticipare il pagamento di una rata delle gabelle
della legna e della paglia sul pagamento che doveva essere effettuato dalla
società acquirente costituita da tutti e sette i domicelli dei Priori. (A.S P.,
Archivio Storico del Comune di Perugia, Massari, reg. N° 101, c. 29).

Società e soci, acquirenti della gabella, venivano ad essere due soggetti
distinti i quali potevano operare nello stesso ambito finanziario, l'uno indi-
pendentemente dall'altro. Sembrerebbe quasi che la società, fornita di per-
sonalità giuridica, avesse caratteristiche tali da farle assumere una fisio-
nomia giuridica nettamente distinta da quella del singolo socio. E ció a tal
punto da rendere possibili rapporti di affari fra il socio e la società della quale
il socio stesso è partecipe.

100) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Annona, reg. N° 6,
Cid.

101) A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Consigli e Rifor-
manze, reg. N^? 5, c. 5.

103) Mrra G., Le entrate patrimoniali... cit., p. 21.

19) «Da libbre x...», in quanto vi doveva essere un minimum esen-
tato da imposte.

10) Abbiamo potuto elaborare i prospetti sopra indicati avendo a dispo-
sizione 5 registrazioni prelevate dalla carta 17r del reg. N° 43 dei Conserva-
tori della Moneta. Le registrazioni riguardano l’esazione di 2/3 dell’imposta
del focatico.

Da tale frazione è stato facile risalire all'importo totale del «foco». A
mo’ di esempio riportiamo il testo di una delle registrazioni: «Ser Cecca-
rellus Macchiarii porta Solis e parocchia Sancte Luciae, allibratus in libre
262, soldi 10, solvit dictis conservatoribus pro dicta libra, pro duobus tertiis.
dicti foci: florenum unum, solidos decem pro ut patet in dicto registro:
florenum 1, libr. 1, sol. 10 » (A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia,
Conservatori della Moneta, reg. N° 43, c. 17).

L'allibramento veniva effettuato in libbre grosse in ragione di 10 libbre
minute per ogni libbra grossa: «quando autem in Catastro dicitur tale pe-
tium terrae est aestimatum libr. 20, sol. 10, denar. 2 intelligatur librae ad'
grossam. Solidi 20 faciunt libram unam parvam, sive ad minutum ».
96 RINO FRUTTINI

(GiLrANo, Compendium... cit, p. 53). Abbiamo già ricordato in una
nota precedente che: 1 libbra grossa — 10 libbre minute.

15) T] nostro convincimento é confortato da alcuni esempi dove il ter-
mine provisio ricorre frequentemente. I priori ad esempio un certo giorno
del 1416 ricevono dai Conservatori il salario di 572 fiorini, 4 libbre e 6 denari
pagato in ritardo e perció comprensivo della provisionem. (A.S.P., Archivio
Storico del Comune di Perugia, Conservatori della Moneta, reg. N° 42, c. 10).

Il tesoriere di Braccio, il nobile « vir Bartolomeus Checcarelli de San-
guinutiis fuit confessus et contentus habuisse et recepisse a conservatoribus
130 florenos pro parte sui salarii et provisionis » (A.S.P., Archivio Storico
del Comune di Perugia, Conservatori della Moneta, reg. N° 42, c. 25).

Non solo: sempre dallo stesso registro, alla carta N? 2, viene registrata
la seguente operazione di mutuo: «Berardus Corgnoli, Lodovicus Sobalzi,
Paulus Iohannis et Angelus Nicolai cives perusini, offitiales et commis-
sarii comunantie aque lacus et deputati per magnificum dominum nostrum
Bracchium, eorum propriis et nomine Iohannis Cole eorum sotio et collega
pro quo et quolibet eorum promiserunt de rato, fuerunt confessi et contenti
habuisse et recepisse a prefatis conservatoribus mutuo nomine mutui
mutuantibus ut supra vigore bulectini prefati domini locumtenentis sigillati
dicto suo sigillo, subscripti per dictum Bartolomeum camerarium sub die
decima presentis mensis et subscripti in forma debita per dictum locum-
tenentem : florenos 320 ».

199) MIRA G., op. cit., p. 21.

APPENDICE

I

ESEMPI DIMOSTRATIVI DEL POTERE DI ACQUISTO DELLA MONETA

A.S.P., Archivio Storico del Comune di Perugia, Massari, anno 1415, reg.
Ne 99, c. 12.

«Rubeus Mei macellator porte Sancti Petri et parocchie Sancte Crucis
solvit dictis massariis cur fuit inventus per ser Franciscum notarium proce-
dentem ad gonfiandum quattuor castratos contra formam statutorum pro
ut patet in bulecteno dicti ser Francisci: libras 20 ». La pena di 20 libbre,
considerando la natura della infrazione commessa, ci sembra particolarmente
severa. Per essere certi della validità della supposizione sarebbe interessante
poter calcolare il potere di compera che avevano 1a lira, il soldo, il denaro e
soprattutto il fiorino monete usate per la maggiore nell'Umbria e nello Stato
Pontificio.

^
M ea ————- LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 97

Diciamo subito che:

1 libbra = 20 soldi
1 soldo = 12 denari

Il fiorino essendo moneta d’oro coniata a Firenze e di conseguenza espres-
sione della sua potenza economica, aveva una circolazione molto ampia go-
dendo di eccellente credito presso tutti i mercati d’Italia e di Europa.

A Perugia il cambio del fiorino con la libbra ebbe questo andamento
dal 1400 al 1436:

Anno 1400: 1 fiorino = 4 libbre e 12 soldi (reductis libris ad florenos,
ad rationem de quattuor libris et duodecim soldos pro quolibet floreno. (A.
S.P., Cons. della Moneta, Anno 1400, reg. N° 34).

Anno 1414: 1 fiorino — 4 libbre e 10 soldi.

Anno 1419: 1 fiorino — 4 libbre.

Anno 1421: 1 fiorino — 4 libbre e 10 soldi.

Questi ultimi due dati sono stati ricavati dal Registro n. 50 e dal Reg.
n. 61 dei Conservatori della Moneta.

Il cambio di un fiorino per 90 soldi rimane presumibilmente inalterato
fino al 1436. Per i nostri calcoli abbiamo adottato quest'ultimo cambio.

Ció premesso vediamo di riportare alcune notizie riguardanti stipendi
percepiti dai dipendenti e dagli officiali del Comune di Perugia. nell'anno
1416, per dare un senso sostanziale e rappresentativo al valore formale delle
monete.

«Ser Filippus Antonii, notaio della gabella grossa, ebbe
come:salario.dellasua attività. ‘sere eee fiorini 30

« Ser Nofrio di Cola, fancellus addetto alla gabella grossa

percepi ijlsalario d] 5 eee f. 20 mensili
«I domicelli del; DriOrb: «2. 59 rire f. 2 mensili
GI: Massari ot NRE I I f. 15 mensili

«L'officiale revisor castrorum et fortiorum comitatus

Perusii cum uno famulo et duobus equis ................ f. 10 per il sa-
lario del me-

se di agosto.
« Un fabbro per una riparazione fatta alla porta di Santa

Susanna SL UIN E IU ME SII Ee ex e eei Live ES lac Desi
12, d. 6
«Il castellano della torre di Beccatequillo ............ f. 24

(Questi dati sono stati rilevati dalla carta n. 1 e n. 2 del Registro n. 42
dei Conservatori della Moneta).

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98 RINO FRUTTINI

« Il Podestà riceve per il pagamento dell'ultimo terzo del
suossalario ===. in RR f. 600

-————————-

Il giorno 13 di maggio del 1416 Dominus Nicolaus de Col-
lantibus di Pesaro, Capitano del Popolo, Giudice di giustizia,
Maggior Sindaco e officiale dei danni dati riceve l'ultimo terzo
di tutto il suo salario relativo al suo ufficio della durata di sei
mesbpeper'un"immporto*d] cv er oo et EE TE f. 466

(A.S.P., Conservatori della Moneta, Registro n. 40, carta n. 13r).

In questo caso in una unica persona coincidevano 3 offici distinti : Ca-
pitano del Popolo che in genere col Podestà amministrava la giustizia, il
Giudice di giustizia, magistrato che insieme al Maggior Sindaco «soprainten-
deva più specialmente a faccende amministrative » (L. BoNAZZI, op. ci.,
p. 436) ; ed infine l'Ufficiale dei danni dati con il compito di effettuare ispe-
zioni e valutare i danni recati dal Comune sulle proprietà private durante i
periodi di guerra.

9
«I priori ed il loro notaio ricevono per il mese di mag- f
gio-la.retribuzione- di ........ ...... 0 f. 286, lire 1,
$..9
« I due officiali della « salaia » peril salario ditre mesi .... £f. 27
(A.S.P., Conservatori della Moneta, Registro n. 40, c. 5).
« L'addetto ad pulsandum et conservandum orologium .. f. 6
«Andrea Cecchi, detto Roscetto, già Podestà di Casti-
glion Chiusino durante 6 mesi precedenti, riceve per i due terzi
del:suo-salario 7:25:75... 10 i De S. f. 40
«Il'Gonfaloniere;per ib suo: salario. .;....ssu nno f. 6
« Centodiciassette « custodes electi et deputati per officia-
les super custodia civitatis et comitatus Perusii, more solito
ad custodiam istarum portarum dicte civitatis », percepiscono |
globalmente per lo stipendio di sei mesi ................ f. 225 »

(A.S.P., Conservatori della Moneta, Registro n. 40, c. 24).

« Il nobile « Vir Bartholomeus Ceccarelli de Sanguinutiis,
thesaurario in Perusio pro prefato domino nostro Braccio fuit

nie n eta E n EE Eo AC ORE E SAL Gne A

— o ax
LE « COMUNANZE » NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 99

confessus et contentus habuisse et recepisse a prefatis conser-
vatoribus ..... pro parte sui salari et provisionis .......... f. 130

«Un commissario che compie un’ispezione attraverso la

Valle-=Tiberina: parer ae alan f. 10
«UniNunzioomandato'a'Firenze SU ani fet2
«Un ambasciatore mandato a Firenze .............. f. 40
«Due ambasciatori inviati al Re d'Ungheria ........ f. 166
«Meus ser Nicolai de Perusio, orator missus ad Floren-

tamen fuit confessus et contentus habuisse et rece-

pisse a presentis tesauriere et conservatoribus ............ I "0
«Johannes Petrutii de Monte Sperello et Benedictus

Paulutii dottori in legge e professori dell'Università degli

Studi di Perugia ricevono come ricompensa essendo stati in-

viati come ambasciatori a Braccio Fortebracci .......... f.44,1.2

(A.S.P., Conservatori della Moneta, Registro n. 42, c. n. 7).

Infine passando ad un’altra categoria di stipendiati dal Comune, i Pro-
fessori della Università degli Studi, facciamo notare prima di prendere in.
esame alcuni loro salari, senza la malizia di un esattore del fisco, ma con
l'animo di chi vuol semplicemente esprimere notizie di ricerche (le quali in.
questa nota, perché trattasi di argomento che esula dal programma di lavoro
che ci siamo prefissi, abbiamo messo giù disordinatamente), facciamo no-
tare, dicevamo, come ben quaranta nell’anno 1416 fosse il numero dei docenti
che impartivano lezioni di Medicina, di Legge e di Grammatica nella nostra.
Università.

« Dominus Alexander Angeli Porta Sancti Petri legum doc-
tor per sapientes Studii Perusini ad lecturam ordinariam de
SerOi si » percepisce per sei mesi nel suo incarico della
durata: di. un: anno... cenone ich f. 40

(A.S.P., Conservatori della Moneta, Registro n. 40, c. n. 24).

« Magister Francischus Marani artium et medicine doctor
de Camereno conductus per sapientes Studii perusini ad lec-
100 RINO FRUTTINI

turam medicine ordinariam pro tempore unius anni» perce-
pisce il salario di ........... e yet uen. f. 146, 1. 2,

I dottori di Grammatica percepivano invece un salario inferiore a quello
dei loro colleghi delle altre due discipline : 30 fiorini l'anno.

Se poi ai dati suddetti aggiungiamo altre notizie, sul prezzo del grano,
per esempio, che veniva acquistato dal comune per « viginti septem soldi et
decem denariorum pro qualibet corba » (A.S.P., Conservatori della Moneta,
Registro n. 42), o riportiamo i dati delle carte ed i contratti secondo i quali
«due uova costavano un denaro, il mantenimento di un cavallo due soldi
al giorno, il grano 30 soldi la corba o rubbio, il vino venti la soma, un ca-
strato dieci, un paio di buoi quattordici lire, una trave sei soldi, e solo erano
cari i pollastri che costavano denari 16 ; e il grande Arnolfo di Lapo scolpiva
quelle care figure della nostra fonte per la mercede di settanta soldi al gior-
no », (L. BoNaAzzr, op. cit., p. 269) ; ciò premesso riteniamo di aver dato una
visione un po' magmatica (lo abbiamo già rilevato) ma vasta del costo della
vita nella nostra città agli inizi del secolo xv.

II
GABELLA DEI PANICOCOLI

Vendase la gabella’ de le panicocule et forestiere et albergatori et alber-
gatrice de la città borghi e soborghi de Peroscia per uno anno proximo che
viene, comenzando dal di xxvii de septembre del 1409 et finiendo come se-
guita in quisto modo e co gli infrascripti capitoglie, ciò è :

dal di de lo stabilimento de la dicta gabella fare registrare el contracto
de la vendeta d'essa gabella senza alcuna abreviatione, con tucti gli capito-
gli e sustanze opportune e con segno del notaio de ció togato ella cancelleria
del Comuno nel libro bianco de le cedole, acció che omne persona sia lecito
poderlo vedere so la pena de cento libbre de denari.

Ancho che i compratori dessa gabella sieno tenuti e deggano pagare el
prezzo dessa gabella a la camora de gli conservatori del Comuno de Peroscia,
ció é doie cento fiorini contanti el di dello stabilimento e l'avanzo de mese
in mese como montarà per rata a la fine de ciascuno mese e che se entenda
che i compratori de la dicta gabella comperono a omne riscolo, caso e fortuna
e ventura mondana ..... e che gli dicti compratori de la dicta gabella agiano
per lo dicto tempo de la dicta vendeta se farà la possessione e stantia del
banco dove s'é colto e se coglie la dicta gabella delle panicocole e forestieri
e abiano la comodità de la casa e de la stadera e la cassa da cogliere che ce
sonno senza niuno pagamento secondo le consuetudini per li tempi passati

di
dl

"m

LE « COMUNANZE ) NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 101

e agiano le dicte massaria per inventario e sieno tenuti a la fine del loro tempo
ai loro subcessori overo officiali consegnarle.

Che la corba del grano dega pesare libbre 500.

Ancho messer lo podestà, messere lo capitano e el sindaco maggiore e
ciascuno altro officiale de la maiestà del re e del comuno de Peroscia, fore-
stieri paghi per ciaschuno centonaio di peso del dicto grano soldi nove.

Ancho che ciascuna panicocola o panicocolo, albergatore et albergatrice,
et qualunche altra persona alliverato e non alliverato o forestiere de qualun-
che stato o condizione sia, el quale facesse pane per vendere ella città borghi
e soborghi de Peroscia, i quali portassero ovvero mandassero grano per ma-
cenare per fare pane per vendere, paghi per ciascuno centonaio de peso soldi
nove ; e che i fornari per veruno quesito colore possano vendere nè fare ven-
dere pane né farina, senza espressa licentia dei compratori della dicta gabella ;
e così chi vendesse o chi facesse vendere el dicto pane o farina della quale
farina se dega assegnare ai dicti compratori el pane en fra el termene de la
poliza e anco la avuta de la poliza che averà tolta per esso grano pena a cia-
scuno che contraffacesse per ciascuna fiada libbre cinque de denari. E quisto
non se entende en quille persone che comperanno el pane per vendere enfra
el termene de la polizza si che se entenda fra el dicto termene paghare la ga-
bella del macenato una fiata tanto per lo dicto pane e farina e per lo dicto
modo e non piü ; ancho che la polizza valga a le panicocule o panicoculi del
contado tre di e non piü e agli cittadini cinque di.

Ancho che qualunche persona comparasse pane da panicocule o da pa-
nicocolo non lo possa vendere en la città borghi e soborghi de Peroscia senza
bullecta dei compratori dessa gabella, nientemeno senza niuno pagamento
d’alcuna gabella o altra cosa, so la pena de solde diece de denari per cia-
schuna fiada, ei compratori sieno tenuti de dare la dicta bullecta a chi la
domandasse senza alcuno pagamento so la pena de libbre cinque de denari
e quisto non se entenda de tolgliere bullectino e gli albergatori che compras-
sero el pane per dare agli osti.

Ancho a tolgliere via omne dubio e inconveniente che possono interve-
nire per cessare omne fraude che el grano del nostro Signore e del Comuno
de Peroscia el quale se facesse macenare per lo dicto Signore e Comuno de
Peroscia se stia a dechiaratione degli officiali ovvero canavari della bun-
dantia del Signore predicto e Comuno. E che el dicto grano che mandassero
a macenare col saccamento de quillo che girrà a macenare avendo emper-
tanto el talglione dei dicti compratori e dei dicti officiali o canavari o fan-
cegli della Abundantia, overo altri che il signore commettesse per gli quali
talglioni i dicti officiali o canavari o fancegli degano dare la polizza senza
pagamento d'alcuna gabella. Alcuna cosa che parlasse en contrario non ob-
stante et quisto se entenda per grano che facesse macenare per mandare de
fuore de la città de Peroscia.

Ancho che ciascuno forestiere, mercatante artefice e non artefice el quale

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102 RINO FRUTTINI

non avesse beneficio de cittadinanza degano pagare a la dicta gabella come
qui sotto se dechiarerà salvo che non s'entendano essere absenti da la dicta
gabella i forestieri per loro privilegio de cittadinanza. Ció é se deggano fare
tre gradi; el primo sia quisto che ciascuno mercatante, cambiatore o altri
artefici forestieri che traffecassero en grosso degano assignare tutte le loro
bocche de quactro agne en su exclusive quale tenessero en casa loro a uno
pane e a uno vino per qualunche modo infra uno mese dal di del principio
della dicta gabella, e deggano pagare ai dicti comparatore la gabella per doie
corbe de grano per ciascuna delle dicte bocche a ragione de libbre sei e soldi
quindeci per ciaschuna corba de grano cioé soldi 27 per centonaio de peso de
grano. El secondo grado dei dicti forestieri che traffecassero meno en grosso
degano assegnare le loro bocche come dicto e a ragione de libbre quattro e
solde diece per ciaschuna corba de grano. El terzo grado si é che ciaschuno
altro forestiero el quale non havesse avetato ella città borghi e soborghi de
Peroscia per tempo de xx agne, el quale traffecasse non tanto in grosso o
poco e omne altra persona forestiere de qualunche stato o condizione sia
avetante ella città borghe e soborghi de Peroscia el quale non havesse bene-
ficio de civiltà sia tenuto e degga paghare la dicta gabella per quillo tanto
che macenasse a ragione de soldi 45 de denari per ciasscuna corba de grano
e non più. Salvo che non s'entenda devere paghare per niuno modo la maiestà
del Re, né suo luochotenente o Vecere né commissarie Thesaureri né auditori
né capitani de gente d'arme, né veruno soldato de la dicta maiestà né del
comuno de Peroscia né ancho gli giudei purché godano el beneficio de la civi-
lità, né scolari né doctori forestieri che fussero qui per cagione de studio né
miserabili persone che non sono apte a guadagnare. E ancho che i fiorentini
mercanti, cambiatori et altre artefici fiorentini quali continuamente exerci-
tasse qualche arte delle quarantaquattro ella città de Peroscia havetante
ella città e che per l'avvenire venissero ad habitare non deggano paghare
la dicta gabella del banco dei forestiere salvo che non s'entenda en gli arber-
gatori e arbergatrice ne de le panicocole masche e femene fiorentini.
Ancho che i dicti comparatori sieno tenuti e degano dare e fare dare la
polizza a tucte quille persone che la domandassero per macenare pagando
prima la dicta gabella come dicto de sopra e improntarla de quilla impronta
che parrà ai dicti comparatori ella qual polizza el di el nome de colui de chi
el grano in doie parte si che partendo la polizza in ciascuna parte remanga el
di el nome sopradicto e la quantità del biado e l'impronta predicta senza la
quale polizza niuna persona possa macenare. E chi fosse trovato havere ma-
cenato ovvero portato grano al molino senza la dicta polizza paghe la pena
de libbre cinque de denari per ciascuna corba de grano e perda el grano,
le quali polizze valgono cinque di al Tevere e agli altri fiumi o fossati otto di.
E che i mungiari che macenassero el dicto grano degano retenere la mità
de la polizza et infilzarla et adsegnarla de mese en mese ai compratori pre-
dicti o al loro messo e che i dicti mungiari o tractori che portassero a mace-

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LE « COMUNANZE? NEL QUADRO DELLA FINANZA DEL COMUNE 103

nare el dicto grano el degano adsegnare e fare pesare ai dicti comparatore
so la dicta pena.

Ancho che niuno dei sopradicti che sono tenuti a paghare la dicta ga-
bella ardischa overo presuma torre in fraude dessa gabella farina né pane
in prestanza né comparare farina da niuna persona senza licentia dessi com-
pratori so la dicta pena.

Ancho che qualunche forestieri recasse o facesse recare farina de fuore
del contado de Peroscia ella città borghi e soborghi de Peroscia paghe per cia-
schuna mina soldi undeci e denari tre e dega lassare el pegno a la porta so
la dicta pena. E quisto non se entenda per la maiestà del Re e gli altri excep-
tuati de sopra.

Ancho che i compratori de la dicta gabella possano ai mungiari de tucta
la farina che recassero meno de peso de tucto el grano portato tolgliere de
pena de denari xri per ciaschuna libra de farina che recassero meno si è im-
pertanto che sieno tenuti per loro garzoni e pesatori scrivere in uno bastar-
dello el peso del grano che se porta a macenare e de la farina che revene e
degano sogiellare la farina sì che fraude non se possa commetere si emper-
tanto che i dicti compratori sieno tenuti notificarlo a quillo de chi fosse la
farina so la dicta pena.

Ancho che niuno arbergatore nè arbergatrice nè spicciarello o spiccia-
rella non possano nè degano comprare nè fare comprare pane per revendere
senza el bollectino dei compratori de la dicta gabella a la pena de soldi 40
per ciaschuna fiada che contraffatto fosse.

(A.S.P., Arch. Stor. Comune di Perugia, Comunanze, Reg. n. 2, c. 58 e segg.,
Anno 1409).

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FONDI ARCHIVISTICI

Archivio Storico del Comune di Perugia in ARCHIVIO DI STATO DI PERUGIA.
Gomunanze; regg. N9 1, 2; 3, 7, 8; 9. 115 13, 14, 15.

Conservatori della moneta, regg. dal N° 33 al N° 70 inclusi.

Massari, Regg. dal N° 93 al N° 113 inclusi.

Consigli e Riformanze, Reg. N° 5.

Annona, Reg. N° 6.

Gabella Grossa, Regg. N° 11 e 12.

Gabelle Varie, Reg. N° 11.

Sussidio Focolare, Reg. N° 4.

A.S.P., Archivio Notarile : Protocollo di Cristofano di Biagio, N° 44. INDICE

CAPITOLO I

La politica economico-finanziaria del comune di Perugia nel con-
testo storico italiano durante i primi decenni del Quattro-
cento eges devis cu aude. ca ic sexo Nba Dag 21

CAPITOLO II

La struttura del'Amministrazione Comunale . . . . . . . . . » 4.

CapPITOLO III

La sfera di competenza degli organi finanziarii del comune . . . » 7f

CaAPiTOLO IV

Le comunanze : a) significato del termine . . .: .. ... » TT
b) elenco delle comunanze ARSA SEN E » 15
c) i capitolo degli appalti delle comunanze . . » 16

--Gabella:della:.salaia. ‘ic’ Gelli » 14
—aGabella-dellazlegna: i... » 22
— Gabella delle panicocole . . . . . .. » 22.
— Comunanza di monte Malbe . . . . .. » 25.
— Comunanza della pastura e delle poste

del:Ghiuscbo e s eere EI » 26
— Comunanza dei quadrupedi . : . . ;. » 28.
— "Gabella del contratti ^. $25. X » 29
— Gabella delle misure SR, CCo EUSCUQUM, » 31
—Gabella-deisbanchi: 5 : 536.592 anna » 32.
— Gabella dell’acqua del lago . . . . . . D 32.
— Gabella grossa o del pedaggio maggiore . » 38
— Struttura della Gabella Grossa . . . . » 42
— Gabella:del vino. occasu. 18 e » 48.
ECL JACET Cv dom, + 7% ,
106 RINO FRUTTINI

CAPITOLO V

Comune, appaltatori, contribuenti di fronte all'accertamento
e-alla-riscossione delle imposte" «1 nd’... Pag. 56

CAPITOLO VI

Considerazioni socio-economiche sui risultati degli appalti delle
gabelle:daL-140081 14596 700 noob HE » 65

CAPITOLO VII

Paralleli, nell'ambito delle comunanze, fra entrate originarie ed
entrate derivdle - — ... . . . 5. 2. 97. lu » 70

CAPiTOLO VIII

Elaborazione del bilancio consuntivo del Comune di Perugia nel-
l'anno 1416 Rho. ae pIRS cc MR I EI LIC » 74

ApDendice. - weis RR IE iue » 96

Biblografia . . . . . . 4. 0. 05 2A. A o S » 103

hj

7i L'Umbria nella questione romana

Fin dai primi mesi del 1859, fin da quando l'Italia centrale ven-
ne investita dalla bufera rivoluzionaria connessa alla guerra, fin da
quando cominció a profilarsi, al di là degli obiettivi primi del con-
flitto, l'esistenza di una « questione romana », l'Umbria presentó una
serie particolare di problemi e di esigenze ai responsabili della poli-
tica nazionale attuata a Torino. Di tutte le regioni dello Stato pon-
tificio era quella che sembrava maggiormente legata alla capitale,
a Roma, e alla terra che l'inglobava, al Lazio : in tempi di difficili
trasporti e di disagevoli viaggi, in tempi di diligenze e di corrieri,
aveva avuto il vantaggio di comunicazioni abbastanza rapide per
terre popolose e ospitali; anche il lungo fiume aveva permesso,
a uomini e a merci, di raggiungere, con lenta sicurezza, la grande
città. Di tutte le regioni dello Stato del papa, inoltre, l'Umbria era
stata, insieme con il Lazio, la meno aperta al processo di trasforma-
zione delle condizioni di vita e delle idee ; pur non immune da tutti
gli squilibri che caratterizzavano la vita economica e sociale, ammi-
nistrativa e politica dell'intero territorio papale, pur non priva di
zone di malcontento e di disagio, di nuclei di opposizione e di rivolta,
non aveva conosciuto la vastità e la profondità delle agitazioni ti-
piche in quelle regioni, che, al di là degli Appennini, tendevano a
gravitare verso l'Italia settentrionale. La stessa vicinanza con la
Toscana non aveva rappresentato gran cosa : con l’eccezione di quelle
zone e di quei nuclei cui abbiamo accennato, stimoli e idee di rin-
novamento perdevano la loro vitalità in strutture ambientali cosi
diverse da quelle che avevano dato loro vita, tendevano a smorzarsi
in una atmosfera tendenzialmente apatica e passiva.

Gli uomini politici di Torino avrebbero sempre guardato al-
l'Umbria con un sentimento d'incerta perplessità : conoscevano poco
illocale partito liberale e le sue possibilità di manovra e di affer-
mazione ; paventavano al contrario quello a lui opposto della con-
servazione e della fedeltà al pontefice, che immaginavano esteso e
forte in una terra caratterizzata, oltre che dalla fitta rete dei legami
con Roma, da tante testimonianze di vita religiosa. E non era questo
108 FIORELLA BARTOCCINI

solo — l’ostilità della popolazione — il pericolo che poteva presen-
tare l’Umbria divenuta italiana per effetto di interna rivolta e di
occupazione militare : con la sua annessione ci si poneva in diretto
contatto con l’armata francese insediata in Roma e in alcune lo-
calità del Lazio fin dal 1849 e si affrontava il rischio di uno scontro
diretto con Napoleone III. È nota la cautela con cui vennero af-
frontati i problemi della rivoluzione nazionale nell’Umbria e nelle.
regioni vicine, dal sacrificio prima dell’insorta Perugia al cedimento
poi su Viterbo che si era proclamata libera. Le preoccupazioni tori-
nesi non vennero mai sopite completamente dall’intesa con Parigi
e dalla stabilizzazione di fatto dello statu quo e finirono per unirsi

ai nuovi interessi che la collocazione geografica della regione de-

stava, nel quadro della « questione romana ». Fino alla fine del 1867
vennero prese per l'Umbria particolari decisioni di carattere politico.
e amministrativo, sotto la spinta di esigenze talvolta contradditorie,

che andavano dalla necessità di assorbire immediatamente e radical-
mente la regione nel tessuto nazionale, soffocando qualunque vel-

leità di opposizione conservatrice, a quella di attutire con le formule

del compromesso l'asprezza degli scontri con Roma, tendenti a ri-

verberarsi sul piano dei rapporti con la Francia, dal dovere del
controllo di una difficile frontiera al suo sfruttamento ai fini di una
penetrazione nell'ambiente avversario.

Nel 1860 era stato scelto, come commissario generale straordi-
nario, con ampi e particolari poteri, un uomo, Gioacchino Napoleone:
Pepoli, che, per la sua posizione politica e familiare — era legato
da parentela a Napoleone III — sembrava adatto a smorzare le

locali offensive contro il nuovo regime e a stabilire equilibrati rap--

porti con lo Stato romano e con gli occupanti francesi, mentre por-

tava avanti l'opera di fusione dell'Umbria nel nuovo organismo uni--

tario. Più nella forma che nella sostanza — Cavour si era mostrato

deciso a non permettere in tale opera compromessi e deviazioni, af--
frontando radicalmente anche il terreno religioso — e con alcune.

contraddizioni, la politica di Pepoli era stata infatti cauta, duttile,.
equilibrata ®. Come prefetti a Perugia gli erano succeduti — nuova

testimonianza delle preoccupazioni governative — uomini politici di.

primissimo ordine, esponenti importanti della Destra al potere : fino

al 1862 l’orvietano Filippo Gualterio, vecchio amico e collaboratore:
di Cavour, fino al 1865 Luigi Tanari, uno degli uomini di maggior
rilievo nel gruppo liberale bolognese, fino al 1867 Giuseppe Gadda,.
esponente illustre del patriottismo lombardo. Sarà solo nel 1868,

ra ere

ll ne L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 109

dopo la crisi di Mentana, che si avrà a Perugia per la prima volta
un prefetto di carriera, Benedetto Maramotti, ma allora — e ve-
dremo poi meglio i motivi — l'importanza dell'Umbria nel quadro
della questione romana sarà già notevolmente diminuita.

Coadiuvavano i prefetti di Perugia, in altre località della re-
gione, una serie di sotto-prefetti e di funzionari, scelti in genere
alla luce degli stessi interessi e degli stessi criteri: già Pepoli era
stato affiancato da alcuni esuli romani, come Luigi Mastricola e Ales-
sandro Righetti, esponenti illustri del Comitato nazionale, il partito
liberale clandestino di Roma ; il romano Luigi Silvestrelli, divenuto
membro di un consiglio consultivo presso il commissario, aveva fatto
anche le veci di questo in momenti di assenza. Mentre Silvestrelli
continuerà la sua ascesa politica con la elezione a deputato di Terni,
Mastricola resterà sotto-prefetto di Rieti. Capo di gabinetto di Gual-
terio, con funzioni importanti, sarà l'esule David Silvagni, ma anche
'Tanari e Gadda si serviranno dei consigli e dell'aiuto di vari citta-
dini romani. Un'uguale cautela e un uguale impegno condizionavano
anche la nomina degli impiegati assegnati ai piccoli uffici di
frontiera: Luigi Buglielli, funzionario di dogana a Passo Corese,
sarà sempre giudicato a Torino elemento importante e inamovi-
bile ?.

Per un paio d’anni dopo l’unificazione, a fianco del potere civile
si mosse quello militare, non secondo per importanza e per autorità,
e spesso anche primo per responsabilità decisionale. Troppi problemi
rimasti in sospeso, primo fra tutti quello del non ben definito con-
fine con lo Stato del papa e dei rapporti con le autorità che erano
al di là di una vaga linea di demarcazione, mantenevano un'atmosfera
che non definiremmo « di guerra », ma che era certo di acuita atten-
zione e di sorveglianza armata. La 15 divisione (la « Colonna mili-
tare dell'Umbria », comandata da Filippo Brignone, si era solida-
mente attestata nei due centri più vicini al confine, a Terni, dove
‘erano il 5° granatieri, il 2° battaglione bersaglieri, un reggimento di
cavalleggeri e una batteria d'artiglieria, e a Rieti, dove erano il 69
granatieri e una batteria d’artiglieria. Un battaglione di granatieri
era a Narni, uno di bersaglieri a Todi. Vari i distaccamenti su altri
‘centri di frontiera : a Baschi, Amelia, Otricoli, Magliano, Poggio Mir-
teto, Fara. A queste forze si aggiungeva il corpo dei volontari « Cac-
‘ciatori del Tevere », comandati da Luigi Masi ?.

La difficoltà delle relazioni con Roma e, soprattutto, con la
Francia spingeva inoltre i primi governi italiani ad eludere in Um-

——— stili ati

+ 4

— "-—————

A
110 FIORELLA BARTOCCINI

bria la responsabilità di scelte e decisioni radicali e definitive, ab-
bandonando alle due autorità che li rappresentavano, quella civile
e quella militare, un'ampia autonomia di potere e una larga discre-
zionalità, con la riserva di una eventuale sconfessione. Il generale
Revel, prima di raggiungere l'Umbria in sostituzione di Brignone,
se lo era sentito dire chiaramente a Torino, nelle istruzioni ricevute,
e affrontava il suo impegno con la piena consapevolezza di dover
assumere la responsabilità di iniziative importanti, ma che queste
erano anche suscettibili di pronto rinnegamento ?.

Questa mancanza di direttive precise e questa ambiguità ad
alto livello facevano si che autorità civili e autorità militari si scon-
trassero talvolta sugli stessi terreni, anche politici e amministrativi,
nessuna delle due disposta al cedimento dei propri diritti. Fu solo
dall'agosto 1862 che la situazione si chiari, con la piena attribuzione

alla prefettura di Perugia del controllo dell'amministrazione e del-

l'attività politica ; all'esercito restavano le controversie militari sui
confini, ma ormai anche di queste, con la stabilizzazione dello síatu
quo, era diminuita l’importanza. Il presidio di Terni, punta avan-
zata dello schieramento militare italiano intorno allo Stato del papa,
sciolta ormai la « Colonna militare dell'Umbria », passava agli or-
dini del comando divisionario di Perugia, retto da Cadorna, dipen-
dente a sua volta dal Comando generale di Firenze. E fu qui che
Revel finì per essere trasferito. Il potere rimase, completo, nelle mani
dei prefetti.

Anche costoro conobbero alternative di grande autorità e di
critica debolezza : uomini politici, militanti in primo piano, non po-
tevano non risentire dei contraccolpi delle battaglie in corso sul
terreno nazionale e delle conseguenze della lacerazione della Destra.
Gualterio, scelto da Cavour e riconfermato da Ricasoli, cadde con
la caduta di questo; Tanari fu travolto dalla disgrazia che colpì
Minghetti dopo la Convenzione di settembre ; Gadda fu vittima, non
interamente colpevole, delle polemiche legate ai fatti di Mentana 9.
Il solo Maramotti, prefetto di carriera e uomo di amministrazione,.
resterà a Perugia per ben ventun anni. L’opera dei primi prefetti,
rappresentanti di tendenze diverse nell’ambito dello schieramento di
Destra, riflette inoltre — e soprattutto nel campo della questione
romana, che era stata motivo determinante della loro scelta e anche
della loro caduta — la diversità delle direttive e delle istruzioni
che arrivavano dalla capitale, da Torino prima e da Firenze poi;
uguale era solo la consapevolezza di dover affrontare in Umbria.

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 111

«una responsabilità politica speciale » 9, uguale la visione dei pro-
blemi che essi si trovavano davanti. Vediamoli.

Il primo che si presentó, carico di grave urgenza e di pericolosa
prospettiva, fu quello dei confini: la Toscana e il Regno delle Due
Sicilie erano stati assorbiti nella nuova compagine nazionale con la
loro interezza territoriale e con la tradizionale e ufficiale linea di
demarcazione ; quella fra l'Umbria e lo Stato pontificio doveva es-
sere invece ancora tracciata. Il pontefice e l'Italia si fronteggiavano,
rifiutando il primo di riconoscere una frontiera che avrebbe sanzio-
nato la rinunzia ai territori perduti, riluttando la seconda ad am-
mettere una barriera interna nel Regno, che avrebbe significato ab-
dicazione alla marcia unitaria, sconfessione del voto solenne del
marzo 1861. Bisognava arrivare a una soluzione, ma fra i due con-
tendenti si presentava difficile anche la possibilità di un dialogo ;
solo i Francesi, in mezzo a loro, potevano garantire, in parte media-
tori, in parte protagonisti interessati, l'accettazione di fatto della
sistemazione raggiunta e la realizzazione di un modus vivendi per
i rapporti intercorrenti tra i due territori. Il generale Revel ebbe la
piena responsabilità di una operazione che, malgrado le apparenze,
era più politica che militare : andò a Parigi per tentare un accordo
in alta sede, ma compì un viaggio inutile : anche lì, come a Torino,
si eludevano impegni diretti, scelte precise e soluzioni definitive.
Fu solo sul posto, e con una serie di colloqui, diretti o indiretti,
con il comandante in capo delle truppe francesi nello Stato ponti-
ficio, generale Goyon, che poté risolvere caso per caso, parlando
« chiaro senza dir troppo », evitando parole come «trattato » o « con-
fine» e discutendo solo di «zone», di «linee» e di «convenzioni
militari », il problema di una divisione non ufficiale, ma tacitamente
accettata, fra terre ancora contese ?,

Il confine seguì una linea che, partendo dalla Toscana, incon-
trava il Tevere a Baschi; da quel punto il fiume segnava il limite
fino a Passo Corese, poi, per Nerola e Canemorto, si spingeva ad
incontrare la frontiera meridionale sotto Colle Alto. Non era una
linea ideale, perché condizionata in gran parte dalle curve, dalle
tortuosità e dalle insenature del Tevere, che pareva quasi « volesse
irridere all’opera assurda di un confine contro natura » ® e provo-
cava non pochi casi d’incertezza e di confusione : San Lorenzo in
Trastevere che avrebbe dovuto, come frazione del Comune di Orte,
far parte dello Stato pontificio, trovandosi al di qua del fiume, era
diventata terra di tutti e di nessuno. Fu solo la buona volontà e il

ID
112 FIORELLA. BARTOCCINI

fermo controllo delle due parti (e ben disposto si mostró anche
Montebello, successore di Goyon) che permisero una sopportabile
convivenza.

Il problema dei confini era stato risolto, sia pur sul solo piano
militare : restava agli Italiani quello della loro sorveglianza, nel ti-
more che anche qui si verificasse, come nella zona meridionale dello
Stato pontificio, il triste fenomeno delle bande dei briganti, passanti
e ripassanti la frontiera in un’opera costante di attacco e di vessa-
zione. Fu un timore che presto si dileguò nella constatazione che, dalla
parte umbra, tale fenomeno non si ripeteva : non solo mancavano i
presupposti economici e sociali, politici e ambientali che favorivano
la formazione e l’attività delle bande nella zona meridionale, non
solo mancavano gli agganci con le rivendicazioni e con gli incorag-
giamenti dei borbonici, ma era anche diverso l’atteggiamento delle
autorità francesi e pontificie, sinceramente tese ad evitare motivi
di dissidio e pericoli di scontro sulla frontiera più pericolosa e più
fragile, quella settentrionale 9.

Caduta la preoccupazione delle aggressioni esterne, restava in
Umbria, appannaggio non solo delle autorità civili ma anche dei
comandi militari, quella del possibile fermento, se non proprio della
rivolta, di una parte della popolazione. La nuova Italia nasceva dalla
fusione di genti dalle tradizioni, dalle formazioni, dalle condizioni
diverse, che poco si conoscevano, e anche in Umbria i funzionari,
civili e militari, si muovevano con la cauta attenzione di chi deve
camminare su terreni sconosciuti. Ci fu una sola eccezione, quella
del marchese Gualterio, che era umbro di nascita e che, per questo
forse, s'invischió, più di quanto fosse necessario a un prefetto, nella
difficile trama delle contese locali. Per altri, e per tanti Italiani in
genere, l'Umbria era soprattutto la terra dei conventi, testimonianza
di una tradizione religiosa che si supponeva ancora viva nelle idee,
nei sentimenti e negli impegni della cittadinanza. Il timore di una
possibile. opposizione al nuovo regime era aggravato dalla esistenza
del difficile confine, da quello strappo brusco, da quella ferita non
ancora cicatrizzata con il residuo Stato pontificio ; alla preoccupa-
zione per i sentimenti della popolazione e per l’opera di propaganda
del clero locale si univa quindi quella di una facile sobillazione ro-
mana. Fu anche per questo, in una visione che teneva conto dei
problemi del rapporto con Roma e delle incognite della popolazione,
che non ci furono esitazioni nell’applicare in Umbria le rigide con-
dizioni della legislazione ecclesiastica piemontese, nel tentativo di
Ih

ud.

L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 113

disperdere il più possibile le comunità religiose e di soffocare rapi-
damente qualunque manifestazione di ostilità 19. Alcune riserve
di Pepoli, che, spinto da una valutazione più immediata della realtà
locale oltre che da sensibilità personale, tentava di alleviare le
istruzioni superiori, finirono per essere da lui stesso superate : il
«molle », il «troppo tenero » si trasformò nell'uomo che «dei frati
volle far scempio », quando si acuì il duro confronto con Roma e la
prospettiva di una reazione locale 1),

Sul terreno della sorveglianza e della repressione avvenne, nei
primi tempi, la confusione maggiore nell’opera delle autorità civili e
militari, responsabilizzate in ugual maniera dal governo e propense
ad affrontare il problema con lo spirito della zona di guerra. Ci fu
qualche inevitabile contrasto e qualche rapido scontro, più di prero-
gative che di principî, più di metodi che di sostanze, perché le istru-
zioni superiori erano sempre le stesse, quelle che il commissario Pe-
poli aveva comunicato al cardinal Pecci (« Lungi dal farmi opposi-
tore del clero, io sarò ben lieto se lo vedrò agir meco d’accordo in
vantaggio della Patria comune, e mi farò un dovere di mantenergli
piena libertà e di coadiuvarlo in tutto ciò che strettamente lo ri-
guarda, come non transigerò col mio dovere, se esso vorrà invadere
il campo della politica, turbando le coscienze a detrimento anche
della Religione ...»)?2, quelle che il generale Revel si era sentito
confermare personalmente da Ricasoli nel 1861: far rispettare il
clero se questo «si manteneva fedele alle massime evangeliche di
pace e di mansuetudine », ma reprimere immediatamente « qualun-
que improntitudine ostile al Governo » 9. Con il trascorrere del
tempo, esse non mutarono, e se in altre regioni italiane si poté no-
tare un maggior spirito di conciliazione da parte delle autorità mode-
rate, in Umbria non venne mai meno, per la vicinanza con Roma e
la delicatezza dei problemi locali, una forma di tesa attenzione.

Per quanto riguardava l'atteggiamento della popolazione non ci
fu bisogno di operazioni repressive a vasto e profondo raggio : essa
si mantenne nel suo complesso tranquilla, anche se si notavano al-
cune zone di ostilità e di opposizione al nuovo regime, o quanto
meno di perplessità e di incertezza, logiche in gente che si trovava,
a tutti i livelli, di fronte ad avvenimenti inaspettati e sconvolgenti,
non maturati nella consapevolezza delle esperienze e delle idee. Si
trattava di stati d'animo piü che di chiare scelte, e se anche un certo
malcontento per il presente, se non un rimpianto per il passato, au-
mentó nel tempo con la ripercussione delle difficoltà e delle crisi

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114 FIORELLA. BARTOCCINI

economiche e politiche che travagliavano la vita della nuova Italia,
non si tramutó mai in una forma di temibile movimento. « Questa
popolazione se non aderisce che in parte al nostro Governo si ras-
segna tutta allo stato attuale... Essa é tranquilla, come é bella la
regione »?9. Di fronte alla consapevole scelta italiana di una parte.
della popolazione e di fronte alla altrettanto consapevole opposizione
di un'altra, si diffondeva lo spirito dell'accettazione del fatto com-
piuto. La vita continuava — e non poteva essere altrimenti —
nella nuova realtà. Pur salvando certe apparenze di ostilità '9, l'alta
società soprattutto — aristocrazia e grande borghesia — si faceva
facilmente assorbire e condizionare dal nuovo ceto dirigente, espres-
sione del movimento liberale e nazionale locale, al quale era unita
da una rete di inestricabili rapporti familiari, sociali ed economici,
da una comunanza tradizionale di vita, di abitudini e di costumi.
A un certo livello era anche difficile resistere alle suggestioni offerte
da un sistema di cortese convivenza, se non di amicizia, con i rap-
presentanti, civili e militari, del nuovo potere; non mancava una
nota di piacevole mondanità, e forse era vero quello che notava
Revel, che erano soprattutto le donne (le donne ottocentesche, scar-
samente inclini all'impegno politico) a facilitare su un piano civile,
potremmo dire salottiero, l'incontro, se non l'intesa, con i nuovi
venuti !9.

Anche l'opera del clero si rivelò innocua : ad alto livello i rap-
porti col cardinale arcivescovo Pecci furono «sempre cortesi non solo,
ma di grande correttezza ». Il contegno che egli teneva con le auto-
rità civili e militari « non avrebbe potuto desiderarsi migliore, mo-
strando in ogni circostanza un delicato riguardo ed una prudenza
grandissima » !'?, Il cardinale arcivescovo non si esponeva certo in
atteggiamenti che potessero minimamente significare adesione al
nuovo ordine di cose (si trovava, per esempio, «casualmente as-
sente » da Perugia quando vi arrivarono i principi Umberto e Amedeo
e si recarono in doverosa visita al duomo) 9, ma non dichiarava
guerra, ed era soprattutto questo che apprezzavano le autorità, le
quali offrivano, come contropartita, un freno alle intemperanze en-
ticlericali di una parte della popolazione. Ci fu, certo, da parte delle.
alte gerarchie, una ferma difesa dei diritti della Chiesa, come ci
furono momenti di accesa polemica contro alcune leggi dello Stato
— estensione della legislazione ecclesiastica piemontese, soppressione
dei conventi, incameramento dei beni ecclesiastici, matrimonio ci-
vile — 9? e isolate eccezioni di aperta ostilità, come quelle del ve-
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RM

L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 115

scovo di Orvieto, e del Vescovo di Spoleto piit inquieti presuli umbri,
facili alle impennate. In certi periodi si poté notare una reviviscenza
di acuita difesa di interessi religiosi che conteneva, piit o meno diretta,
la polemica contro il nuovo regime: nel 1864-1866, per esempio,
quando venne diffuso il giornale « Apologetico » e si fece propaganda
alla « Quanta cura » eal Sillabo emanati da Pio IX, e nel 1870, quando
si cercarono consensi alle deliberazioni del Concilio vaticano I. Sono
periodi che coincidono, su piano nazionale, con una maggiore tolle-
ranza delle autorità italiane, ispirate dallo spirito di conciliazione che
animava larghe frazioni della Destra, ma che in Umbria ebbero sem-
pre breve durata : troppo forte doveva essere la preoccupazione poli-
tica «locale » della vicinanza con Roma e dei problemi ad essa con-
nessi. Fu invece sempre continua ed aspra la difesa contro gli at-
tacchi portati sul terreno religioso : se la massoneria venne ignorata,
o quasi (coincideva con il gruppo degli avversari liberali ed era dila-
niata da interne correnti), e trascurata, o quasi, l'esigua schiera dei
sacerdoti «nazionali »*9, fu affrontata invece radicalmente la pro-
paganda protestante *9, Si trattava, però, come abbiamo accennato,
di momenti, di eccezioni e di particolari problemi, perché in genere
l'alto clero si adeguó prontamente alla soluzione, tacitamente sug-
gerita dalle autorità italiane, di un «modus vivendi praticato se
non stipulato » 2%),

Tacitamente ? Se non era capito il velato consiglio, non man-
cava l'opera di convincimento, accompagnata magari da qualche
prospettiva minacciosa. Revel affidó a don Calvetti, suo cappellano
militare (rappresentante di una categoria che fu molto utile, nei
primi anni della unificazione, a mantenere una forma di legame,
un aggancio concreto fra le autorità civili e religiose, e non solo in
Umbria), l'incarico di recarsi presso i vescovi. Doveva far loro leg-
gere, dando l'impressione di commettere una indelicata imprudenza,
una lettera che lui, Revel, gli aveva scritto, pesandone certamente,
una per una, tutte le parole: « Vostra S.R. si presenti a monsignor
Vescovo ed esponga che se non mi recai a far visita a S. E. come
l'avrei desiderato quale cattolico, fu pella considerazione che, non
potendo disgiungere la mia persona dalla mia posizione di comando,
quest'ultima avrebbe richiesta una restituzione di visita, certamente
disapprovata dal cardinale Antonelli. Dica rispettosamente ch'io non
pretendo adesione, ma non potrei tollerare opposizione politica. Non
chiedo concorso o cooperazione dal clero, ma bensi che siano rispet-
tate le facoltà speciali accordate dalla Santa Sede ai cappellani mi-

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116 FIORELLA BARTOCCINI

litari. Mi raccomando caldamente ai vescovi onde si mostrino pro-
clivi a questo stato pacifico, che darà tranquillità al clero, poiché
ne proteggerò la quiete. Confido che non agirà contro il Governo,
perché altrimenti non sarei in caso di reprimere un'irritazione pro-
vocata dal clero stesso. Mi sarebbe doloroso dover riferire in propo-
sito al Ministero, il quale, V. S. lo sa già al pari di me, ha già inter-
nato in un convento settentrionale un cardinale che faceva opposi-
zione al Governo e deferiti ai tribunali, che li condannarono al car-
cere, vari sacerdoti provocatori. Reprimerò chi tenti offendere la re-
ligione e il clero, ma dovró pure agire contro chi osteggiasse il Go-
verno » ?9),

Erano parole chiare e furono seguite, quando fu necessario,
da pochi ma significativi esempi, come l'arresto di qualche sacerdote
che si era troppo esposto. « Vivo e lascio vivere — confidava Revel
al fratello — avendo persuaso tutti che pagherei con esorbitante
usura chi mi procacciasse noie politiche. Questo lo dissi schietta-
mente a quattr'occhi a quei tali che avrebbero potuto farlo e farlo
fare. Sgomenti di vedersi cosi bene conosciuti da me, mi giurarono
di regolarsi secondo i miei desiderii. Non val meglio che provocare
processi irritanti ed inconcludenti pella difficoltà di presentare prove
legali ? A Napoli mi accusarono di borbonismo, qui mi accuseranno
di clericarismo, ma la coscienza mi dice che mi attengo al doverismo,
quindi niente paura ! » ?,

Si sente in questo generale piemontese piü che nel prefetto
Gualterio — e, in genere, piü nei militari che negli esponenti politici
— una autentica preoccupazione religiosa, una forma di rispetto
per la Chiesa che nasceva da presupposti autentici di fede. E ci è
possibile trovare anche, in Umbria, manifestazioni significative di
questa fede, che coinvolgevano non solamente il personale atteggia-
mento di Revel, proveniente — sappiamo — da una famiglia di
salde tradizioni cattoliche, ma le truppe piemontesi al suo comando.
Sono testimonianze significative anche per l’incontro sullo stesso
terreno di forme diverse di pratica religiosa. Sarebbe ingiusto consi-
derarle vuota ostentazione, costruita manifestazione di zelo catto-
lico, anche se fu naturale che tale incontro finisse per tramutarsi
in un inevitabile confronto («nelle chiese non si vedono quasi che
militari e so di certa scienza che sono dati per esempio agli Umbri
dai parroci, i quali rimproverano al loro gregge di essere meno reli-
giosi dei Piemontesi ») e per alimentare, in una delle due parti, un
soddisfatto compiacimento per le armi spuntate della polemica av-
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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 117

versaria contro l'empietà degli usurpatori (« nessuno degli scomuni-
cati Piemontesi mancò di fare il san trottin [la visita dei sepolcri]
tenendo un contegno più conveniente ancora di quello dei bor-
ghesi » 2). Anche per altri problemi troviamo una compiaciuta osten-
tazione di mentalità e di ambienti diversi, che potevano costituire
uno strumento di propaganda : chiedendo immediata risposta da
Torino ad alcuni reclami elevati contro la Cassa ecclesiastica, il
generale Revel commentava che «i pronti riscontri mi daranno in-
fluenza su questi signori preti e laici, non avvezzi a veder pronta-
mente riscontrate le loro dimande » 29).

Se ad alto livello, fra le autorità civili e militari e gli esponenti
laici e religiosi dell’alta società umbra, era facile lo stabilimento di
un rapporto basato sul compromesso e sulla convivenza, qualche
preoccupazione continuava ad essere alimentata dall’atteggiamento
del basso clero e della classe inferiore della popolazione, quella delle
campagne soprattutto, con cui non era facile allacciare un dialogo
e su cui non era facile far pesare il condizionamento dei reciproci
vantaggi e il peso degli inevitabili pericoli. La ricerca deve essere
ancora condotta in profondità e non si presenta facile, ma sembrano
esser state le campagne, i piccoli paesi, a dare le dimostrazioni più
significative di avversione agli «invasori»: renitenza alla leva e
sparizione dei registri parrocchiali, fughe al di là dei confini e sui
monti *2?, Le parrocchie dovevano essere i centri animatori di questi
sentimenti e di queste manifestazioni : se una sottile rete di carabi-
nieri e di agenti di polizia, di reparti militari e di uffici civili si dira-
mava anche nelle più piccole località, restava un terreno su cui le
autorità non potevano — e non volevano — inoltrarsi, ed era quello
delle chiese, dei confessionali soprattutto, dove il dialogo non po-
teva non essere segreto e rispettato. Ed era proprio nelle chiese,
proprio nei confessionali, che il sacerdote umbro aspettava gli «in-
vasori », a sua volta sfruttando quella religiosità dei soldati piemon-
tesi che procurava tanta soddisfazione al loro comandante. È ancora
questi che c'informa di un clamoroso caso, quello del curato di Ame-
lia, che a un suo conoscente chiese in confessione la promessa di
non sparare, o di sparare in aria, nel caso fosse stato portato al fuoco
contro i pontifici 28) La reazione era immediata e trovava, come al
solito, rispondenza ad alto livello : si allarmava il vescovo, il cui
intervento riusciva, se non a bloccare il fenomeno di certe ostilità,
a ridurne l’estensione e l’eco.

Dopo quanto abbiamo detto, appare chiaro che non vi erano

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118 FIORELLA BARTOGCINI

in Umbria le premesse per una rivolta legittimista : restava l'ombra
della sobillazione romana, dell'incoraggiamento della Santa Sede. Si
mormoravano tante cose in proposito, per esempio che da Roma stessa
fosse stato fatto pervenire l'ordine di non ammettere gli « occupan-
ti» al precetto pasquale: non sappiamo se fosse vero, perché Revel
non aspettó il momento della prova, ma agi subito alla prima voce,
come sempre con un chiaro monito a livello dei vescovi *9. In realtà,
l'ateggiamento romano ci appare sempre cautissimo nel corso di
tutto il decennio: dietro la facciata ufficiale della protesta per le
usurpazioni e della rivendicazione delle terre perdute, era Roma
stessa ad adottare una prudente tattica d'azione, che, se tendeva
ad alimentare focolai di opposizione in lontane regioni, non voleva
complicazioni vicine ed evitava di accendere il fuoco sulla frontiera,
dando pretesto a motivi di conflitto con gli Italiani. I cattolici um-
bri avrebbero rialzato la testa e cominciato il loro cammino, sempre
però slegato e scoordinato, per una affermazione a livello civile,
amministrativo e politico solo quando la Santa Sede, dopo il 1870,
non avrebbe avuto più nulla da perdere ?»,

Altra preoccupazione delle autorità civili e militari fu quella
della facilità con cui, dall' Umbria, si valicava il confine e si raggiun-
geva Roma. Generazioni di stranieri, con i loro diari, racconti di
viaggio e memorie, ci hanno abituato a valutare la lunghezza e la
difficoltà del cammino verso il centro dello Stato pontificio, verso il
cuore della cattolicità, sia che si venisse dalla Toscana, attraverso
le desolate lande della Maremma o le brulle montagne del Senese,
sia che si venisse dal Regno delle Due Sicilie, attraverso le zone in-
colte ed inospitali del Lazio meridionale, rese pericolose dalla pre-
senza di folte bande di malviventi. Non era facile che la via del
mare — da Livorno a Civitavecchia, quando non si partiva da Mar-
siglia o da Genova —, nel nostro periodo sorvegliatissima dalle au-
torità delle due parti, o la strada di Rieti, altrettanto soggetta a pe-
sante controllo. Malgrado si tentasse di allargarla a tutti i transiti
valicabili, la sorveglianza non era sufficiente ad impedire i passaggi
clandestini: bastava un guscio di legno, bastava buttarsi a nuoto
nel Tevere, per raggiungere l'altra sponda e per confondersi fra gli
abitanti dei numerosi e popolosi centri situati sulla striscia opposta
di confine; si poteva anche raggiungere direttamente Roma con
quello che, a detta del repubblicano Giannelli, era «l'unico itine-
rario possibile » per un clandestino, la via del fiume, magari su una
delle tante barche di carbonai che scivolavano lente verso la foce.

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 119

E non possiamo non ricordarci, a questo proposito, la descrizione
dell'ultimo viaggio dei fratelli Cairoli 81),

I confini erano quindi animatissimi, da una parte e dall'altra,
soprattutto di notte: i patrioti romani, che cercavano salvezza
nella fuga, talvolta consigliati dalle stesse autorità pontificie, poco
desiderose di alimentare il mito del martirio politico, i disoccupati
o gli ambiziosi, che cercavano lavoro o affermazione nella «terra
promessa », nella nuova Italia, si scontravano con i fedeli della causa
papale, con gli impiegati dimissionari, con i renitenti alla leva, con
i religiosi allontanati dai conventi, con i delusi, con tutti coloro che
cercavano rifugio e assistenza nell'«ultima oasi » ®. Nel momento
dei primi esasperati rapporti fra Torino e Roma la sorveglianza del
confine, da una parte e dall’altra, fu particolarmente astiosa e pun-
tigliosa ; in terra italiana si cercò di ovviare alla facilità del transito
clandestino, bloccando la gente sconosciuta molto prima della linea
di demarcazione : l'individuazione delle «facce nuove », delle « facce
sospette », divenne una delle preoccupazioni principali dei carabi-
nieri e degli agenti di polizia in tutti i più piccoli centri. Ne fece
ampia prova lo stesso Giannelli che, inviato a Roma dalla Associa-
zione emancipatrice italiana per ristabilire un contatto con il locale
partito democratico, per due volte si avventurò, attraversando l'Um-
bria, verso il Tevere e per ben due volte non riuscì neanche a rag-
giungere il fiume, bloccato immediatamente ed espulso dalla re-
gione per ordine delle autorità *9.

Con il passare degli anni la situazione cominciò a modificarsi.
Da una parte e dall’altra non solo ci si rese conto della difficoltà,
impossibilità quasi, ad esercitare un controllo rigoroso, ma si ce-
dette anche alla tentazione di chiudere un occhio sui passaggi, ferme
restando tutte le preclusioni per una categoria temuta sia a Torino
sia a Roma, quella dei democratici, dei pericolosi uomini del partito
d’azione. Le frontiere cominciarono ufficialmente ad animarsi : viag-
gi familiari, viaggi turistici, viaggi d’affari rimettevano in contatto
parenti, amici e commercianti, rimasti divisi nel 1860 ; la situazione
migliorò ancor più dopo la firma della Convenzione di settembre
che, al di là delle interessate polemiche, offriva il concreto vantaggio
di due anni di tregua nello scontro fra l’Italia e Roma. Fu allora
che si cominciarono a vedere individui e famiglie soggiornare, con
facilità e per lunghi periodi, ora da una parte ora dall’altra della
frontiera : per quanto riguarda l'Umbria troviamo dei nobili, meno
soggetti alle investigazioni della polizia romana, come Paolo di Cam-

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120 FIORELLA BARTOCCINI

pello a Spoleto, ma non mancavano i borghesi che sorvegliavano i
propri interessi al di là e al di qua dei confini, come l’avv. Solidati
Tiburzi a Rieti. La gita a Rieti, anzi, a così pochi chilometri da Roma,
si presentò per molti sudditi del papa, verso la metà del decennio,
con il piacevole gusto del frutto proibito : era il primo contatto che
essi avevano con la «realtà » italiana, una realtà invero modesta
nel quadro della vita provinciale del piccolo centro, ma già ricca di
tante novità. Verso la fine del decennio i viaggi dei Romani in Italia
e degli Italiani a Roma saranno così numerosi da non costituire più
una eccezione, ma non sarà più l'Umbria allora la terra del facile
transito : il collegamento ferroviario tra Firenze e Napoli, che ormai
passava per Roma, aveva eliminato il lento cammino delle diligenze
per la strada di Rieti, e l'Umbria veniva solo attraversata, e appena
intravista dai numerosi viaggiatori in rapido passaggio. L'elimina-
zione quasi totale delle ultime residue puntigliose formalità della
frontiera aveva reso ormai inutili anche gli sconfinamenti clande-
stini. Si aggravava, con il nuovo sistema ferroviario, l'isolamento
della regione, e certo, per quanto riguardava la funzione di questa
nel quadro della questione romana, l'isolamento contribui ad allen-
tare l'interesse dei governi italiani e a facilitare il loro disimpegno
politico dalla scena umbra *^.

Ma non anticipiamo i tempi. Torniamo agli anni in cui la re-
gione svolgeva ancora il suo particolare compito: la vicinanza, la
facilità del contatto con lo Stato pontificio avevano fornito agli
Italiani, per esempio, una carta che essi non avevano mancato di
sfruttare, utilizzando il suo territorio come utile avamposto, base di
ascolto e di dialogo verso la fortezza assediata, una fortezza che si
sentiva cosi presente, cosi vicina, in fondo alla pianura percorsa dal
Tevere. « Dall’alto dei terrazzi di Perugia, guardando la magnifica
distesa della Valle Tiberina, io correvo colla mente nel lontano oriz-
zonte alla Città Eterna, e pensavo con trepidazione allo svolgimento
del suo oscuro destino » #) ricorderà Gadda, il quale, nella accetta-
zione della «responsabilità tutta speciale » imposta dalla sua carica
di prefetto in Perugia, aveva la piena consapevolezza di trovarsi
non solo in un utile osservatorio, ma anche in una base di media-
zione. Dopo la rottura dei rapporti diplomatici e la partenza del-
l’ultimo rappresentante sardo a Roma, il conte della Minerva, fu il
sottoprefetto di Rieti, Mastricola, che garantì l’inoltro dei dispacci
governativi al console italiano rimasto nella città, Teccio di Bayo *?9.
Quando anche questi, nel 1862, fu obbligato alla partenza, ci si

" l CER. L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 121

servì di altri canali, quelli della diplomazia inglese per esempio, che
passavano da Civitavecchia e Livorno, ma l’Umbria non venne meno
alla sua funzione di avamposto per l’inoltro di stampati, opuscoli e
giornali, pubblicati talvolta nella regione stessa *. Era una strada
di cui si servivano sia i moderati sia i democratici. i

Più importante, però, della funzione di «inoltro » sembra esser
stata quella di osservazione e di ascolto. Le informazioni giungevano
rapide e dirette — tramite la posta, i viaggiatori, gli emissari del
Comitato nazionale romano e gli emigrati — e venivano ritrasmesse
dalle autorità di frontiera agli organi interessati di Torino. Alcuni
piccoli impiegati postali erano, come quello di Poggio Mirteto, au-
torizzati a comunicare in cifra direttamente al Ministero dell’Interno
tutte le notizie che avevano carattere di particolare gravità : malat-
tia del pontefice, spostamenti delle truppe francesi e pontificie, ini-
ziative dei Borboni. Sfogliando i giornali umbri dell’epoca si ha netta
l’impressione che, più di quelli italiani, essi fossero ricchi di infor-
mazioni fresche e numerose.

In Umbria facevano la loro prima sosta quasi tutti gli esuli
politici, personaggi noti e sconosciuti; a rievocare l’interesse susci-
tato dal loro arrivo e dai loro racconti ecco il resoconto del viaggio
di uno dei più illustri : il padre Passaglia. Si sapeva, ed egli non
faceva nulla per nasconderlo, che si trattava non solo di una perso-
nalità notevole nel mondo pontificio, ma che aveva collaborato stret-
tamente con il conte di Cavour per la soluzione della questione ro-
mana : quanto egli confidava sembrava quindi dover rivelare la
sorte futura della città, e grande era l’attesa per le notizie che avreb-
be portato e per i giudizi che avrebbe espresso. Da Rieti, prima tappa
di quasi tutti i fuggiaschi, venne accompagnato a Terni da un gio-
vane esule romano, Luigi Ovidi, che ne ascoltò e diffuse le rivela-
zioni #9. Cominciò a parlare «del papa, de’ Cardinali e di tutti i
Prelati Pontifici... Quest'uomo dalla lucida e profonda mente con
una concisa argomentazione mostrava come per opera di tutti questi
la religione fosse caduta nel fango. Del Papa s’esprimeva così : egli
è un uomo vendicativo e maligno, d’una coscienza intermittente ;
ed a cui i liberali del 47 hanno data fama di buono ». Gli sfoghi con-
tinuarono il giorno successivo, favoriti dal lento cammino in carrozza
nella dolce campagna :

«Non mi parve mai così breve la strada che da Rieti mena a
Terni come in quella mattina : pendevo interamente dalle labbra del
Professore sfuggito misericordiosamente agli artigli della Polizia pon-

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122 FIORELLA BARTOCCINI

tificia e della tremenda inquisizione né mi curavo d'altro. Le cogni-
zioni di quest'uomo superano la fama che s'é sparsa di lui. Egli é
un saggio politico, egli è un esimio teologo, egli è un sublime filo-
sofo. Parlommi a lungo di Cavour e mi disse fra le altre cose: io
ho di lui 50 lettere ; eravamo intimi amici ; se egli fosse vissuto or-
mai le nostre truppe sarebbero a Roma; perché tutto era conve-
nuto tra il nostro Governo e la Francia.... Dio santo, sclamai io,
qual perdita facemmo dunque mai perdendo Cavour! Ed egli : im-
mensa, incommensurabile ! ... Parlammo poscia a lungo del Papa, e
lo disse un imbecille presuntuoso, maligno e vendicativo. Una volta,
sono le parole di Passaglia, passeggiavo con esso nel portico d’una
chiesa ed entrando egli meco in discorsi politici, prese anche a par-
lare dei ministri di Stato di tutti i Regni d’Europa : il credereste ?
Egli disse somari tutti i ministri d'Europa e solo facendo sosta din-
nanzi al nome di Cavour, disse di lui: questi non si puó negare che
sia un uomo d'ingegno ma è ateo dichiarato. Un tal fatto vi mostri
l'impudenza, l'asinità di un tal uomo. Aggiunse poi che Pio IX non
esamina mai una questione perché si crede inspirato, e per non in-
comodarsi a studiare mai che decide di essa come per istinto. Anto-
nelli lo domina con dirgli sì o no conforme a lui piace.

Infine io non posso ridirvi tutte le parole sue a me dette nel viag-
gio, ma le ho fisse in mente e dovrei scriverne un volume. Non vuò
però tralasciare di notare questo dialogo interessante. Io : che pensa,
professore, di Napoleone III ? Passaglia : che egli non voglia l’Italia
unita ; il suo progetto fu la confederazione ed è tuttora la confede-
razione. L'Italia raggiungerà la sua unità per la sua interna virtù,
per la santità della sua causa, che in Francia ha molti adepti, ed
anche perché in ultimo Napoleone sarà rimorchiato ».

La gente, nei vari centri, era incuriosita e festante ; a Terni
si addensò «folla immensa di popolo », così che si dovette fare a
pugni e gridare per permettere all’illustre ospite di raggiungere l’al-
bergo : «Nobile manifestazione! Tutti silenziosi que’ cittadini le-
vavano in alto il loro cappello per ossequiare il grand’uomo ». In-
torno a lui si stava creando già il mito : quando partì, diretto a To-
rino, dove l’attendeva « ansioso » Ricasoli, Ovidi confessava di aver
«pianto come un fanciullo e con me tutti gli amici studenti. Dio
protegga lui e la nostra Italia ». E poco dopo il giornale « Eco del
Tevere » : « Noi l'abbiamo veduto, quest'uomo, andar fuggiasco con
vesti né eleganti, né sue ; senza bagaglio, senza moneta, senza reca-
piti per fuggire la persecuzione di una corte che non perdona a chic- Ij

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 123

chessia e per quanti vantaggi ne abbia avuto »*9, Sarebbe stato un
mito di corta vitalità, travolto dall'affossamento delle idee e delle
iniziative cavourriane e dalla diffidenza che, anche negli ambienti
piü moderati umbri, si nutriva verso il sistema delle trattative di-
rette con il papa.

Dopo breve tempo non si parlava più in Umbria di Passaglia,
ma la rievocazione del suo arrivo ci spinge a qualche considerazione
sull'atteggiamento della popolazione, non di quella conservatrice,
che già abbiamo intravisto, ma di quella liberale, inserita nel piü
ampio quadro italiano ‘9. Gli Umbri erano sensibilissimi alla que-
stione romana che dibattevano, magari senza una particolare elabo-
razione di problemi, di idee e di prospettive, ma con il peso della
tradizione e del ricordo, dell'esperienza maturata in qualità di sud-
diti del pontefice, della partecipazione che la vicinanza con Roma
permetteva. In un certo senso, essi, anche se finivano per inoltrarsi
nel solco delle iniziative prese altrove, si sentivano ancora prota-
gonisti importanti della lotta, e tutti i momenti di vivificazione
della questione li vedevano osservatori attenti e polemici. Motivo
importante di discussione e di propaganda politica, il tema riaffio-
rava insistente in ogni battaglia elettorale.

La divisione dello schieramento era quello che caratterizzava i
partiti italiani: da un lato i moderati, sostenitori dei mezzi morali
€ delle trattative diplomatiche ; dall'altra i democratici, fautori degli
atti di forza e delle soluzioni radicali. Di questi ultimi é anche molto
chiara e coerente la posizione sul terreno religioso : « Una composi-
zione tra l'Italia e il prete non è possibile. Noi rappresentiamo la
luce, egli le tenebre; noi la scienza, egli l'ignoranza ; noi la verità,
egli l'errore; noi la virtü, egli il vizio ; noi l'affermazione, egli la
negazione di ciò che è giusto e doveroso ; noi l'uguaglianza, egli il
privilegio ; noi la ricchezza, egli la miseria; noi la libertà, egli la
schiavitù ; noi l'attività, egli l'inerzia ; noi l'alleanza dei popoli, egli
dei tiranni per tenerci soggetti ; noi infine rappresentiamo il presente
e l'avvenire, ed egli un passato, che puó paragonarsi a una necro-
poli, popolata da tristi memorie, dove le ombre de' nostri martiri,
a perenne esecrazione, le additeranno in eterno al passeggiero » 41).

Nel campo dei moderati é avvertibile una particolare posizione,
che ritroviamo diffusa in genere tra molti ex sudditi dello Stato
papale (esiste, per esempio, anche nel partito liberale e nazionale
romano), che era quella di un vivace anticlericalismo, di una netta
ostilità al mondo ufficiale pontificio, di una profonda diffidenza verso

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124 FIORELLA BARTOCCINI

ogni tentativo di dialogo fra Italia e Roma patrocinato da alcune
correnti del partito moderato italiano. Non c'é posizione antireli-
giosa, anche se possiamo domandarci quanto i moderati umbri sen-
tissero la profondità di un problema religioso e la necessità di una
politica ecclesiastica avulsa dal terreno delle questioni nazionali in-
solute. I discorsi di Cavour del marzo 1861 sembrano esser scivolati
via senza destare particolare interesse, quasi non fossero stati com-
pletamente compresi; l'opera di Passaglia, quando trapeló, fu se-
guita, a parte gli esuli romani, con una certa diffidenza ; non aperta,
la contrarietà esplose all'annunzio delle missioni Vegezzi e Tonello.
«Ella non conosce i preti!»: in questo diffuso commento *, che
denuncia la paura di un tranello, di una tattica sbagliata, può es-
sere sunteggiato il carattere di quella riserva che si intravede dietro
la facciata ufficiale dei consensi alla politica governativa per la solu-
zione della questione romana *?.

Sulla « Gazzetta dell'Umbria », foglio dei liberali moderati, ri-
troviamo motivi tipici della stampa affine italiana : la speranza di
un accordo con l’imperatore per il ritiro delle truppe, che diveniva
imbarazzo di fronte alla negativa e dura risposta francese, senza
mai trasformarsi in accettazione dell’altra possibile alternativa, quella
garibaldina dell’azione diretta. Anzi : per l’incomodo eroe, per tutti
coloro che si mettevano «al di sopra della legge, del sovrano, di
tutto », per i fomentatori del disordine e del caos c'era un astio sot-
tile, anche se non sempre apertamente formulato ; gli avversari de-
mocratici erano accomunati ai reazionari romani, accusati di par-
lare lo stesso fazioso linguaggio ‘9. Approvatissima fu la Conven-
zione di settembre, che «avvicina a Roma » *9, e in genere, appro-
vatissima fu qualunque iniziativa di governo, con l’eccezione di quei
commenti «di fondo » cui abbiamo accennato che accompagnavano
i tentativi di pacificazione sul terreno religioso. Il significato del
crollo del potere temporale in tutti i suoi complessi aspetti, la sua

importanza ai fini dello sviluppo dello Stato unitario liberale, le pro-

prie stesse esperienze e le proprie speranze, sembrano in genere ap-
pena avvertiti e poco discussi: si parlava, ma rapidamente, del

trionfo della religione libera dalla pesante soma dell’impegno poli-

tico e prevaleva l'ottimistica visione di un mondo nuovo scaturito,

quasi per miracolo, dalle ceneri dell’antico. Una semplicistica vi-

sione, che sentiamo sprigionare da alcune parole di Pepoli sull’avve-

nire di Terni: «La loro città, o Signori, è chiamata ad un grande
avvenire ! Terni sarà sotto la nuova Italia la città dell’industria,.

IPS RW

L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 125

del commercio, del lavoro ; ma perché l'industria, il commercio ed
il lavoro fioriscano, è forza la stabilità della nostra sorte, e le nostre
sorti non saranno mai stabili che quando Roma sarà libera e ita-
liana. Quel giorno soltanto scompariranno gli ostacoli che ancora
inceppano fra voi la vita industriale ! Al silenzio delle vostre cam-
pagne succederà il rumore dei telai ed il fischio del vapore, ai cadenti
casolari sostituirà la speculazione solidi e ampi edifici, all'ozio man-
tenuto dai conventi succederà il lavoro, perché quell’acqua che scende
limpida e meravigliosa per le chine delle vostre montagne feconderà
la vostra industria . . . » ‘9.

I rappresentanti del governo in Umbria, se ascoltavano con orec-
chio distratto i commenti dei moderati, temevano, ‘però, e molto,
la pressione e l'impegno dei democratici, non tanto per la loro in-
cisività sulla scena politica locale, piuttosto scarsa in realtà mal-
grado qualche successo elettorale, quanto per la loro possibilità di
manovra sui confini dello Stato pontificio e per la loro intesa con il
partito d’azione italiano, al quale essi potevano offrire un vantag-
gioso punto di partenza per la marcia rivoluzionaria su Roma. La
situazione politica in alcune città, soprattutto in quelle vicine alla
frontiera, destava allarme preoccupato, sorveglianza sospettosa e in-
tervento immediato a livello delle amministrazioni e dei gruppi mo-
derati locali per una pressione che scendesse in profondità. La città
più inquieta, la meno controllabile, era Terni, ma si temeva che il
grido di «Roma italiana » divenisse quasi ovunque la bandiera
principale e la parola d’ordine della nascente democrazia umbra.

I timori governativi che la regione potesse trasformarsi in ter-
reno utile di aggressione allo Stato del papa fu, per alcuni anni,
‘eccessivo : vi erano certamente alcuni democratici italiani che si
servivano della facile strada, del facile sconfinamento, nel tentativo
di raggiungere Roma; abbiamo visto i vani sforzi di Giannelli, che
non riuscì mai a raggiungere la frontiera, e possiamo anche ascol-
tare la sua accusa, rimasta naturalmente lettera morta: «debbo
protestare e protesto altamente contro il modo illegale, antinazio-
nale e inurbano, praticato dai signori governanti dell'Umbria, con-
tro uomini i quali, lo scorso anno, preparavan loro quel terreno che
oggi sfruttano con larghi stipendi, benché in nessun modo né meri-
tati né guadagnati. E protesto altresì in nome dello Statuto, che
guarentisce ad ogni onesto cittadino la libertà personale, lesa in
oggi ad ogni pie’ sospinto da questi corifei dell'ordine. E prego co-
desto benemerito Comitato Centrale di Provvedimento a chiedere

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126 FIORELLA BARTOCCINI

conto formalmente dell’agire di questa gente, alla quale sembra di

andare a nozze, quando può usare qualche ingiusta rappresaglia,
qualche sevizia in odio agli uomini del Partito d'Azione ...»*?. Ma

si trattava di casi isolati, di iniziative per lo più individuali, e le.

proteste non riecheggiavano su piano nazionale : anche se dietro le

spalle di Giannelli erano alcuni uomini dell'Emancipatrice, in realtà.

la Sinistra italiana, sempre pronta ad invocare l’unione di Roma
all'Italia, il diritto degli Italiani, la lotta al pontefice e alla Chiesa,
era riluttante ad addentrarsi sulla strada delle iniziative concrete.

E non solo in quella frazione dello schieramento che rifiutava qua-
lunque avventura di tipo «rivoluzionario », ormai già inserita nel-

l’attività del Parlamento e pronta alla collaborazione con il governo,
ma nello stesso partito d’azione, diviso e combattuto fra le mete di

Venezia e di Roma, e in ogni caso debole, male organizzato e privo:

di mezzi oltre che di coordinata autorità centrale 49,

Il quadro è smorto, e pertanto vi spicca, con particolare ri-
lievo, l’opera isolata di alcuni individui. È il caso di Luigi Pian-

ciani, che fece dell'Umbria, terra natale, il campo primo della sua
attività : la spinta verso Roma confluì con quella della propaganda
del programma democratico, ispirando un’azione lenta e capillare

che si svolse a tutti i livelli e in tutte le direzioni, e raggiunse punte.

elevate soprattutto nei periodi elettorali 4). È difficile precisare

quanto una meta — quella romana — fosse di supporto all’altra —
quella della propaganda democratica —, quanto influissero l’una sul--

l’altra : Pianciani si serviva dell'Umbria e delle sue forze di sinistra
come terreno e strumento di manovra per il rinvigorimento del par-

tito d'azione romano, per la vivificazione di un problema che, esplo--

dendo sulle frontiere, finiva per acquistare peso particolare anche

sulla scena nazionale, ma si serviva ugualmente della questione ro--

mana per allargare in Umbria il fronte democratico. È inutile dire

che sul conte spoletino e sui suoi amici, Galeazzo Ugolini in primo:

piano, si scatenò l'opera di sorveglianza dei funzionari governativi 59.

Anche perché Pianciani per primo aveva capito l’importanza di.

sfruttare una carta che, più ancora di quella dei democratici umbri,
sembrava esser utile al suo duplice intento : l'opera degli emigrati
romani.

Esercitarono, costoro, nella questione romana una funzione che.

ho cercato recentemente di approfondire. Si trattava di centinaia e

centinaia di individui (si calcolava che alla fine del decennio aves-
sero quasi raggiunto la grande cifra di diecimila), partiti dallo Stato:

IE L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 127

pontifieio fin dalla guerra del '59, in massa o alla Spicciolata ; si
fermavano, in genere, sui confini perché — dirà uno di essi stabili-
tosi in un primo momento a Rieti — «si diceva che da un giorno
all'altro si sarebbe andati a Roma. Noi contavamo i giorni e le ore
e ci persuadevamo dell'imminenza del nostro trionfale ritorno dal-
l'enorme numero di truppe che si addensava al confine » 9, Erano
le illusioni diffuse in Italia nei primi mesi del 1861, vivo ancora
Cavour, nutrite dallo spirito di miracolistica attesa che aveva ac-
compagnato e seguito gli avvenimenti della rivoluzione unitaria.
Erano destinate a svanire col tempo, ma ugualmente la maggior
parte degli esuli continuò a scegliere come rifugio le terre più vicine
allo Stato pontificio, l'Umbria soprattutto, che sembrava fornire gli

agganci più diretti ed immediati con la città e con la famiglia abban-

donate. È un motivo che li spingerà in massa anche a Livorno, da
dove partivano le navi per Civitavecchia, e a Napoli, quando la fer-

rovia la collegherà con Roma. Ma non era solo un problema psico--

logico, di acuita nostalgia, a guidarli nella scelta : si univa ad esso

una necessità concreta, vitale, di sopravvivenza. I Romani si sen-

tivano estranei e forestieri in terra italiana : l'isolamento antico della
città natale e la sua particolare condizione di vita, che la facevano
così diversa da tanti altri centri italiani ed europei, la diversità della
formazione culturale e la carenza della preparazione professionale,

aggravavano le loro difficoltà ad inserirsi nel tessuto politico, eco-

nomico e culturale della società italiana. Troppo diversi erano gli

ambienti e le strutture, le situazioni e i problemi che dovevano af-

frontare, e le difficoltà, aggravate dalle prime crisi dell’Italia unita,
travolgevano un po’ tutti, non solo gli appartenenti ai bassi ceti

popolari, ma anche i borghesi, e anche alcuni elementi ricchi e af-

fermati in patria, costretti ora a difficili e tormentose esperienze.
Sembravano salvarsi solo gli aristocratici, quei pochi nobili in esilio,

che ritrovavano facilmente, se non una affermazione su piano na-

zionale, il tono delle familiari condizioni di vita nell'ambiente dei

propri simili, ai quali erano spesso anche uniti da vincoli di paren-

tela e di interesse 52),

Dopo queste premesse, è facile comprendere come gli esuli ten--

dessero a fermarsi nelle ex province dello Stato pontificio e, soprat-

tutto, in Umbria non soltanto per la possibilità delle più facili co--

municazioni con Roma, ma perché in queste regioni sentivano par-

lare un «linguaggio » (e non ci riferiamo naturalmente a un «dia-
letto ») familiare, impregnato degli stessi concetti, riferito alle stesse.

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128 FIORELLA BARTOCCINI

esperienze, connesso agli stessi problemi. E sulla scena umbra. del
primo decennio dopo l'unità la presenza di centinaia di Romani,
esponenti di tutti i ceti sociali, è elemento importante di cui bisogna
tener conto sia sul piano della vita sociale, in cui essi portavano una
nota di pittoresco colore 5, sia su quello della vita politica. Si muo-
vevano compatti, molto legati fra loro, senza divergenze di classe
e di fortuna, cercando forse proprio, in questa forma di massiccia
unità, non solo di ricostruire artificiosamente l'atmosfera del mondo
perduto, ma di ritrovare forza e prestigio. Accentuavano anche, e
quasi certamente per gli stessi motivi, un atteggiamento di prepo-
tente, quasi rissosa, presenza. Ficola, rievocando molti anni dopo
le sue esperienze di vita umbra, ricorderà come l'esule, « orgoglioso
di essere nato a Roma, considerava gli altri come tanti infelici ».
Di che cosa vivevano ? Molti si mantenevano con gli scarsi sussidi
governativi — altro motivo che li tratteneva in una regione dove i
prezzi si mantenevano bassi —, altri erano riusciti a infilarsi nelle
pieghe della nascente amministrazione, i piü lavoravano nella co-
struzione delle strade e dei tronchi ferroviari 9. Qualcuno, come
Filippo Perfetti all'Università, insegnava, ma piü numerosi erano
gli studenti, come Sindici, Ficola, Carta, Ovidi, inviati spesso dalle
famiglie a proseguire gli studi universitari in un terreno piü favore-
vole a una brillante ascesa sociale. Gli esuli avevano anche un loro
giornale, l'« Eco del Tevere », finanziato all'inizio dal governo, ma
con spunti di indipendente posizione politica, che gli faranno per-
dere in un secondo tempo ogni protezione 59

Non sempre la popolazione locale li sopportava nel proprio
seno : nel 1861 furono fatti allontanare in massa da Hieti in seguito
a una specie di sollevazione dei cittadini esasperati per una rissa
conclusasi con due morti 59. E le autorità avevano preso con pia-
cere questa iniziativa, cogliendo un'occasione che permetteva di li-
berare la frontiera da una presenza che aveva importanti riflessi
politici. Gli emigrati costituivano, infatti, una massa difficile da
controllare e da guidare, agitata e inquieta, dagli umori instabili e
dalle iniziative imprevedibili, facile preda delle lusinghe del partito
d’azione e portata logicamente a inserire nelle vicende della que-
stione romana una nota di impaziente pressione. Fin dal 1861 Gual-
terio scriveva a Revel: «Convengo con voi essere prudente allon-
tanare l’emigrazione dalla frontiera. Il Governo non può né deve
essere compromesso. Converrebbe che tutti si persuadessero che per
farci aprire le porte di Roma, abbiamo bisogno di dar garanzia al L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 129

mondo : 1? che non vogliamo turbare la pace altrui ; 29 che non fa-
remo le teste balzane aprendo la via ai rossi. Quindi è che se i gridi
e gli evviva si potessero reggimentarsi si dovrebbe sopprimere ma-
chiavellicamente il nome di Venezia e non richiamare quello di Ga-
ribaldi, in grazia del quale, per certo, la truppa francese non comin-
cerà la sua mossa di ritirata .. .» 57,

La scarsa forza dei democratici locali poteva divenire inquie-
tante se vista in connessione con quella degli esuli, particolarmente
in alcune città, come Terni, che, divenuta — dice Gadda — «quar-
tiere principale della emigrazione romana, ricevendo ogni giorno no-
tizie da Roma, si agitava con fantasie accese»; la situazione, se-
condo lui, era difficile da risolvere: si sarebbe dovuto impedire il
soggiorno a tutti i Romani, mutare la composizione del Municipio
che era in mano ai loro amici, assumere un atteggiamento — non
facile — di opposizione alla loro propaganda 59. Non sono timori
isolati i suoi: li ritroviamo vivi nelle lettere dei responsabili civili
e militari nella regione, inclini a vedere nel concentramento degli
emigrati il pericolo maggiore di complicazioni nello sviluppo della
questione romana, e li ritroviamo vivi anche ad alto livello, fra gli
uomini stessi del governo. Ed é ovvio che questi tendessero a pren-
dere tutte le possibili iniziative per un'opera di stretta sorveglianza
e di decisa guida, e che ad essi si opponessero i democratici, non solo
per una coerente posizione di difesa della libertà individuale dai
soprusi delle autorità, ma per una uguale necessità anche di dire-
zione e di condizionamento. Da parte del governo le strade erano
tre : controllo politico, attuabile attraverso il Comitato nazionale,
che era il più grande partito liberale di Roma, dal cui seno la mag-
gioranza degli esuli era uscita e che ancora poteva quindi esercitare
sopra di essi una funzione di guida; concessione condizionata di
sussidi; minaccia dell’allontanamento dalla frontiera e del domicilio
coatto. Tutte e tre le strade erano molto utili : attraverso gli organi
di polizia prima, della prefettura poi, quando venne regolata in sede
parlamentare l'elargizione dei sussidi, le autorità locali riuscirono a
ottenere abbastanza facilmente l'obbedienza e la docilità ; per i piü
riottosi c'era l'ordine di partenza e il paventatissimo confino in
Sardegna o in qualche sperduta località dell'Italia settentrionale 59.

Non sempre gli uomini di governo si posero un problema di solo
controllo per una funzione docile e passiva della emigrazione: per
taluni, e in alcuni momenti, essa divenne utile strumento di azione.
Già nei primi tempi della liberazione la maggior parte degli esuli

9
130 FIORELLA BARTOCCINI

venne inquadrata nei « Cacciatori del Tevere », volontari alco mando
di Luigi Masi, che costituivano la punta più avanzata dello schiera-
mento militare italiano *? ; successivamente, in due particolari mo-
menti, essi vennero sfruttati ancor più decisamente. Il primo si ha
all'inizio del 1862, quando Ricasoli tentava di dar forza alla sua
politica romana con una vasta agitazione nel paese, e la massa degli:
emigrati alla frontiera umbra divenne per lui motivo di speciale
interesse, non solo per una necessità di controllo che impedisse la
diffusione dell’appello d’azione garibaldino, ma anche per una pos-
sibilità d’iniziativa diretta. Ricasoli chiamò a Torino, nel febbraio
1862, il conte Manni, illustre uomo politico in Umbria, e l’emigrato
romano Angelo Tittoni ; con loro prese la decisione di creare un « Co-
mitato centrale di emigrazione » con sede a Orvieto. La scelta destò
qualche rimostranza a Firenze, che si sentiva sacrificata nella sua
importanza, ma Ricasoli tenne, e giustamente, duro : la posizione
di Orvieto permetteva di collegare con facilità i centri italiani sul
confine con quelli dello Stato pontificio, specie con Viterbo, favo-
rendo così il controllo delle due fasce di frontiera. Finì per far ces-
sare lamentele e diffidenze la concessione da parte del governo al
« Comitato » di Orvieto di un regolare sussidio mensile di 1500 lire ;
tutti gli emigrati finirono per gravitare intorno ad esso, che poté
così controllare tutta una serie di sotto-comitati (Rieti, Foligno,
Assisi, Spoleto, Terni, Narni), solo apparentemente indipendenti. La
direzione di questi sotto-comitati avrebbe dovuto in via teorica
essere scelta dagli aderenti, ma essa era ben controllata da quella
centrale di Orvieto, a sua volta seguita strettamente dal prefetto di
Perugia Gualterio 1),

Le intenzioni del barone toscano e dei suoi collaboratori sem-
brano poter essere riassunte da una loro frase: far sì che l' « impru-
denza dei pochi» non compromettesse «la causa dei molti » *». Il
primo proclama, apparso a Orvieto il 15 febbraio, è tutto impregnato
di idee ricasoliane : la necessità di attendere « gli eventi con impas-
sibile risoluzione e con costanza veramente romana »; la sicurezza
che Roma e la provincia sarebbero state capaci, da sole, « d’infran-
gere gli ultimi anelli » della schiavitù ; l'assicurazione che « non una
stilla di sangue, non una voce di maledizione » avrebbero turbato i
solenni momenti della rigenerazione, che Roma stessa avrebbe sa-
puto mostrare che «il capo dell'augusta religione cattolica » sarebbe
stato sempre «oggetto di quella reverenza e di quell'ossequio che
ora unanimi le popolazioni gli diniegano, perché veggono la corona

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 131

del principe congiunta alla tiara, la spada al pastorale ; e grondanti
del sangue dei propri figli le mani di coloro che, ad esempio di Cristo,
dovrebbero solo levarle al cielo per benedire » 0%),

Si ha l'impressione che l'organizzazione umbra degli emigrati
non dovesse esaurirsi, per Ricasoli, sul piano solo del controllo, ma
che essa fosse intravista anche come possibile arma di azione. È
sempre difficile ricostruire con sicurezza le linee della sua opera, i
disegni segreti essendo sostenuti da pensieri che, quando trapelano,
appaiono contraddittori nella loro rapida fuggevolezza, ma qualche
tempo prima egli aveva scritto a Emanuele d'Azeglio: «Io staró
fermo come rocca in mezzo agli intrighi d'ogni maniera; io terró
forte alla mia politica d'ordine e di previdenza ; ma innanzi tutto
sono e saró italiano, e... chiameró in mio sussidio la rivoluzione,
dove ne vedrò gli elementi, e darò fuoco alla miccia » *9. Ed è anche
significativo il fatto che a Orvieto, a fianco di Manni e di Caprini,
altro dirigente del « Comitato », fossero chiamati uomini come Fi-
lippo Costa, di sicura fede democratica, e come Augusto Lorenzini,
che ci si stava avvicinando. Nella loro adesione dobbiamo ricercare
non solo il naturale desiderio di trovarsi in primo piano nel momento
della vittoria, ma anche la viva speranza, quasi certezza, di una so-
luzione audace e radicale, legata al nome e all'opera di Ricasoli,
all'«uomo forte » e deciso del momento. Costa invitava il romano
Montecchi a raggiungerlo subito in Umbria, dichiarando che « quan-
do la campana del Campidoglio avrebbe suonato sarebbe stato
troppo tardi venire » *9,

Il successore di Ricasoli, Rattazzi, aveva accettato la continua-
zione del riconoscimento ufficiale del centro di Orvieto e l’au-
mento del sussidio portato a L. 2000. Erano tempi difficili : Rattazzi
voleva come contropartita per la sua protezione l’ordine più assoluto
sulla frontiera e questo veniva assicurato con facilità dagli emi-
grati, che avevano nel 1862 gli occhi e le speranze fissi sull’azione di
Garibaldi e sulla rivolta interna dei Romani. Qualunque tentativo
di agitazione veniva del resto prontamente stroncato non solo dalle
autorità civili, ma anche da quelle militari. È interessante però
notare che, nell’incertezza del momento, quella confusione che stava
investendo le autorità italiane aveva finito per raggiungere anche
l'Umbria : ne è prova il gen. Revel che, contrario alla organizzazione
degli emigrati che gli sembrava un « gioco » pericoloso, sognava ugual-
mente possibili soluzioni di forza che avrebbero visto l'esercito stesso
marciare su Roma. Occorreva poco, dichiarava, che si verificasse o

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EP:
132 FIORELLA BARTOCCINI

l’una o l’altra delle due eventualità che, sole, gli sembravano poter
«ragionevolmente » giustificare l’ingresso degli Italiani nello Stato
pontificio : il ritiro dei Francesi con la conseguente insurrezione dei
cittadini romani; la minaccia di saccheggio della città da parte
di quelle «masse di disperati formatesi sotto gli auspici dei Bor-
boni ». I soldati stanziati a Passo Corese, a soli 30 chilometri da
Roma, avrebbero allora potuto muoversi sulla città: prima la ca-
valleria e una compagnia di bersaglieri in rapida diretta marcia,
poi il resto delle truppe, comprendente il battaglione di Todi. La
vista improvvisa dei bersaglieri e della cavalleria non avrebbe po-
tuto non sgomentare i «briganti borbonici » e produrre un tale fer-
mento nella popolazione da far aprire la Porta Pia o la Porta Salaria,
forse anche tutte e due. La cosa più importante, per Revel, era quella
di arrivare presto, non quella di arrivare con grandi forze *9,

La sconfitta di Aspromonte segnó, per il mondo dell'emigra-
zione romana, la fine di molte illusioni; per il « Comitato » di Or-
vieto anche la fine della sua esistenza *?. Il nuovo governo, specie
per opera di Minghetti e di Peruzzi, ministro degli Interni, aveva
preferito accordare piene responsabilità, anche per quanto riguar-
dava il controllo e la guida degli emigrati, al Comitato nazionale
romano, incaricato di compiere una vasta operazione politica im-
perniata sull'azione interna dei sudditi pontifici. In un solo momento
l'emigrazione in Umbria riassunse l'antica importanza e fu nella
primavera del 1864, quando Minghetti e Peruzzi, con la speranza di
una soluzione riaccesa dalla malattia del papa, idearono forme di
azione agganciate alla sua morte e alla possibilità offerta dalla sede
vacante, ed erano forme d'azione che prevedevano, oltre a una
grande manifestazione di volontà unitaria a Roma, l'insurrezione
nelle province pontificie contro le autorità civili e militari *9. La
preparazione mise in luce che non si poteva contare troppo sulla
zona meridionale del Lazio, piü conservatrice o piü inerte di quella
settentrionale, piü condizionata dalla vicinanza con l'inquieto ex
Regno delle Due Sicilie, mentre favorevoli prospettive si mostra-
vano invece per il Viterbese, già in origine politicamente più agitato
e più sensibile all’influenza e alla propaganda italiane. Occorreva
però l’aiuto di un certo numero di volontari, e questi furono scelti
fra gli esuli in Umbria, tenuti pronti sul confine per una rapida in-
vasione. La preparazione, diretta da Torino e attuata soprattutto
dal prefetto di Perugia Tanari, in collaborazione con il deputato ro-
mano Checchetelli, rappresentante del Comitato nazionale presso il

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 133

governo, e con Francesco Vallerani a Orvieto, fu particolarmente
accurata, sia per quanto riguardava l'organizzazione dei rivoltosi in
terra pontificia e la raccolta delle armi, sia per quanto riguardava
lo smistamento degli uomini sul confine ©. Ma l'impresa non arrivò
neanche a un principio di attuazione, tanto la condizionavano e la
indebolivano alcuni elementi negativi : essa era legata a una ipotesi,
quella della morte di Pio IX, e a un momento, quello della sede va-
cante, con il vuoto di potere e di autorità ; era viziata dal timore
che incutevano gli uomini del partito d’azione, con la loro possibile
infiltrazione nelle file del movimento. Fu poi affiancata, ed infine
travolta, da quelle trattative con Parigi che portarono alla firma
della Convenzione di settembre.

Il confine umbro tornò calmo con il successore di Minghetti,
con il generale Lamarmora, che impose l’attuazione rigida e severa
del trattato con la Francia: novità in Umbria ci furono — e il ri-
chiamo da Perugia del prefetto Tanari volle proprio significare con-
danna di un sistema e attuazione di un nuovo metodo nella questione
romana °°, ma furono di tipo repressivo, per un controllo ancora
più accentuato del confine che tendeva a coinvolgere anche gli ele-
menti moderati, gli uomini del Comitato, protetti dai precedenti
ministeri. D'altra parte, nuovi problemi urgevano : primo fra tutti
quello delle elezioni, che avevano un’importante carattere di verifica
e di analisi, (dopo gli entusiasmi plebiscitari del 1860), particolarmente:
significativo nelle province, dove si poteva meglio saggiare lo « stato
reale » del paese.

In tutta la penisola il motivo «romano » fu uno di quelli che
maggiormente lievitò nel clima propagandistico e polemico del mo-
mento, ma in Umbria sembrò avere carattere e peso particolari, e
non solo sul piano delle discussioni teoriche. Fondamentale lo tro-
viamo nell’opera di Pianciani, impegnatissimo nella sua duplice, in-
terdipendente operazione : quella di allargare il terreno di conquista
dell’opinione pubblica, sfruttando l’occasione elettorale, con ini-
ziative — riunioni e stampa — che miravano a vivificare ambienti
e gruppi più vasti e con una lenta azione capillare di penetrazione
nelle zone inerti; quella di una riproposta della questione romana,
sul piano delle idee e degli interessi, con una prospettiva di pronta
e radicale soluzione. A tal fine egli sfruttò a fondo anche la possi-
bilità che offriva l’emigrazione, che abbiamo visto così agitata e
inquieta, elemento prezioso per un’opera di propaganda a vasto
raggio : già nel febbraio 1865, a Firenze, era nato, sostituendosi a

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134 FIORELLA BARTOCCINI

precedenti iniziative di carattere assistenziale, un organismo dai chiari
fini politici, l'« Associazione dell'emigrazione politica» la quale si
era diffusa rapidamente nelle regioni vicine, e particolarmente in
Umbria. Centri similari vennero creati a Perugia (dove gli aderenti
furono quasi un centinaio) ?, Orvieto, Rieti, Terni, Spoleto, e di-
versi furono i collaboratori che per essi si adoperarono : Ugolini,
Monni, Contucci, Parboni, Venturini, Agosti, Vicentini, Patrizi e,
per un certo tempo, Ceracchi ?2).

Non solo il problema romano fu in primo piano nella battaglia
elettorale umbra, ma esuli pontifici si mossero con decisione, sia
sullo sfondo, nell'opera dei vari comitati elettorali ?, sia in posi-
zione avanzata, sulla scena dei candidati in lizza. Guidati spesso da
ambizioni personali più che da chiari impegni politici, spinti dal de-
siderio di trovare nella vita politica quella affermazione che sfuggiva
loro nella vita civile, trovarono naturale e facile presentarsi nelle
regioni dell’ex Stato pontificio, Marche e Umbria soprattutto, terre
che, come abbiamo detto, offrivano il vantaggio di una vasta rete
di legami di amicizie, di parentele, di interessi. Ma la ricerca non fu
facile quando i candidati agirono con l’appoggio solo delle proprie
forze, si spostò da un centro all’altro e si concluse spesso con la fal-
limentare rinunzia. Più comoda fu la posizione di coloro che si presen-
tarono con il sostegno dei moderati al potere (malgrado la dichiarata
estraneità del governo vennero concretamente aiutati dalle auto-
rità politiche e amministrative della regione) o con quello dello
schieramento democratico 7. Da una parte e dall'altra, la presen-
tazione di candidati «romani » servì a una dichiarata manifestazione
politica; diceva uno di essi ai propri elettori : eleggere un romano
è dimostrazione della volontà di completare l’unità italiana, con-
fermare il diritto dell'Italia e condannare la sovranità papale ?9). A
Terni fu rieletto il moderato Silvestrelli, malgrado la lotta accanita
di Cansacchi sostenuto da Pianciani ; questi, riuscito a Spoleto, potrà
l’anno successivo battere gli avversari a Poggio Mirteto con la no-
mina di Giuseppe Galletti, da lui presentato come l’ex-presidente
della Costituente romana "9. Ondeggianti fra democratici e mode-
rati, non chiaramente caratterizzati fra gli uni e gli altri, con punte
polemiche verso l’attuale politica del governo che non si tramutava
ancora in una scelta di opposizione (ma s’inseriranno poi, col tempo,
nello schieramento democratico), furono Solidati Tiburzi, eletto a
Rieti, dove era nato, e Mattia Montecchi, battuto a Poggio Mirteto
per l’opposizione di Pianciani, che gli sarà amico e compagno di

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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 135

lotta qualche anno dopo, ma che non aveva forse potuto ancora
superare l'antico rancore per la sua diserzione dal campo mazziniano.

Le elezioni del 1867 non ebbero, in tutta Italia, il significato e
l’importanza di quelle del 1865 : improvvise, affrettate, non costi-
tuirono il fatto più determinante del momento politico, che vedeva
il forzato scioglimento della Camera, lo scontro fra la Destra e la
sinistra sul terreno della politica ecclesiastica e finanziaria, i due
maggiori schieramenti a loro volta suddivisi in varie frazioni, lo
smarrimento e l'incertezza della opinione pubblica, in cui la delu-
dente esperienza della guerra nel Veneto aveva acuito lo stato ge-
nerale di malessere e di sfiducia. Risorgeva infine il problema
romano in un clima di drammatica urgenza, ora che Venezia era
stata liberata e non si poneva piü una questione di priorità, ora
che le truppe francesi avevano abbandonato Roma, ora che Gari-
baldi traeva spunto dalla agitazione politica generale per portare
avanti il suo appello per una lotta immediata e diretta.

L'Umbria fu completamente coinvolta nell'avventura di Men-
tana. In primo piano era il prefetto Gadda, che dovette, nella pe-
nuria e nella contradditorietà delle istruzioni governative, affron-
tare la più difficile operazione politica della sua vita '?. Ricasoli,
Rattazzi, Menabrea, i capi dei ministeri che si succedettero in ra-
pido avvicendamento, furono espressione di tre posizioni e di tre
momenti diversi della politica italiana per Roma, condizionata su
due piani, quello diplomatico e quello popolare ; in Rattazzi furono,
addirittura, presenti i due momenti, quello della rinuncia e quello
dell'azione, in lui fu il capovolgimento improvviso e sostanziale delle
visioni e delle iniziative: dalla prima disposizione a garantire l'in-
violabilità dei confini pontifici, che culminó con l'arresto di Gari-
baldi a Sinalunga, al tentativo azzardato di giocare la carta della
rivoluzione. Gadda si trovó di fronte non solo al problema della
difficile interpretazione della volontà del governo, ma anche a quello,
personale, della scelta dei metodi di attuazione: una posizione dif-
ficilissima che egli fece rivivere nelle sue memorie e che lo vide at-
tore sensibile e aperto alle esigenze del momento, anche se fini
per essere anche lui travolto dalle polemiche successive al falli-
mento dell'impresa garibaldina.

In un primo tempo, in esecuzione alle istruzioni di Ricasoli e
del primo Rattazzi, l'Umbria conobbe un duro momento di sor-
veglianza e di repressione. Furono colpiti innanzi tutto gli emigrati
romani, i quali dichiaravano di non essere piü legati al Comitato
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136 FIORELLA BARTOCCINI

nazionale e di aver scelto una forma di completa indipendenza da
tutti i partiti politici per poter essere liberi di correre in aiuto alla
prevista insurrezione nella loro città. La loro indipendenza, in realtà,
si esauriva in questa teorica dichiarazione : stimolati da Pianciani
e da Montecchi, ormai uniti in un’opera comune, essi stavano aper-
tamente dimostrando di «essere con Garibaldi e col Comitato di
Firenze da lui nominato » *9. Fu abbastanza facile per il prefetto e
per le altre autorità locali frenare la loro pericolosa pressione, allon-
tanandoli quasi in massa dalle frontiere e trasferendoli in zone il
piü possibile lontane, con una operazione globale che non salvó
neanche alcuni fedeli membri del vecchio Comitato moderato *9. Più
difficile fu il controllo dei democratici locali, che, avendo l'appoggio
di una vasta opinione italiana, non potevano essere allontanati e
non potevano essere intimiditi. E i democratici umbri mostravano
di risentire ormai pienamente del clima imperante in Italia e delle
parole d'ordine del partito d'azione *9, Terni fu il focolaio primo
della agitazione umbra, il quartier generale dell’impresa rivoluzio-
naria, la base avanzata di mediazione fra gli organizzatori italiani
e quelli romani: lo dimostrò con la spedizione di giugno, quando
un gruppo di volontari valicó i confini dello Stato pontificio, su-
bito bloccato dalle stesse truppe italiane. L'iniziativa, oggetto di
polemiche vivacissime, sconfessata dai maggiori responsabili, fu frutto
dell'ambigua alleanza — mediata a Terni — che si era creata fra
Garibaldi e il Comitato nazionale, uscito improvvisamente dalla sua
posizione moderata per inoltrarsi sul terreno dell'azione insurrezio-
nale e per accettare la fusione con i democratici locali nella Giunta
nazionale romana *7,

Il momento chiave della situazione, risultato dell'ambiguo con-
trasto fra l'imposto allontanamento degli esuli romani e la tollerata
circolazione dei volontari italiani, fu quando centinaia e centinaia
di garibaldini cominciarono a concentrarsi in Umbria : fu allora inu-
tile l'arresto del generale, il suo confinamento a Caprera, tutta l'opera
di controllo e di intimidazione. Privo di ordini precisi, nel vorticare
di suggerimenti contradditori, Gadda cercó a fatica di fronteggiare
la confusione che stava invadendo la regione a tutti i livelli, dal-
l'opinione ai poteri pubblici. Poi ci fu il gran salto : la decisione del
governo, comunicata personalmente da Crispi a Perugia — e con
qualche forzatura personale — di tentare il tutto per tutto, favo-
rendo l'insurrezione in Roma e il passaggio delle truppe italiane nello
Stato pontificio per il ripristino dell'ordine e della legalità. I volon-

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dt L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 137

tari avrebbero dovuto essere accettati e utilizzati come tacito sup-
porto, ma fin dal primo momento essi tesero a mantenere quella
funzione di protagonisti che già avevano assunto, obbligando il go-
verno alla brusca evoluzione ; l’arrivo di Garibaldi fece il resto,
travolgendo ogni progetto. In Umbria l'agitazione si diffondeva a
macchia d'olio e, mentre la Sinistra portava avanti la sua opera di
propaganda e di organizzazione, centinaia di volontari si unirono
alle truppe garibaldine.

I moderati reagirono con un incerto e contradditorio atteggia-
mento che risentiva dal rapido cambiamento della politica governa-
tiva, un atteggiamento ben riflesso nella « Gazzetta dell'Umbria » :
alla prima condanna di ogni atto contrario alla Convenzione di set-
tembre, che rischiava di compromettere l'Italia sul piano interna-
zionale e di ledere i suoi interessi nella questione romana 2), segui
una manifestazione di dolorosa impressione per l'arresto di Gari-
baldi, giudicato peró necessario, da accogliersi con «solenne mesti-
zia e calma dignitosa, quale si addice a un popolo fidente nell'effi-
cacia delle libere istituzioni e nella rettitudine degli uomini chiamati
ad applicarle ». Accompagnava queste parole una sottile polemica
contro «le teorie delle iniziative individuali » che «ci è sempre sem-
brata una soverchieria » *?, La fiducia nel governo che avrebbe saputo
agire da solo, la speranza che il popolo romano si facesse iniziatore
di rivolta, vennero bruscamente meno nel precipitare degli eventi :
il 19 ottobre il giornale finiva per dichiarare che, «al punto in cui
stavano le cose », bisognava ormai tutti portare aiuto.

L'Umbria vide quindi la partenza dei volontari, fra cui erano
centinaia di suoi figli 9 ; vide anche la partenza, sul Tevere, delle
barche che portavano il gruppo Cairoli verso Roma con armi e mu-
nizioni. Nessuna indifferenza, in quei convulsi momenti, era possi-
bile: alla entusiastica partecipazione dei democratici si accompa-
gnava la preoccupata osservazione, venata di rassegnata acquie-
scenza, dei moderati. I conservatori? I fedeli del papa ? Nel clima
del momento sembrano ancor piü nascondersi: una opinione di al-
larme e di timore certamente si era formata, ma appare celata, chiusa
nel segreto delle coscienze o abbandonata a confidenziali sfoghi. Ma
l'Umbria, che aveva visto l'esaltante partenza dei volontari, ne visse
anche l'amaro ritorno: sconfitti, avviliti, sbandati, privi di tutto,
vennero generosamente soccorsi non solo dalle autorità ma dall'in-
tera popolazione, che si prodigò con grande spirito di abnegazione,
colpita anche dalla visione di tanti parenti venuti, da ogni parte

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138 FIORELLA. BARTOCCINI

d'Italia, a fare ricerca dei propri familiari. Fu forse, questa del 1867,
la prima grande e vera esperienza «italiana » della regione. E non
poté non lasciar traccia in una accettazione più ampia e più con-
vinta di «italianità », che travolgeva gli ultimi dubbi e le ultime
riserve.

Con la tragica conclusione di Mentana sembrò che la parola
«fine » fosse stata messa sulla questione romana e che le speranze
unitarie fossero ormai crollate. Così non era. Anzi: Mentana lasciò
anche ai moderati, che si erano mostrati negli anni precedenti, in
alcuni loro gruppi, esitanti ad affrontare la lotta e inclini a cedere
alle concessioni, una eredità di fredda determinazione, anche se la
soluzione sembrava lontana e confinata a incerti e nebulosi futuri.
In realtà, una forma di soluzione era già avviata, non avvertita dai
più e forse anche rifiutata per quell’implicito abbandono che sem-
brava prospettare al trascorrere lento del tempo e alla maturazione
dei problemi e delle idee, per quell’implicito senso di compromesso
che sembrava celare. Era la soluzione che veniva, come si diceva
allora, «dalla forza delle cose », da una trasformazione di Roma
stessa, a tutti i suoi livelli, dal pontefice alla popolazione, fatalmente
attratti nell'orbita della vita italiana. « Ville assiegée, ville prise »
commentava un osservatore straniero *9: troppo stretto e soffo-
cante era il cerchio che la nuova Italia manteneva intorno alla cit-
tà, troppo limitate le capacità romane non solo di lotta, ma di so-
pravvivenza, perché la resistenza potesse eternamente durare. Dietro
la facciata delle polemiche rivendicazioni si svolgeva un processo di
taciti accordi e di segrete concessioni, favorito dalle stesse autorità
pontificie, che tentavano di dar respiro al piccolo Stato economi-
camente soffocato e alla vita stessa della Chiesa in Italia. Iniziato
già dopo la Convenzione di settembre, il processo continuava anche
dopo Mentana, che non aveva dato, come sarebbe sembrato preve-
dibile, un impulso al raffreddamento dei rapporti, ma aveva anzi
segnato un incoraggiamento al loro miglioramento, ora che il sug-
gello definitivo era stato messo alle rivendicazioni garibaldine. In
questa nuova, importante fase della questione romana, caratteriz-
zata dal processo di «italianizzazione » della città, che puó essere
colto a tutti i livelli della sua vita civile e che frantumava il tradi-
zionale, antico ritmo della sua vita *9, l'Umbria finisce per scom-
parire.

Era finito il suo compito, connesso alla sorveglianza delle fron-
tiere dalle aggressioni garibaldine e dalle provocazioni pontificie, era L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 139

finita la necessità del controllo degli esuli, ormai meglio distribuiti

nel tessuto della vita italiana e inseriti in più tranquille atmosfere
di lavoro e di affermazione civile. Anche il motivo del facile transito,
quello che aveva spinto tanti Italiani sulle strade dell'Umbria, era
venuto meno: la ferrovia che da Firenze raggiungeva Napoli, pas-
sando per Roma, anche se toccava l'Umbria, le aveva tolto ogni
vitalità e ogni funzione. L'ultimo avamposto, la base di contatto e
di colloquio tra l'Italia e Roma non aveva piü ragione di esistere,
ora che tanti Italiani raggiungevano la città e tanti Romani circo-

lavano nella penisola. Gadda, come abbiamo detto, fu l'ultimo grande

prefetto politico di Perugia, e la sua sostituzione con Maramotti
segnó la diminuita importanza dell'incarico. Le conseguenze si fe-
cero sentire anche in campo democratico : Pianciani cominció ad allon-

tanarsi dalla scena politica umbra, ormai relegato ai suoi margini,

mentre si dedicava con l'abituale slancio ad attività su raggio nazio-
nale. Nella nuova atmosfera non mancarono all'Umbria alcuni van-
taggi : la regione sembró ritrovare una maggiore spontaneità di vita e
di problemi, una manifestazione piü genuina delle sue condizioni e
delle sue tendenze, come se fosse stata artificiosamente condizionata,
negli anni precedenti, dal suo particolare compito nel quadro della
questione romana. È il momento in cui si comincia ad avvertire, al
di là delle tradizionali divisioni tra moderati e democratici, una più
ricca articolazione di nuove e vecchie forze politiche, una maggiore
delineazione di problemi e di prospettive *?,

Per quanto riguarda la soluzione della questione romana, la
regione ritrovó tutta la sua antica importanza nel 1870, nel momento
della crisi finale. Quando le truppe italiane si rimisero in moto, il
territorio ripresentó ai responsabili di Firenze tutti i vecchi van-
taggi tattici e strategici: le principali colonne militari dirette all’in-
vestimento della città partirono da quei centri in cui si erano dal
1860 attestate *9, La popolazione assistette tranquilla agli avveni-
menti : l'esultante partecipazione dei democratici si armonizzava con
la tranquilla soddisfazione dei moderati. Ci sembra anche di avver-
tire — ma le testimonianze in proposito non sono facili da reperire
— dietro la facciata delle immancabili deprecazioni di parte conser-
vatrice una fatalistica accettazione non immune da una forma di
sollievo : la presa di Roma contribuiva ad accelerare quel processo
cui abbiamo accennato, contribuendo alla fine dell'atmosfera «di
guerra » che aveva cosi a lungo pesato sulla regione, la fine di una
forzata condizione di vita e di movimento. Apriva orizzonti, se non

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140 FIORELLA BARTOCCINI

di pace, di maggiori libertà : è un atteggiamento che ritroviamo an-
che a Roma nello spirito finale della rassegnata resa.

FIORELLA BARTOCCINI

NOTE

1) Sulla sua opera in Umbria e sui problemi dell'annessione manca una.
moderna, approfondita ricerca : v. R. ABBONDANZA, introduzione a Gli Ar-
chivi dei governi provvisori e straordinari, Roma, 1962, pp. 331 ss., con in-
dicazione della scarsa bibliografia.

?) Le carte ufficiali di prefettura relative al primo periodo post-unitario.
sono state perdute, forse nelle vicende connesse ai trasferimenti della capi-
tale, ma Gualterio, Tanari e Gadda sono personaggi troppo noti sulla scena.
politica italiana perché non se ne possa seguire l’opera con l’aiuto di altre
fonti, edite (in particolare, gli epistolari dei principali esponenti della Destra.
moderata) e inedite: fra quest’ultime ricordiamo, particolarmente interes-
santi per le vicende umbre connesse alla questione romana, le lettere con-
servate nelle carte del Comitato nazionale al Museo Centrale del Risorgimento.
di Roma, nell'Archivio Ricasoli a Brolio (in corso di pubblicazione, a cura
di S. CAMERANI e G. AnrE), nel Fondo Peruzzi alla Biblioteca nazionale cen-
trale di Firenze (in fase ancora di riordinamento), nel Fondo Minghetti al-
lArchiginnasio di Bologna. L'Archivio Gualterio, in possesso delle sue ul-
time discendenti, non é consultabile, ma un Fondo Gualterio, relativo all'an-
nessione dell'Umbria, è conservato presso l'Archivio di Stato di Roma. AI
Museo Centrale del Risorgimento sono anche lettere del sottoprefetto di Spo-
leto, F. Homodei, di Rieti, L. Mastricola, e di vari funzionari minori, come
Luigi Buglielli e Luigi Coccanari ; (il diritto che costoro avevano di trattare:
direttamente con esponenti governativi i problemi connessi alla questione:
romana nell’ambito della propria funzione provocherà le proteste dei supe--
riori diretti: (v. lettera Tanari del 20 febbraio 1863, ibid., b. 186, 55, e
lettere Coccanari, ibid., b. 402, 9).

3)-« Oggi è passato di qui un bel Regimento [sic] di Cavalleria ed una.
batteria d’Artiglieria che vanno verso i confini. Dio li aiuti a passare il Te-
vere...» (D. Silvagni a G. Checchetelli, senza data, ma 1861, in Museo
Centrale del Risorgimento, b. 222-23, 6).

4) V. GENOVA DI REVEL, Umbria ed Aspromonte, Milano, 1894.

5) Alcuni dei collaboratori romani saranno travolti dalle stesse vicissi-.
tudini politiche : Silvagni seguirà Gualterio, Mastricola, vittima dei suoi le-
gami con la « consorteria », ma giudicato sempre utile sui confini, verrà tra-
sferito nella zona meridionale, a Sora.
L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 141

*) G. GADDA, Ricordi e impressioni, Torino, 1899, pp. 40 e s., 56. Chie-
«endo aiuto per l'allontanamento di alcuni consiglieri di prefettura, Gadda
insisteva «sulle condizioni delicate di questa Provincia» (a Checchetelli, 4
agosto 1866, in Museo Centrale del Risorgimento, b. 127-25); protestava
anche per la presenza di un comandante generale « gaudente, che nulla cura »
in una «destinazione cosi gelosa come questa » (ibid., b. 127,24).

?) REVEL, op. cit. Delle difficoltà create, nelle applicazioni pratiche, da
una linea fissata teoricamente si era lamentato anche l'ambasciatore francese
‘a Roma, Gramont, riferendo su uno dei tanti incidenti di frontiera: « Tout
cela s'appelle Correse dans ce pays où rien n'est précis . . . » (L. THOUVENEL,
-Le secret de l'empereur, Paris, 1889, vol. r, pp. 387 s., 395).

8 GADDA, op. cit., p. 40.

9) «Dal ministero mi vengono frequenti dispacci in cifra, con indica-
zioni di mene brigantesche e clericali che organizzerebbero in prossimità
del confine di questa provincia bande dei nostri stessi renitenti, al fine di
scagliarle sul nostro territorio con animo quasi di conquistarlo al Papa-Re.
Non so donde provengano queste strane ed insistenti notizie al ministero,
il quale sembra vi annetta una tal quale importanza. Ma per ora non una
delle notizie ministeriali si conferma malgrado ogni diligenza usata per veri-
ficarle. E davvero io mi tengo per questa parte (almeno per ora) molto ben
tranquillo che il progetto d'un brigantaggio qualunque parmi sproposito in
mezzo a queste popolazioni, e in queste condizioni topografiche tanto poco
favorevoli...». Aggiungeva ironicamente: «e il pensare che i renitenti
nostri, che fuggono per mera antipatia al militare servizio debbano assumerlo
volenterosamente di là del nostro confine é cosa anch'essa pochissimo plau-
Sibile. Infatti le notizie meglio accertate ci danno che costoro sono quasi
tutti occupati nei pacifici lavori dei campi » (Tanari a Checchetelli, 20 feb-
braio 1863, in Museo Centrale del Risorgimento, b. 186-55, 5). Su improv-
‘visati e abortiti tentativi : U. RANIERI di SonBELLO, Perugia della bell'epoca,
Perugia, 1970, pp. 62 ss.; A. SAccHETTI SassETTI, Rieti nel Risorgimento
italiano, Rieti, 1911, pp. 278 ss.

10) «La soppressione dei conventi dell'Umbria non ci veniva suggerita
a un sentimento di pretofobia, che ben sapete non alberga negli animi no-
stri; ma bensì come operazione necessaria al risorgimento di quella Pro-
vincia. Come mai potrà essa camminare nelle vie del progresso se deve sot-
tostare al peso di 10.000 frati? » (Cavour a Pepoli, 30 settembre 1860, in
Carteggi del conte di Cavour. Questione romana, Bologna, 1929, vol. 1, pp.
43 S.).

11) V. lettera Cavour a Valerio, 30 ottobre 1860, in Carteggi, cit., La li-
berazione del Mezzogiorno, Bologna, 1952, vol. rrr, p. 231. Sulla iniziale po-
litica conciliante di Pepoli: P. BonzoMarr, La « Nuova Juventus » in Italia
e le origini del movimento cattolico in Umbria, in Spiritualità e azione del lai-
cato cattolico italiano, Padova, 1969, p. 707, n. 1.
142 FIORELLA BARTOCCINI

?) Pepoli al card. Pecci, 26 settembre 1860, in G. DeGLI Azzi, Per la
liberazione di Perugia e dell' Umbria, in « Archivio storico del Risorgimento:
umbro », v1 (1910), p. 16, n. 1.

13) REVEL, op. cit., p. 7.

14) Ibid., pp. 84s. Il principe Augusto Ruspoli (pseud. «Il Vignarolo »),.
reduce da un soggiorno a Perugia, scriveva il 20 febbraio 1863 : « I clericali,
incapaci d'azione, subiscono con, sufficiente rassegnazione il nuovo ordine »
(Museo Centrale del Risorgimento, b. 127, 13). Tacevano quelle voci che si
erano alzate, nei primi mesi del 1860, a difendere i diritti temporali della.
Chiesa, con punte anche di «italianità »: «L'Italia e la sua causa, insepara-
bile (è un Lacordaire che il dice) da quella del temporale dominio del Papato,
sieno salve dalla mala influenza che vuol comprometterle, dai pericoli che
le minacciano » (GIANCARLO CONESTABILE, introduz. a La Francia, l'Impero
e il Papato. Questione di diritto pubbl. per il Sig. Villemain, Perugia, 1860,
p. 12). Sull’attività, nel febbraio 1860, dell’arciprete Carlo Laurenzi, coadiu-
vato dal conte Conestabile, v. DEGLI Azzi, op. cit., p. 3.

15) RANIERI DI SORBELLO, op. cit., pp. 96 s.

1°) «Per la vita morale trovai qui [a Terni] un salone, per l'amichevole
accoglienza e simpatico ambiente, nel genere di quello della marchesa Tri-
vulzio a Milano e della principessa Strongoli a Napoli, ed è quello della con-
tessa Manassei, che nasce dai principi Ruspoli. Il conte Manassei, perfetto
gentiluomo, ha due figli e due figlie. Credo che il primogenito non sia estraneo
al Comitato nazionale. Vado pure in casa Fabrizi, Rustici, Graziani, Colon-
nesi, Bianchini, ed è un gran sollievo, terminati gli affari, di poter recarsi
in simpatica società. La maschile è un po’ codina, ma la femminile è gentile.
né volta le spalle ai miei ufficiali. Bada che dicendo codino, lintendo nel
modo che lo fummo detti noi due...» scriveva il generale Revel al fratello
(op. cit., p. 20; e sulla fama conservatrice della famiglia credo sia inutile
soffermarsi). Formalmente meno frequentati, in genere, i ricevimenti uffi-
ciali, ma non mancavano casi di preventive scuse (ibid.).

17?) GADDA, Op. cit., pp. 54 s.

^) Lo stesso Revel li aveva consigliati di rendere omaggio al ve-
scovo «non intransigente » e di recarsi al duomo «con apparenza » (op. cit.,.
p. 21).

1°) Protesta dell' Episcopato umbro per i fatti commessi dal governo contro
la Chiesa e la giurisdizione ecclesiastica, in « Giornale di Roma », 10 gennaio 1861
(circolante anche in estratto); Sul progetto del matrimonio civile esaminato
nell interesse religioso. Dichiarazioni dell’ Episcopato dell'Umbria, Firenze, 1861 ;
G. Pecci, Due lettere a S. M. Vittorio Emanuele, Roma, 1862 ; Memorandum
dell'Episcopato umbro al Consiglio dei Ministri in Torino, senza ind. tip.,
ma 1862. V. anche I vescovi dell’ Umbria e il Sig. Guizot. Epistola di un sacer-
dote al conte Terenzio Mamiani, Torino, 1862. Per alcuni episodi di difesa.
nell'ambito della scuola, ANTONIO Parisi, Filippo Brignone, Francesco Fio-
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L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 143

rentino, Pietro Ardito, D. Tallarigo e le resistenze clericali nella Spoleto del
1860-61, in Historica, 1961, pp. 105 ss.

2°) Sulla loro scarsa incisività, malgrado la presenza a Perugia di Fi-
lippo Perfetti, v. M. MENCARELLI, L’abate Raffaele Marchesi, Padova, 1965.

21) Sul vivacissimo movimento di penetrazione in Umbria, diretto dallo
stesso pastore evangelico Emilio Comba, si accese un’aspra polemica : le
dette inizio il cardinal Pecci con una lettera al prefetto (v. « Il Contemporaneo »
5 maggio 1863), cui seguì un Avvertimento al popolo di Perugia (Perugia,
1863) ; replicò Comba con una serie di scritti (Risposta all’ Avvertimento . . 2
Perugia, 1863; La rovina del Cristianesimo, ossia due dialoghi sull’ Avverti-
mento del Cardinal vescovo di Perugia, Perugia, 1863; Il Protestantesimo.
Lettera ai lettori dell’ Avvertimento del cardinal vescovo di Perugia, Perugia,
1863), poi diretti contro P. Gregori, che era intervenuto con due saggi, Il
protestantesimo. Per un parroco della stessa città, Perugia, 1863, e Il Corifeo
del protestantesimo. Saggio di risposta a un protestante panegirista dell’ere-
siarca Martin Lutero, Perugia, 1863 (Lettera al Sig. Paolo Gregori parroco
di S. Maria del Colle, Perugia, 1863). La polemica continuò tra due giornali,
il perugino « Apologetico » e il fiorentino « Eco della verità », con l’intervento
anche di S. Bonnet (Risposta ai preti di Perugia, Firenze, 1864) e G. BRIGANTI,
Il puro Vangelo, ossia il Vangelo di Cristo deturpato e corrotto in ogni singolo
articolo da Stefano Bonnet ed Emilio Comba, Assisi, 1864. Ancora nel 1868
usciva un avvertimento, I! clero di Terni ai padri di famiglia, ma ormai
la penetrazione evangelica si era esaurita per la scarsa rispondenza (lo rico-
noscevano i protestanti stessi) della popolazione. Sull’argomento è stata di-
scussa, nell’anno accademico 1969-1970, alla Facoltà di Lettere dell’Uni-
versità di Perugia, la tesi di M. L. Domenichini, 7l protestantesimo a Perugia.

2) -REVEL, 0p.:cil., p.:83.

15 ;Jbid;, :pp. 17:8;

uy Jbid.; p. 61.

1. Ibid., pp. 18,:55:

2°) Ibid., p. 18. Un impiegato di prefettura a Rieti, Coccanari, insisteva,
con una valutazione pessimistica della realtà locale che contrastava con gli
entusiasmi di Revel, sulla funzione di esempio della nuova Italia che l'Um-
bria avrebbe potuto esercitare : « Siamo sui confini, e le popolazioni limitrofe.
che noi vogliamo attrarre cercarono finora invano esempi soddisfacenti di
provvida e progressiva amministrazione » (Museo Centrale del Risorgimento,
b. 228-39,1).

2?) RANIERI DI SORBELLO, 0p. cit., pp. 86, 144, 165, 177.

2*)--REVEL;:0p.cit.;:p:56:

29) Ibid., p. 51. Lo stesso Pepoli si era preoccupato del problema delle
direttive romane : Pecci aveva dichiarato a un suo emissario di aver dato
ordine ai parroci e sacerdoti « di ubbidire con prudenza molta, ed in modo.
da impedire qualunque atto reazionario, alle ispirazioni che a lui pervengono

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144 FIORELLA. BARTOCCINI

da Roma, e che per dovere egli è tenuto a comunicare, non dovendo transi-
gere con la propria coscienza » (Relazione al Consiglio dei ministri sul governo
tenuto nell' Umbria ..., Torino, 1861, p. 104).

*) Mancano ricerche approfondite sull'opinione cattolica in Umbria ;
per i primi timidi movimenti, verso la fine del secolo, v. P. BORZOMATI,
op. cit.

81) P. V. FERRARI, Villa Glori, Roma, 1899.

?5) Sull'animazione dei confini, F. BARTOCCINI, La « Roma dei Romani »,
Roma, 1971.

*) A. GIANNELLI, Due gite clandestine a Roma negli anni 1861 e 1862,
Prato, 1886. Sulla sorveglianza dei tentativi di penetrazione nello Stato
pontificio, da lui a torto definiti « mazziniani », e sull’arresto di Giannelli,
lettera di Gualterio a Ricasoli del 12 novembre 1861, in Archivio Ricasoli
a Brolio, cass. 52, n. 124.

8) F. BARTOCCINI, 0p. cif., capp. IX e x.

9): GADDA; 0p:- Cit; pi: 60.

*) V. i Documenti diplomatici italiani, serie I, Roma, 1952-1965, ad
Indicem.

* Vennero stampati nella regione anche scritti per conto del Comi-
tato nazionale (i fascicoli della Cronaca della guerra d'Italia, 1861-1866) e
dei loro avversari (Jl generale Goyon e il cosiddetto Comitato nazionale romano,
1861) ; a Perugia fu fatto pubblicare, anonimo, l'opuscolo Che cos'é il partito
cattolico ?, di tono conciliatorista, la cui spedizione a Roma fu all'origine
dell'arresto di Ludovico Fausti, familiare del card. Antonelli (R. DE CE-
SARE, Roma e lo Stato del papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Roma,
1907, vol. 11, p. 117).

*5) Lettere al padre del 17 e 19 ottobre 1861, in « Memorie autentiche
dell'emigrazione romana », al Museo Centrale del Risorgimento (f. 14 e 15).

?**) 24 ottobre 1861. Ed ecco il mito capovolto nei versi che circolavano
a Roma: « Tristo rubel presbitero, / colpo non fu mortale / la tua dannata
epistola / al tron pontificale. / Fu sol di spillo debole / puntura sul granito, /
e intanto tu smarrito / t'aggiri qual Cain » (ibid., 14 novembre 1861).

‘°) Sulla vita politica in Umbria dopo l'Unità è in corso di pubblica-
zione la relazione da me tenuta all'vrn Convegno di studi umbri (Gubbio,
1970) : ad essa si rimanda per un approfondimento su uomini e su problemi.

4) «La Sveglia «, 8 settembre 1865 ; v. anche 14 settembre 1865.

**) Lo ricorda GADDA nell’op. cit., p. 54, sottolineando il fatto che « ogni
rapporto dell'Autorità civile colla Curia romana, sebbene riflettesse sempre
questioni d'ordine puramente religioso, era veduto di mal'occhio e condan-
nato dalla grande maggioranza liberale dell'Umbria ».

*) Nel diffuso opuscolo Se io fossi Papa. Soluzione della questione
romana per I. M. Cayla, tradotto da Francesco M. Degli Azzi Vitelleschi
(Perugia, 1862), si dichiarava di non capire la formula «Libera Chiesa
L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 145

in Libero Stato»: « Amanti della libertà, noi la vogliamo senza eccezioni
per tutti. Ma se la Chiesa cospirasse contro lo Stato, la tranquillità e la si-
curezza del Governo non si troverebbono di continuo compromesse ? In ve-
rità si potrebbe mai sperare che i Cardinali si riconciliassero francamente,
lealmente con il Re d’Italia ? » (pp. 10 s.). Dalle lettere del deputato Nicola
Danzetta (Archivio di Stato di Perugia) trapela incomprensione, venata di
disinteresse se non proprio di ostilità, per la problematica religiosa e la po-
litica ecclesiastica di Ricasoli, al quale egli era tuttavia per tanti altri aspetti
legato. Mentre la « Gazzetta dell'Umbria » si manteneva, in proposito, piuttosto
cauta, più esposto in una vivace propaganda anticlericale appare l’altro
giornale moderato «Il Risorgimento italiano».

4) V. articoli del 1° e 17 luglio, 26 e 30 agosto, 30 settembre 1862, e,
in genere, tutti i commenti che accompagnano i dibattiti parlamentari e la
caduta del ministero Rattazzi (novembre-dicembre 1862).

4) V. articoli 22 e 24 settembre, 4 e 12 ottobre 1864 (significativo il
fatto che il giornale riprende le notizie e le interpretazioni dell’ufficiale « Opi-
nione » e i commenti che accompagnarono il dibattito parlamentare sul trattato
e la caduta del governo Minghetti (novembre-dicembre 1864). V. anche « Il
Risorgimento italiano», 29 settembre 1864 e, per le speranze dei mode-
rati nella Francia, A. MoNTESPERELLI, La questione romana e Napoleone III
in una lettera di Tiberio Borgia a Francesco Guardabassi, in « Rassegna del
Risorgimento », Lv (1968), pp. 298 ss.

15) « Gazzetta dell'Umbria », 25 gennaio 1861.

47?) GIANNELLI, 0p. cit., p. 29.

15) BARTOCCINI, La « Roma dei Romani», cit., passim.

1) L’opera di Pianciani in Umbria, in parte già trattata nel volume
sopra citato, è esaminata più profondamente nella mia cit. relazione all'vrr
Convegno di studi umbri.

59) Il sottoprefetto Homodei, a Spoleto, minimizzava il «seguito » di
Pianciani, ironizzando sull’eccessivo timore del governo (lettera a Checche-
telli, 25 giugno 1863, in Museo Centrale del Risorgimento di Roma, b. 192-
55, 4), ma ben più attento si rivelava il prefetto di Perugia Tanari (ibid.,
b. 186-55). Anche Gualterio, prefetto a Genova, continuava a sorvegliare,
nel quadro della situazione generale, la particolare attività del conte spo-
letino.

51) G. FicoLa, Roma prima del 1870 e la sua emigrazione, Roma, 1906.

5) Sull'emigrazione romana, i suoi problemi e la sua funzione, v. BAR-
ToccINI, La « Roma dei Romani», cit., pp. 446 ss.

5) È vivace la rievocazione di Ficola (op. cit.) sulla vita perugina degli
esuli. Perfino il rigido e ventoso clima invernale era diventato motivo di
scherzo : « ho trovo un cantoncello — dice uno di essi — indove ce se smar-
tisce subito la sbornia » (ibid., p. 19; per la curiosità dei moderni lettori :
si trattava di un angolo di via del Verzaro). Molte lettere di esuli in Umbria,

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146 FIORELLA. BARTOCCINI

interessanti per la delineazione della vita locale, sono conservate al Museo
Centrale del Risorgimento, nei fondi del Comitato nazionale romano.

* Ricorda il suo lavoro di «terrazziere » a Panicale (riuscirà poi a di-
ventare «applicato» negli uffici della Provincia) Napoleone Parboni (P.
Onawo, Napoleone Parboni, Roma, 1915, pp. 16 ss.). Una indicazione dei
prezzi é in una lettera di T. Tancredi a Ovidi: per dieci scudi mensili si po-
teva avere nel 1861 a Perugia «camera, colazione, pranzo e cena, la bian-
cheria lavata e stirata » (Ovidi, « Memorie », cit., al Museo Centrale del Ri-
sorgimento, f. 3). Il numero degli emigrati variò nel tempo : verso la metà
del decennio erano più di 150 a Perugia, quasi 120 a Orvieto, più di 100 a
Rieti ai quali bisogna aggiungere quelli delle altre località. Molte indica-
zioni, anche statistiche, sono in una tesi di laurea discussa nel 1940 all’ Univer-
sità di Roma : M. CARLONI, La Sabina e l’unificazione romana (una copia era
stata depositata all’Archivio di Rieti).

55) Stampato prima a Rieti, poi a Terni, era stato fondato dal medico
S. Lupi, coadiuvato da altri emigrati, tra cui Patrizi e Ovidi. Nel maggio 1863.
Lupi protestava contro il direttore della Pubblica Sicurezza che era riuscito
«con intrighi » a fargli togliere il sussidio governativo di 250 lire (a Chec-
chetelli, in Museo Centrale del Risorgimento, b. 184-18, 2).

56) Del fatto e dell’allontanamento dei 150 emigrati, che avevano gran
«voglia di menare le mani», parla Luigi Ovidi al padre (« Memorie », cit.,
ff. 7 e 9). Sulla reazione degli abitanti di Rieti (« fuori gli emigrati ! ») si fermò
con particolare soddisfazione « L'Osservatore romano » 20 agosto, 2 settembre
1861), mentre « Eco del Tevere » si sarebbe poi affannato a dare raccoman-
dazioni di buon comportamento, lamentando che l’emigrazione non fosse tutta
« pura » (10 aprile 1862). Un altro clamoroso episodio, in cui furono implicati
esuli, si ebbe con l’uccisione del romano Antonio Ranuzzi (notizie sul processo di
Spoleto in « Nazione », maggio 1868-giugno 1869).

57 REVEL, Op. cit., p. 45.

58) GADDA, Op. cit., pp. 185 s. (e v. anche pp. 56 ss.). Il sottoprefetto
Argenti, genovese, non gli nascondeva le difficoltà della sua opera: « Chi
sa come finirà ? Io andró di mezzo certo. Quando il Governo non saprà con
chi prenderla, la prenderà con me che sono qui al confine » (ibid., p. 185).
E lo stesso Gadda: « Oh, quando verrà un Daniele che mi tolga da questa
fossa di leoni! » (a Checchetelli, 9 giugno 1867, in Museo Centrale del Risorgi-
mento, b. 127-30). Le varie opere sulla storia di Terni sorvolano, in genere,
sul primo periodo post-unitario, ancora quindi da approfondire: é annun-
ziata la pubblicazione degli atti di un convegno sulla storia della città dal
1860 al 1870, tenuto a Terni nel 1970.

59) «L’emigrazione, collo spavento dell'internamento, non dico in Sar-
degna, ma in qualsiasi parte del Regno, quando non in Firenze, Genova,
Milano, é stata tranquillissima » (Tanari a Checchetelli, 20 marzo 1863, in
Museo Centrale del Risorgimento, b. 186-55, 6). Sulle preoccupazioni poli-
L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 147

tiche che davano gli esuli, lettere di Pacifico Caprini da Orvieto, ibid., b.
244-26.

*) L. MARCHETTI, I Cacciatori del Tevere (9 settembre 1860-13 agosto
1863), Gubbio, 1938.

*) BARTOCCINI, La « Roma dei Romani », cit., pp. 248 ss.

*) A. Tittoni a A. Lorenzini, 5 febbraio 1862 (Museo Centrale del Ri-
sorgimento, b. 243-11, 2).

* BarTOCCINI, La « Roma dei Romani », cit., pp. 249 s. e n. 86.

6) 17 gennaio 1862, in Lettere e documenti del barone Ricasoli, a cura di
M. TABARRINI e A. Gotti, Firenze, 1887-1896, vol. vr, p. 309 (al fratello
Vincenzo confidava che forse, in autunno, avrebbe chiamato Garibaldi a
fare qualche cosa, ibid., vol. vir, p. 8).

*) 28 febbraio 1862, in E. MontEccHI, Mattia Montecchi nel Risorgi-
mento italiano, Roma, 1932, p. 162.

**) Lettera al generale Govone del marzo 1862, in REVEL, op. cit., pp.
47 s.

*7) Lettera del conte Manni dell’8 gennaio 1863, in Museo Centrale del
Risorgimento, b. 187-7, 3.

*$ BARTOCCINI, La « Roma dei Romani», cit., cap. VIII.

**) Una relazione sulla situazione al confine, del 29 giugno 1864, in Museo
Centrale del Risorgimento, b. 226-17 ; v. anche 223, 8. Numerosi i rapporti
di Vallerani da Orvieto : ibid., b. 187-24. Nel Fondo Peruzzi, nella Biblioteca
Nazionale di Firenze, in fase di riordinamento, sono le lettere del prefetto
Tanari e del deputato Checchetelli, inviato in missione a Terni e a Rieti (pas-
serà poi sul confine napoletano) ; dall'Umbria questi scriveva anche all'amico
Q. Leoni, tenendolo informato sulla situazione (carte al Museo di Roma e
presso la famiglia Giglioli nella stessa città).

70) « Intendo che sia ben stabilito che ogni autorità rimanga nell'orbita
delle proprie mansioni » aveva scritto il nuovo ministro degli Interni Lanza
a Checchetelli il 4 dicembre 1864 (Museo Centrale del Risorgimento, b. 192,7).
Sulle istruzioni date al nuovo prefetto da Lamarmora (gli parló «con fran-
chezza militare ») circa la scrupolosa osservanza dei confini e la rigida esecu-
zione della Convenzione, v. GADDA, op. cit., p. 42.

71) L'associazione perugina era diretta da Giuseppe Santangeli e com-
prendeva, oltre a molti popolani, vari studenti, qualche impiegato, un pos-
sidente.

7) Archivio di Stato di Roma, Fondo Pianciani, b. 59, e lettere nei fa-
scicoli segnati sotto i nomi indicati. Lettere di Ugolini e Dolfi al Museo Cen-
trale del Risorgimento.

7) L'attività svolta da Parboni a Perugia in favore di Ariodante Fa-
bretti, in ORANO, op. cit., «La Sveglia », 19 ottobre 1865, un manifesto del-
l'Associazione dell'emigrazione politica agli elettori, invitati alla scelta di
uomini per «il riscatto di Roma e Venezia ».

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148 FIORELLA BARTOCCINI

74) Sulle elezioni in Umbria e la funzione degli esuli romani, v. BARTOC-
cini, La « Roma dei Romani », cit., e In., relazione all'vrr1 Convegno di studi
umbri, cit.

15) Q. LEoNr, Agli elettori di Urbino e Montefeltro, a stampa, 1865 (nelle
carte di questo emigrato romano, conservate presso. gli eredi Giglioli e al
Museo di Roma, sono interessanti lettere riguardanti la situazione elettorale
umbra). Già nel 1861, proponendo a Terni Silvestrelli, Pepoli scriveva :
« Inviando al Parlamento un esule di Roma, Terni mostrerebbe quali sieno
le aspirazioni e le speranze di tutta Italia. Roma che è nostra, Roma che
fu decoro d’Italia, e che oggi ne è stella polare, Roma sarà, ne sono sicuro,
lieta e riconoscente » (« Gazzetta dell'Umbria », 25 gennaio 1861).

16) Manifesto a stampa di Pianciani, in Museo Centrale del Risorgimento,
b. 241-58, 2.

7) GADDA, op. cit.

7) G. Contucci a Pianciani, 20 febbraio 1867 (Archivio di Stato di Roma,
Fondo Pianciani, b. 10). Agosti scriveva il 16 febbraio da Orvieto che tutta
la zona di confine era in allarme : bisognava quindi agire subito, e nelle pro-
vince, perché a Roma vi era poca speranza d’insurrezione, e la rivoluzione
doveva essere generale e breve per evitare l’intervento della diplomazia
«questa spudorata sgualdrina ». Si veda MoNTECCHI, op. cit., ORANO, op.
cit., BartoccINI, La « Roma dei Romani », cit.

7) In numerose lettere, al Museo Centrale del Risorgimento, è l’eco
delle loro proteste : v. quella di Pietro Patrizi, trasferito a Bologna. Gadda,
che aveva incominciato l’operazione fin dalla fine dell’anno precedente, così
la giustificava : « con tali misure di necessario rigore si influisce sulla genera-
lità dell'emigrazione e si previene qualunque fatto inconsiderato, che obbli-
gherebbe più tardi a misure di rigore vero e repressivo. È opportuno e dove-
roso il non lasciar sorgere equivoci e illusioni » (a Checchetelli, 26 dicembre
1866, ibid., b. 127-27 ; v. anche b. 127-30).

80) Vedi lettere di Contucci, Agosti, Ovidi, Ricci, Giannone, Agneni,
nel Fondo Pianciani all'Archivio di Stato di Roma; « La nuova Sveglia », 27
aprile, 11 maggio, 6 luglio 1867.

81) BaRTOCCINI, La « Roma dei Romani», cit., pp. 503 ss.

82) 19 luglio, 9 agosto 1867.

$5). 26 settembre 1867.

8) In quasi tutte le opere sulla spedizione garibaldina (v. R. Moni,
Il tramonto del potere temporale, Roma, 1967, pp. 209 ss.) sono riferimenti
alla situazione e agli avvenimenti della regione; per una rievocazione più
strettamente locale, v. A. MezzeTTI, I miei ricordi sulle campagne 1866-67,
Terni, 1901.

85) A. F. KAUFFMANN, Chroniques de Rome. Tableau de la société romaine
sous le pontificat de Pie IX, Paris, 1865, p. 149.

$) BARTOCCINI, La « Roma dei Romani», cit., pp. 518 ss.
L'UMBRIA NELLA QUESTIONE ROMANA 149

87) Si risentono voci di ferma difesa del pontefice e della posizione ro-
mana: I. VITELLESCHI DEGLI Azzi, Le due corone del secolo decimonono, As-
sisi, [1870] (dogma dell’Immacolata, infallibilità di Pio IX).

8) R. CADORNA, La liberazione di Roma nel 1870, a cura di G. TALAMO,
Milano, 1970. Ci fu anche qualche tentativo, presto abortito, da parte del-
lestrema Sinistra di far organizzare dall'Umbria un moto romano che pre-
venisse l'intervento delle truppe italiane: v. lettere di E. Brizi a Pianciani
in Archivio di Stato di Roma, Fondo Pianciani, b. 7.

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Note e documenti

Aldo Capitini

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Tracciare una rapida sintesi della figura di Aldo Capitini non
è cosa agevole. Il considerare che nella sua vita, che è pure segnata
da numerosi avvenimenti esterni, significativi dei ricchi e vari motivi
interiori della sua personalità, questi e quelli si intrecciano e si fon-
dono insieme in modo tanto serrato e profondo, induce a rinviare
preliminarmente alle poche ma dense pagine che egli scrive su di sé
esattamente due mesi prima di morire, come punto di partenza per
chi voglia intraprendere la diretta conoscenza della sua vita e dei
suoi libri.

Stava per entrare in clinica per sottoporsi ad un indispensabile
— così dissero i medici — intervento chirurgico, ed egli, indiriz-
zando il 16 agosto 1968 una lettera a Guido Calogero, dice : « In
questo periodo « pre-operazionale » ho fatto e faccio alcuni scritti...
E tra gli altri vorrei farne uno intitolato Attraverso due terzi
del secolo, una sintesi molto sommaria, di non molte pagine, di
ciò che ho visto e fatto, con cose, in parte, mai dette. Potrebbe es-
sere utile a qualcuno, nel caso che non facessi poi altri scritti... »,
e proponeva all'amico di pubblicarlo nella rivista «La Cultura »,
il che fu fatto appena dopo la sua scomparsa ». Rileva giustamente
Guido Calogero che la sua commemorazione Capitini se l’è scritta
da sé; ed è perciò la più obbiettiva, pertinente e pacata di quante
altri abbiano fatto o possano fare.

Non è facile parlare sbrigativamente di Aldo Capitini, perché la
vastità di ciò che egli esprime nella sua non lunga vita con la parola,-
l'esempio, le iniziative, nasce da un’acuta, profonda meditazione e dal
un’intima persuasione nelle quali egli è sempre interamente se stesso,
con una coerenza, una sincerità ed un’apertura che troppi, anche
addirittura fra quegli amici dalla gioventù, che con lui avevano
diviso entusiasmi e gravi prove, considerano, talvolta con spiccia
superficialità, come ingenuo candore. Ma Capitini non è mai né
un candido né un ingenuo ; egli è un puro di cuore che sa guardare

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152 MARIO MELELLI

dentro di sé con straordinaria lucidità, e ció gli permette di valutare
uomini e fatti con la stessa precisione di giudizio. E un osservatore
attentissimo della vita pubblica italiana, cosi come degli eventi della.
politica internazionale ; lettore infaticabile e scrupoloso, riesce a dare
nelle sue conversazioni delle sintesi illuminanti, con una semplicità
ed un'esattezza da destare ammirazione. Nelle sue critiche acute ed
essenziali non muove mai contro le persone, ma se mai, e con se-
reno equilibrio ogni volta, contro le loro idee o le istituzioni alle
quali sono legate, pronto sempre a cogliere ciò che di buono, se pur
fosse poco, c’è negli altri. È la persona — lo sentimmo dire tante
volte — che può, prima o poi in qualche modo, riscattare l'istituzione
dai suoi limiti e imperfezioni. Sente fortissimo «il dovere di ascol-
tare gli altri e leggere i libri cercando in essi le verità e non gli er-
rori, come si condanna a fare il possessore di formule dogmatiche » ?.
La tensione morale della sua anima è sempre alta, ma umanissima,
perché comprensiva dei limiti suoi ed altrui, quando i limiti non
tocchino l’essenziale, e di cui può parlare con quella bonaria ironia,
dentro la quale però s'avverte l’istanza appassionata per il meglio :

« Questa tua ansia è la tua pace. Per questo eri uscito da te, sconnettevi
le situazioni, non a favor tuo » ?).

Non si può non paragonare la sua figura a quella di Socrate.
Egli, come Socrate, sembrò avere il ruolo di perturbatore delle co-
scienze per ridestarle dal sonno dei dogmi e delle chiusure :

« Senza che tu lo sappia, al mio tu dall'intimo, lentamente ti apri.

Tra me sorrido per ogni atto tuo, ti scorgo ingenuamente vitale e im-
mediato.

E vedo te in altri ed altri in te, in somiglianza continua » 9)

Come Socrate, ha denigratori e nemici che gridano ipocrita-
mente allo scandalo. Egli, che non si è mai piegato ai compromessi,
ponendosi con semplicità come rigoroso esempio di coerenza morale,
fa si che chi torna dagli incontri con lui provi nell'anima un senso
di sgomento e di vergogna per i propri meschini conformismi e di
esaltazione insieme per le illuminazioni ricevute :

« Anche il pensare è una trasfigurazione, e invece ascolti le crisi, guardi
le incrinature » 5). ALDO CAPITINI 153

Come Socrate, non volle essere di nessun partito, per poter
contribuire all'opera dei partiti con «libere aggiunte » anche, e so-
prattutto, religiose, quasi a far per essi la parte della coscienza,
quando fosse necessario, per poter aggiungere un supplemento di
anima: «Si dice che i fondamenti del vivere civile sono l'ordine,
la sicurezza, la proprietà, la giustizia. È evidente che dal centro
religioso si pone qualche cosa di più profondo come fondamento ed
essenza del vivere civile, che è appunto l’unità e la libertà sociale ;
l'amore religioso è qualche cosa di più incrollabile e non può essere
tolto da questo o quell’evento : se le società non vi fossero, la reli-
gione che è socialità intima avrebbe lo spirito di fondarle » 9.

Il suo impegno politico è sempre chiaro e deciso fin dal mo-
mento in cui si accorge, ed è tra i primi, di quali sarebbero stati i
danni che il movimento fascista insorgente avrebbe arrecato alla
coscienza civile e morale degli italiani. Crea nel 1937 il Movimento
antifascista, per il quale lavora infaticabile di città in città, ridestando
anche tra i giovani le coscienze piü sensibili, e quando l'amico Ugo
La Malfa, sostenuto da altri, vuole trasformare il movimento in par-
tito, decide di ritirarsi, dopo aver chiarito le ragioni del suo dis-
senso in un documento inviato al convegno di Firenze del 1943, che
intitola Orientamenti per una nuova socialità : non riconosce come
suo compito il fondare o l'aderire ad un partito politico ; il senso
restrittivo che questo assumerebbe, come dottrina e come prassi,
impedirebbe di intendere l'opposizione soprattutto come scelta etico-
religiosa, per la quale Capitini da tempo combatte ed intende con-
tinuare a combattere : «si sa bene che il mondo politico e la massa
storica seguono l'inerzia e vengono in ritardo » ?. Si chiama da quel
momento indipendente di sinistra. Nel 1944 vengono fondati i Centri
di orientamento sociale (COS) che devono essere il punto di par-
tenza per una democratizzazione sempre piü larga della vita sociale
e politica e con l'intento di esercitare dal basso un controllo sui po-
teri e sulle istituzioni. È suo principio fermissimo che il potere è
di tutti, che la libertà, perció, non puó fondarsi sull'esclusione di
alcuni, negando ad essi l'impegno a collaborare nella elaborazione di
prospettive e soluzioni comuni. Il lievito democratico dei COS è
subito avvertito da tutti, ancora confusamente dalla popolazione,
chiaramente dai partiti, che fanno fronte comune nell'avversione per
un'iniziativa che metterebbe ben presto in evidenza tutti i limiti e
i compromessi della partitocrazia incipiente : « Abbiamo, sübito dopo
la liberazione, costituito in città e borgate della campagna libere
154 MARIO MELELLI

assemblee popolari... In esse si discutono periodicamente problemi
amministrativi, tecnici, sociali, politici, morali, culturali; e tutti
possono intervenire e parlare. I capi di enti e uffici parlano della
loro amministrazione, e il pubblico espone critiche e suggerimenti.
Gli intellettuali stanno in mezzo al popolo e parlano dei problemi
del giorno. Cosi si educano tutti a trovarsi insieme, a razionalizzare
le proprie esigenze, a superare l'arbitrio, la violenza, la calunnia,
la frode. È una struttura popolare di base che va oltre i partiti ed
e cosa di tutti. Questi COS, se potranno moltiplicarsi in ogni luogo,
e anche nelle scuole, nelle case, nelle aziende... creeranno un senso
corale, renderanno la moltitudine presente e attiva totalmente, pre-
parando all'amministrazione collettiva di ogni campo. Questo è, dun-
que, un aspetto della nostra nuova socialità aperta » 9. Questo Ca-
pitini scriveva nel 1948. È facile vedere oggi che nella vita pubblica
italiana qualcosa si muove, pur se ancora confusamente e nella ste-
rile violenza, che Capitini rifiuta assolutamente. La via sicura e
chiara resta sempre per lui quella dell'apertura religiosa e non vio-
lenta. Difronte alla litigiosità dei partiti, alla corruzione e agli
scandali che dilagano oggi, bisogna chiedersi se Capitini non abbia
visto giusto ancora una volta.

I COS cessano la loro attività, ma l'idea é lanciata ; non ha che
da aspettare di essere ripresa e portata avanti, quando i tempi sa-
ranno forse più maturi e le coscienze più consapevoli di quei valori
ai quali Capitini non si stanca di fare appello.

Nel 1952 è fondato il COR (Centro di orientamento religioso)
e Capitini ha come collaboratrice Emma Thomas, una quacchera in-
glese dall’anima limpidissima, la quale mette a disposizione la sua
casa che ne è la sede per parecchi anni. Anche sul COR si adden-
sano inevitabilmente i sospetti dell’autorità religiosa e laica e per
un certo periodo, l’ultimo del pontificato pacelliano, presenziano le
riunioni annoiati poliziotti in borghese, ai quali l'esemplare Emma
Thomas offre con francescana letizia l’immancabile tazza di tè !

Della religione di Aldo Capitini non molto si è detto, e quelle
poche volte senza cognizione di causa ® da parte di molti suoi av-
versari o del largo pubblico. Il concetto di religione è completamente
rovesciato : al posto dell’accettazione, cioè della rassegnazione al
male, come un « dato » inevitabile dell'esistenza, sta il rifiuto. L’es-
senza della religione consiste nel respingere tutto ciò che ad una co-
scienza attenta appare ad ogni livello come moralmente inaccetta-
bile 9. Pertanto anche il rifiuto della separazione tra valori politico-

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ALDO CAPITINI 155

sociali e valori etico-religiosi è un punto fermo del suo pensiero : «...
la coscienza che non nel mezzo politico economico, ma soltanto nel
fine noi ci salviamo dai nostri limiti ; solo vivendo il fine (che è rispetto
e affetto dellalibera persona, degli altri come presenza, produzione dei
valori morali e culturali) portiamo con noi elementi integranti l'in-
sufficienza del mondo... Così delineato è evidente che il nostro è
un postcomunismo, e oseremo dire che sta al comunismo come il
«cristianesimo all’ebraismo. Noi pensiamo che non ci si debba stan-
care di tentare l’attuazione sociale attraverso la democrazia e la
persuasione ; e questo può confonderci con il fiacco riformismo del
passato, mentre il nostro è rifiuto dei mezzi violenti e dittatoriali,
ma non diminuzione della tensione socialista più radicale. Però in
quanto ci preoccupiamo di dare un senso presente dei valori come
anticipazione della realtà sociale futura, e in quanto questo senso
è interiore, noi siamo già ad una fase ulteriore... Certo, questa no-
stra posizione è ben in contrasto con la situazione reale dell’Europa,
troppo gravata dal passato; ma non è in contrasto con un ufficio
ideale, che riassume e supera tutti i passati... Potrebbe sembrare
più realistico pensare che... prima ci saranno guerre e rivoluzioni,
e l’Europa e il mondo dovrà essere arato più volte, genti e menta-
lità disfatte, esperienze sofferte e attraversate e che a questa nostra
realtà religiosa bisognerà trovare i sostenitori... Tuttavia crediamo
di non far questione essenzialmente di realismo e di propagazione,
ma di vivere già noi, come una celebrazione questa nuova realtà.
Il resto potrà venire in sovrappiù. Se la soluzione avrà valso per noi,
che siamo uomini come tutti, potrà valere per altri » 1). Questo at-
taccamento al passato, alle vecchie strutture, alle gerarchie di ti-
po arcaico, al dispiegamento di potere Capitini lo rimprovera non
solo ai partiti, ma anche alla Chiesa cattolica (e non solamente a
quella) di cui riconosce anche gli apporti positivi, ma del cattolice-
simo non accetta la concezione trionfalistico-sacerdotale per la quale
esso ha posto da parte ogni lievito profetico : « Il cattolicesimo ha
mantenuto la separazione del «sacro » rispetto al mondo, favorendo
tale separazione o trascendenza del ‘ soprannaturale ' in tanti modi,
da quelli culturali a quelli politici rispetto agli stati; ma ha inteso
questo sacro nel modo del passato, di oggetti, di fatti, e non nel
modo dell'avvenire a cui essere aperti; e per imporre questi fatti
ha dispiegato tutto il peso che ha potuto di un'oppressione autori-
taria per nulla cristiana » !2,

Dopo la messa all'indice del suo libro Religione aperta, pubblica

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156 MARIO MELELLI

Discuto la religione di Pio XII '9, dal quale estraiamo solo una pic-
cola parte molto significativa : « Ecco, quando io incontro persone,
che sono malvestite, che non mangiano abbastanza, con lo sguardo
ormai consumato e abbattuto, perché quadagnano troppo poco, per-
ché non hanno lavoro da mesi e da anni, e spesso sanno che al loro
disagio é unita una famiglia, dei bambini, domando : questa società
fa tutto ció che puó per tutti i suoi membri ? Quelle persone sentono
veramente che la società é di tutti, anche di loro, pienamente e in
tutto ? Dovranno supplicare, andare a raccomandarsi ai ricchi, ai
potenti, mostrare o fingere di avere idee conformi alle loro (sappiamo
le raccomandazioni degli ecclesiastici per i loro ‘ fedeli’, le garanzie
circa le idee, i pasti dati ai poveri purché credenti; sappiamo le
discriminazioni dei cattolici proprietari). No, questa non é la strut-
tura, questo non é il metodo. E se ci si innesta la religione, la colpa
è grave. Non questa pontificia, ma una religione aperta dice a quelle
persone : la società é di tutti, compresi voi; voi avete eguali diritti
ed eguali doveri, e la società deve muoversi tutta per supplire alla
vostra disparità nei punti di partenza; la struttura che produce
ricchi deve trasformarsi in struttura che produca eguaglianze ; voi
non dovete inchinarvi, supplicare, conformarvi, mettendovi in po-
sizione di inferiorità rispetto ai ricchi e ai potenti per avere un pane,
ma é in posizione di inferiorità la società (e chi solennemente la
benedice) finché non si muove tutta per guarire quello che è il pec-
cato originale della società capitalistica : la disoccupazione. Non si
tratta di esprimere la ‘compassione’ per i disoccupati (Pio XII,
1939, ai vescovi americani), ma di provocare, proprio per ragioni
morali, la trasformazione della società » 14).

Un anno dopo esce il breve ma denso libro Severità religiosa
per il Concilio '9, in cui si insiste nell'apertura alla compresenza dei
viventi e dei morti, nell'infinita profondità di ogni essere, anche lon-
tano, malato, disfatto, nel concetto di sacro, che è più visibile nei
luoghi di dolore e di morte, nella evidenza della dura limitatezza degli
esseri che sono nati, preludendo ai grandi temi del dolore e della morte,
che, sempre presenti negli scritti anteriori, saranno affrontati con
maggiore e più drammatica intensità ne La morte e l’educazione,
quasi presagio della conclusione della sua opera fra i vivi.

Capitini è pervenuto alla certezza che l’idea di Dio quale è
nella tradizione ebraico-cristiana non può più bastare: «Ora qui
ci si presenta questa scelta : se sia meglio religiosamente custodire e
alzare continuamente questa idea-figura di una persona suprema,

9 ,
ALDO CAPITINI 157

sommamente perfetta, ecc., stando volti amorosamente ad essa ; op-
pure volgerci amorosamente a tutti gli esseri (o creature di Dio)
e cercar di vivere e realizzare verso di essi quelle supreme qualità
viste in Dio, spacciando quei miliardi nelle spese quotidiane dei
singoli atti... Misi dirà : e tu hai sostituito l'idolatria delle creature
che sono inferiori a Dio. Rispondo : no, perché io le persone, gli
esseri, le creature, le vedo nell'atto che si volge a loro, e penso che Dio
viva all'intimo di questo atto aperto a loro, in ogni singolo tu, nel-
l'atto, e non in quell'essere preso a sé come un pezzo ; e nell'atto
vive Dio in quanto l'atto si sforza di essere aperto a tutti, e senza
mai dire: basta; quindi non ci vive nel senso che coincide, poiché
io sento che il mio ' tu' é sempre imperfetto, e tento a migliorarlo,
perché sia quello che dice Dio veramente, e non io dalla mia limi-
tatezza » 19.

Il richiamo ad una coscienza più profonda è il mezzo di cui ci
si deve servire per un'intuizione più vera di Dio. « La religione tende
a sviluppare la coscienza di vedere chiaramente gli esseri nel rischio
del mondo fino all'apertura ad una liberazione per tutti »'?. Il mo-
tivo esistenzialistico dell'essere-nel-mondo nel modo meramente in-
dividuale è qui superato nella rivoluzione dall'«io» al «tu»: per
Heidegger il vivere è un essere-per-la-morte, Capitini rifiuta la morte,
la considera un mero «dato», un evento della natura con cui il
«singolo » non può identificarsi. « Per l'esistenzialismo l’esistenza
non può mai diventare oggetto, esser vista davanti, si vive soltanto ;
essa sporge dall’oggettività, dal piano logico-intellettivo ; il singolo
così è solo davanti all'assoluto, ma in prima persona, dice io, e si
riconosce finito, peccato, male. Ma se noi assumiamo questa fini-
tezza in un fu appassionato, ecco la vita religiosa : appuntarsi al tu,
considerando quell'essere, di cui è vista e assunta tutta la finitezza,
come un singolo insostituibile » !9. Per Sartre l'inferno sono gli altri,
per Capitini Dio si rivela nell’infinita compresenza di tutti gli esseri :

« Mi salvo nell’interesse che tu viva e migliori » 19).

«Dove pareva il nulla abbiamo visto volti, e nella ricomparsa di tutti
abbiamo cominciato un canto, per tenerli uniti accanto a noi: più il canto
saliva bello, e certamente tutti cantavano in esso. Non poteva essere che il
vivente finisse triste . . . » ?9.

Le pagine di Capitini su Dio sono di una serietà mai sentita in
altre voci; la tensione fortissima della sua anima si rivela nel di-
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158 MARIO MELELLI

scorso semplice e scorrevole, ma di un'intensità che lascia pensosi ;
il punto cui giunge la sua riflessione è altissimo, ma di una limpi-
dezza sorprendente, per cui ciò che egli dice appare quasi ovvio a.
chi voglia uscire dal duro cerchio della propria individualità.

«Non basterebbe perció [a Dio] aver creato il mondo per avere:
autorità, a meno che io non reputassi la semplice vita come un bene
supremo ... A spiegare il mondo fisico basta un architetto, un causa-
tore, ma a spiegare il mondo degli esseri come singoli ho bisogno di
più, di un Dio che si dà. Ecco l'assoluto : Dio che si dà. Questa è la
personalità... E il nostro orientamento a lui é proprio nel riconoscere
che non siamo semplicemente individui, ma persone che vivono nella.
compresenza di tutti, unite perció a tutti... Vedere soltanto il
mondo e Dio é togliere la progressiva comprensione del Dio che si
dà nella compresenza e il risultato di un primo darsi é che tutti sono
con-esistenti, e questo è il mondo dell'esistenza o natura ; il risul-
tato del secondo darsi è che tutti sono con-creatori, e questo è il
mondo delle opere o storia ; il risultato del terzo darsi è che tutti
sono con-liberati e questa è la realtà liberata. Come si vede, tener:
dinanzi tutti (e l'amore per ogni singolo, il tu) ci ha dato un orien-
tamento a superare quell’antitesi tra Dio e il mondo, che era insuf-
ficiente, perché corrispondeva ad un modo molto elementare di vi-
vere Dio, appena al punto di partenza... Non si pretenda di capire
ciò che è di Dio senza impegno... Se si entra in questi atti si vede:
come Dio attualmente, è questo darsi nell’atto liberante che unisce
tutti nella compresenza; ma si capisce che questo è aperto ad ul-
teriore possibilità ... E se il singolo si chiude (da cui il male) Dio
gli risponde con apertura, perché Dio si dà, cioè dà il bene per il
male. Tutto il male è un tentativo di realizzarsi secondo chiusura
... Il Dio che si dà a tutti nella compresenza (tutti si salvano) è:
il fatto da annunciare, il racconto di oggi. Se soltanto per una set-
timana l'umanità lo ascoltasse e lo vivesse in ogni incontro, avver-
rebbe un'infinita trasformazione. Quando avverrà questa vera set-
timana della creazione ? » *9. Il pathos escatologico è fortissimo :

« Ho il diritto di sciogliere questa realtà di distanze e di ignoto.
E allora tutti gli esseri non si chiuderanno piü nel quotidiano.
Liberi di vivere,angelici e sereni, come le musiche.

E la realtà imiterà ubbidiente : quando ? quando ? » :2,

Il tono profetico che incontriamo così spesso nelle pagine di
Capitini non può lasciarci freddi: egli non è affatto un utopista,.
ALDO CAPITINI 159

ma un uomo d'azione, se per azione non intendiamo il mero estrin-
secarsi di atti clamorosi. Egli è schivo di pubblicità, perché sa che
è dall'intimo che si edifica ogni opera vera :

«Hai messo da parte la tua storia, non hai scritto il tuo nome sui
muri » 28). ;

I veri profeti sono coloro che muovono il mondo, che rifiutano
il ‘dato’, che raccolti nella meditazione vedono quello che c’è da
dire e da fare, e parlano e fanno. L’essenza della religione è per Ca-
pitini tramutazione, e dunque per religione egli intende la religione
profetica, non già quella sacerdotale. L’utopista disegna il futuro e
attende che altri lo mettano in atto, il profeta comincia subito, per-
ché sa che bisogna comunque far dieci anche se non si può far mille 24),
«... Il Regno di Dio non è uno spettacolo (ce lo avverte il Vangelo),
un progetto, un luogo o un avvenimento nello spazio e nel tempo,
che sia estraneo alla vita di ogni giorno, di ogni ora ; se si è capito
che cos'é, ci si pensa quasi ogni momento, in mille occasioni : tutto
sta ad avere una preliminare ' apertura ' ad esso ... e per parte mia
ci metterò più che potrò nella direzione di liberazione, nelle piccole
e grandi cose che potrò ...»*9. Il sentirsi portatore di un messaggio
non significa però sentirsi diverso, superiore agli altri ; la prima Let-
tera di religione comincia così : « Parlo perché sono uno come tutti,
e la parola che apro sento che mi è aperta anche dagli altri ; e l’oriz-
zonte che guardo è l'orizzonte che tutti possono guardare »?9. A
questo orizzonte Capitini guarda fin da quando scrive le suggestive
pagine degli Atti della presenza aperta, libretto che « espresse, nella
forma letteraria di salmi molto sintetici, questa posizione costrut-
tiva di apertura » 2°, e non aggiunge altro, ma in quel testo alta-
mente poetico — e cosi poco letto! — è possibile avvertire le illu-
minazioni profonde di quell'anima dalla eccezionale sensibilità, sì
che la poesia è per lui servire un valore, apertura spirituale e mai com-
piacimento estetico. Qualcosa di piü dice dell'altro scritto, anch'esso
redatto in forma poetica, il Colloquio corale, ma per lui il valore del
testo sta prima di tutto nel suo contenuto religioso : la festa come
tensione e presentimento escatologico. «Se dovessi indicare i punti
dove ho espresso la tensione fondamentale, da cui tutte le altre, del
mio animo per l'interesse inesauribile agli esseri e al loro animo, e
perché ad essi sia apprestata una realtà in cui siano tutti piü insieme
e tutti più liberati, segnalerei alcune righe di un mio libro poetico,
r
————"————

160 MARIO MELELLI

Colloquio corale (sulla festa), nel quale ho ripreso, accentuando la
compresenza, un modo di esprimermi lirico, già presentato negli
Atti della presenza aperta. Il Colloquio corale (1955) è così poco noto
(il libro di cui ho più copie nel mio magazzino di carte !), ed è in-
vece così espressivo ...» 8. Il rapporto con gli altri, con tutti, in
Capitini nasce dall’intimo, come persuasione ai valori, e tra.i valori
è anche la bellezza e l'arte, che sono, di là dal piacere *9, trasfigu-
razione della realtà, sforzo di portare alla luce l’anima nascosta delle
cose, apertura verso la realtà liberata, appello rivolto a tutti perché
intendano ciò che potranno essere la natura e le cose una volta li-
berate dalla durezza dei limiti.

Il suo amore per la natura non si esprime tanto nell’ammira-
zione quanto nell’aspirazione di vederla possibile partecipe, per i
tanti suoi aspetti sereni e miti, dell'unità amore fra tutti gli esseri *°).
Ma talvolta prova mestizia davanti ad ‘essa e come un moto di ri-
bellione quando la vede dispiegata nella sua cieca potenza :

«Duole mirare qui in atto, che le cose consumate nel tempo,

se ne vadano esterne là, dove vanno gli eventi passati,

sfuggendo anche al ricordo, e non rispondano più.

Cade una polvere sopra gli anniversari, lo slancio e il volto di gioia
trapassano, gli occhi si disfanno dalla bruna luce profonda.
Alziamo l’accusa anche alla luce, che accetta questo trapasso,

e rimira solo ciò che permane, e non accompagna chi è vinto » 21).

E torna alla mente il ricordo di quel giorno, quando visitavamo
insieme il cimitero di Perugia e, sull’entrata, egli si tolse il cappello,
poi con tono semplice, ma che ci apparve solenne, disse: « Ecco,
vedi, togliersi il cappello qui deve significare toglierselo davanti ai
morti, non davanti alla morte, questo limite inaccettabile della na-
tura, che dà tutto e poi toglie tutto, e mette là i morti in una totale
povertà ». In un’altra occasione gli chiedemmo quale fosse la pre-
ghiera migliore per i morti; rispose: «Dire a tutti ' buon giorno '
il mattino, ‘ buona notte’ la sera », e non fu una risposta banale,
come si potrebbe pensare :

«Buona notte ad amici ed ad ignoti,

ai morti riveduti nel lampo della festa :

come ognuno ama in atto tutti,

così tutti il sonno unisca, disceso senza lotta :

-——————— Alia rien ans

ALDO CAPITINI 161

entriamo pacati nella notte grati alla festa,
dopo esserci aperti a lei » *2),

Non si affronterà qui estesamente l'argomento sull'opera specifica
di educatore svolta da Capitini nelle Università di Cagliari e di Peru-
gia. Basterà ricordare che l'impronta lasciata in quegli Istituti di peda-
gogia è profonda, per quel rapporto genuino che egli crea coi suoi
discepoli, attratti subito dalla sua vitalità, onestà esemplare e aperta
umanità ; basterà ricordare la lieta sorpresa degli iscritti alla Fa-
coltà di Magistero quando egli inizia i suoi corsi di pedagogia a Pe-
rugia (1966). Gli studenti si trasformano rapidamente da passivi
ascoltatori di lezioni e sostenitori di esami, in attivi membri di un
sodalizio spirituale dove la consapevolezza, l’impegno, la tensione ai
valori dell’apertura fioriscono giorno per giorno. Capitini ama assi-
dersi in mezzo a loro in tavole rotonde, dando esempio di democra-
zia, insegnando il metodo dell’ascoltare e parlare, mediante il quale,
egli dice, può anche lui apprendere così come insegnare. «Con il
lavoro individuale o a gruppi nei seminari da lui organizzati per
primo in questa Facoltà, dava a ciascuno la possibilità di una ri-
cerca personale, di esprimere le proprie opinioni o di imparare ad
esprimerle e di ascoltare quelle degli altri. Creava così le condizioni
effettive per la realizzazione, già in noi e nei nostri gruppi, di quella
libertà di formazione e di critica per cui operò sempre. Il suo stesso
abituale comportamento era ancora una continua lezione per la
semplicità, il rispetto, l'interesse ed il calore umano con cui si ri-
volgeva a ciascuno dei suoi studenti che continuamente ricorrevano
a lui per esporgli i propri problemi di studio o più strettamente per-
sonali...»?9.

Purtroppo tutto questo è durato così poco ! Resta la fede nella
fecondità di questa intensa seminagione. È certo che la sua opera
non può essere ancora pienamente valutata oggi, non perché non
sia chiaro il suo appello, ma perché la carne è debole e il male re-
siste. La domanda, dolorosa, è questa: come possono morire uo-
mini come lui? E la sua risposta sarebbe la stessa di tante volte :
«Questo può essere un inizio di vita religiosa : il rifiuto della morte ».

Si è parlato di filosofia di Aldo Capitini. Per chi lo ha cono-
sciuto e praticato l’appellativo di filosofo non esaurisce per nulla il
senso della sua personalità. Se filosofo è, e lo è senz’altro, questo
non basta a dire di lui; certo il nome di maestro gli è più vicino,
ma la sua personalità così ricca e semplice insieme, la finezza di

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162 MARIO MELELLI

modi che é in lui sostanza e forma di vita, la coerenza delle idee,
| la limpidezza e il rigore delle azioni, la profonda umanità dei pen-
sieri e dei rapporti con gli altri lo pongono al di là di una mera defi-
nizione, non valgono ancora a spiegare interamente le vibrazioni di
quell'anima apertissima a tutti e a tutto. Chi lo ha conosciuto non
potrà dimenticare facilmente il suo esempio di vita.
Queste poche ed incomplete pagine su Aldo Capitini possono
concludersi nel modo migliore con le sue stesse parole :

«Non ti é bastata la nascita ; non l'hai custodita come il solo tesoro:
ti sei gettato a fare di piü, entusiasmandoti. Sei andato ai cuori piü lontani,
là dove era più incerto » 24).

Mario MELELLI

NOTE

1) «La Cultura », A. vi (1968), pp. 457-73.

*) Il problema religioso attuale, Parma, 1948, p. 9.

*) Atti della presenza aperta, Firenze, 1943, p. 15.

*) Atti della presenza apería, cit., p. 91.

5) Atti della presenza aperta, cit., p. 29.

*) Elementi di un'esperienza religiosa, Bari, 1937, p. 119.

?) Elementi di un'esperienza religiosa, cit., p. 92.

*) Il problema religioso attuale, cit., pp. 97-98.

*) Tanto più che i suoi libri sono stati messi all'indice dall'autorità
cattolica. Due commenti a Discuto la religione di Pio XII, comparsi subito
dopo la sua pubblicazione, in due giornali clericali — «Il Giramondo »,
«L'Argine » (Ravenna, Piazza Arcivescovato) — concludono così: « L’im-
portante è non leggere il libro sopra segnalato ...»; non si hanno altre in-
dicazioni, l'annotazione ci fu fornita dallo stesso Capitini.

1°) Cfr. G. CALoGERO, Aldo Capitini e la «religione aperta», in «La
Cultura », A. vir, N. 1v, ottobre 1969, pp. 438-39.

11) Il problema religioso attuale, cit., pp. 98-99.

12) Religione aperta, Venezia, 1964, p. 254.

1*) Firenze, 1957. « Un libro di singolare efficacia e tanto più efficace
perché cosi sinceramente pacato ed umano. In tal senso una lezione di aper-
tura e di fraternità religiosa a chi crede di difendere e onorare la propria re-
ligione scomunicando e rifiutando ogni colloquio con altri uomini », così un
giudizio di W. Binni, fornitoci a suo tempo da Capitini e di cui non abbiamo
altri dati.

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Se: > —>— r—_———urtt 5 © men _ 95 Sini ti ide AE E i
ALDO CAPITINI 163

) Discuto la religione di Pio XII, cit., pp. 28-30.

1) Firenze, 1958.

1) Lettera di religione, N. 15, in Il potere di tutti, Firenze, 1969, p. 247.

17) Religione aperta, cit., p. 107.

18) Ibidem, p. 187.

19) Atti della presenza aperta, cit., p. 91.

2°) Colloquio corale, Pisa, 1956, p. 7.

*) Religione aperta, cit., pp. 107-110. Consultiamo il libro di Capitini
con le sue note e sottolineature.

*) Colloquio corale, cit., p. 15. Per un esame del motivo escatologico,
V. G. CALOGERO, Aldo Capitini e la «religione aperta», in «La Cultura »,
A. vii, N. 1v, ottobre 1969, pp. 446-47.

*) Atti della presenza aperta, cit., p. 29.

^) Cfr. l'introduzione di N. Bobbio a Il potere di tutti, Firenze, 1969.

** Lettera di religione, n. 22, in Il potere di tutti, cit., p. 273.

26) In Il potere di tutti, cit., p. 189.

2?) Attraverso due terzi del secolo, cit., p. 463.

8) Attraverso due terzi del secolo, cit., p. 469.

2°) «Alte si ergono le costruzioni umane, le istituzioni sociali ; ripugni
all’equivoco che la musica, le tragedie, le statue, siano piacere ». Atti della
presenza aperta, cit., p. 34.

30) È facile scorgere gli insegnamenti di Gesù, S. Francesco, Kant, Gan-
dhi, tanto per indicare alcuni dei nomi che più spesso Capitini cita.

81) Colloquio corale, cit., pp. 5-6.

32) Colloquio corale, cit., p. 62.

*) Ricordo di amici e di studenti del Magistero di Perugia, in « Il potere
è di tutti», A. V, N. 9-12, sett.-dic. 1968, p. 3.

**) Atti della presenza aperta, cit., p. 15.

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RECENSIONI

De Luca don GrusEPPE, Il cardinale Bonaventura Cerretti. Seconda edizione.
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1971, pp. xv1-396, L. 5.000.

Questa biografia del cardinale Bonaventura Cerretti venne pubblicata
‘così com'è ora nel 1939 «più o meno alla macchia » com'é affermato nella
nota editoriale, ma piü esattamente anonima con la sola dizione «a cura
della sorella del cardinale ».

La nuova edizione contiene in piü rispetto alla precedente una Premessa
della sorella del cardinale Elvira e una Prefazione (Due parole di spiegazione)
dell'Autore. Il quale si è avvalso per il lavoro preparatorio di raccolta e di
ordinamento cronologico della documentazione reperibile della collabora-
zione di don Remo Riccioni «creatura e confidente del cardinale » ; cosi
egli indica i criteri che lo hanno guidato nel lavoro: « Ho scelto una forma
insolita oggi, ma della miglior tradizione italiana ; vale a dire, la forma di
* discorso ^ non nel senso degenerato e odierno di predica né di conferenza,
qma nel senso reale e primitivo di un ragionamento, in cui, mescolando par-
‘ticolare e universale, ricordi e giudizi, si discorre del cardinale, della sua
anima e del suo volto, del suo pensare e del suo sentire, del suo lavoro e della
sua preghiera ».

I primi tre capitoli stesi più che mai in una forma vivace e brillante,
secondo un gusto letterario di personalissima impronta, sono dedicati a il-
lustrare l’ambiente familiare tipicamente caratteristico della piccola borghe-
sia agraria dell'Umbria e poi la fanciullezza e la giovinezza di Bonaventura
Cerretti. Nato il 17 giugno 1872 in una piccola frazione del Comune di Or-
vieto, Bardano, a dieci anni, compiuta la terza classe elementare, entrò in
Seminario ad Orvieto, che in quegli anni accoglieva altri due alunni desti-
nati al privilegio della porpora cardinalizia : Giulio Serafini e Carlo Salotti.
Conseguite la licenza ginnasiale a Perugia nel 1888 e la licenza liceale a Rieti
nel 1891, Bonaventura Cerretti, che veniva sempre piü consolidando la pro-
pria vocazione sacerdotale, fu ammesso al Seminario Vaticano a Roma nel
momento in cui esso «conosceva uno splendore che lo rendeva invidiabile
e invidiato da tutti gli altri istituti del genere ».

La narrazione biografica si fa d'ora in poi piü distesa, almeno per larghi

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172 RECENSIONI .

tratti, perché si giova del diario che il giovane seminarista teneva puntual-
mente, se pure in forma sobria ed essenziale conforme al suo temperamento.

Con la laurea in lettere conseguita nell'Università di Roma il 30 giugno-
1900, con quella in diritto canonico ottenuta nella Facoltà di S. Apollinare.
il 18 dicembre 1897 e con quella in diritto civile presa il 23 giugno 1898 Bo-.
naventura Cerretti completó la sua preparazione dottrinale senza manife--
stare, uomo d'azione com'era, una propensione ad ampliare in modo speci-
fico l'area degli studi compiuti. Ma durante questi anni trascorsi a Roma si
prodigò con entusiasmo ad opere di pietà e ad attività pratica, nel Circolo-
universitario ad esempio, e nelle Scuole notturne ; operosità che gli offrì
Poccasione di stringere utili conoscenze e stabili amicizie, che lo accompa-
gnarono e lo sostennero in più circostanze della sua lunga carriera ecclesia--
stica. La quale dal 1901 ebbe inizio con l'officio di registratore nella Peni-
tenzieria Apostolica e poi di minutante della S. Congregazione degli Affari.
ecclesiastici straordinari. Quivi trovó come cardinale il Rampolla, di cui
serberà un reverente ricordo, e come sostituto mons. Della Chiesa e come
segretario mons. Gasparri, che lo apprezzó subito per le singolari capacità.
organizzative e per la salda tempra di sacerdote, sostenendolo poi costante--
mente nella sua ascesa sino alla nunziatura di Francia e all'esaltazione al
cardinalato.

Nel febbraio 1904 ha inizio la vera e propria prestigiosa carriera eccle--
siastica e diplomatica di Bonaventura Cerretti con la partenza per il Messico.
quale segretario della Delegazione Apostolica a capo della quale il Papa aveva.
designato l’arcivescovo di Spoleto mons. Serafini. Nel gennaio 1905, rien-
trato a Roma mons. Serafini, che a causa del clima e del soverchio lavoro:
aveva accusato gravi disturbi, Bonaventura Cerretti è incaricato dalla Se--
greteria di Stato di reggere la Delegazione finché non giungerà il 29 giugno
di quell'anno il successore del precedente, mons. Ridolfi. Ma per breve tempo:
il Cerretti resterà in quell'ufficio in sottordine in quanto con disposizione del.
16 marzo 1906 la Segreteria di Stato lo nomina Uditore della Delegazione:
Apostolica di Washington.

Washington, che indubbiamente ospitava una delle più importanti dele--
gazioni apostoliche, fu la palestra in cui per il Cerretti si ampliò enorme-
mente l'orizzonte del campo operativo, si affinarono le naturali doti e l'abi--
lità diplomatica, già precedentemente mostrate nel trattare con autorità e
con personalità, che erano attratte dal suo fascino personale di fervido, ret-.
tilineo sacerdote e nello stesso tempo di affabile uomo di società. Colà resse
la Delegazione nella vacanza del titolare fra la partenza di mons. Diomede:
Falconio eletto cardinale e l'arrivo del successore, mons. Giovanni Bonzano,.
tra il novembre 1911 e l’aprile 1912.

Ma il periodo più felice della sua vita fu quello trascorso in Australia,.
dove fu inviato con nomina del 15 aprile 1914 come primo Delegato Aposto-
lico, essendo stata istituita la Delegazione in quel novissimo continente..


RECENSIONI 173

«colà, accolto ovunque calorosamente, egli constató l’efficienza del potere
«carismatico e sociale di un prelato e provò costantemente l’intima soddisfa-
zione di un magistero svolto in un clima colmo di umano calore e di fervore
‘spirituale. In Australia tornerà poi come Legato pontificio al Congresso eu-
-caristico di Sidney, che si svolse dal 5 al 9 settembre 1928.

Per quanto abituato a dominare i propri sentimenti per non sottrarre,
in certo senso, la benché minima dose di energia all’esercizio del dovere e a
quell'operosità pragmatistica senza soste che l'ambiente e il ritmo di vita
americani gli avevano comunicato, purtuttavia la consapevolezza della som-
‘ma di affetto e di devozione che lasciava in Australia dovette procurargli
una punta di rammarico quando, nell’estate 1917, fu richiamato in Vaticano
per assumere l'ufficio di segretario della Sacra Congregazione degli Affari
“ecclesiastici straordinari, in cui successe a mons. Pacelli inviato nunzio a
Monaco. Divenuto fedele collaboratore del papa Benedetto XV, dopo un
viaggio negli Stati Uniti, nel 1919 partecipò alla Conferenza della pace col
‘compito specifico di tutelare gl’interessi delle Missioni cattoliche, ma anche
di sondare l'atmosfera politico-diplomatica che regnava in quel consesso. E
fu in quella circostanza che il 1° giugno all’hotel Ritz Cerretti, tramite un
‘prelato americano, mons. Kelly, e un diplomatico italiano, il marchese Bram-
billa, ebbe un colloquio con l'on. Orlando, nel quale fu trattata la ‘ questione
romana" delineando la possibile soluzione. Le successive dimissioni dell'on.
‘Orlando dal governo accantonarono l’iniziativa.

Corollario della missione assolta a Parigi alla Conferenza della pace fu
la nomina del Cerretti a nunzio a Parigi con il gravoso e delicato compito di
riallacciare le normali relazioni diplomatiche e di ripristinare quel clima di
‘cordiali rapporti tra la Francia e la Chiesa tradizionalmente vivi, ma che
dai primi anni del secolo erano stati interrotti.

Fu questo il periodo più travagliato della feconda e brillante carriera di
Bonaventura Cerretti ; profonda era la frattura prodottasi tra la Repubblica
francese e la Santa Sede, ostili a quest’ultima tutta o quasi tutta la sfera
governativa, la classe politica dirigente e i partiti politici che la esprimevano ;
persistenti e sfacciati gli attacchi mossi dalla stampa più faziosa contro la
Chiesa e la persona stessa del nunzio. Ma per tutto ciò bisogna convenire
che se questa missione fu la più penosa per le difficoltà e le angustie che la
caratterizzarono fu anche la più gloriosa per mons. Cerretti per la prova di
raffinata diplomazia, di tenacissima volontà e di umiltà che egli sostenne
€ per gl’insperati risultati ch’egli conseguì.

Creato cardinale nel Concistoro segreto del 14 dicembre 1925 gli fu as-
segnato il titolo di Santa Cecilia il 24 giugno 1926. Il 21 dicembre 1925 ebbe
luogo all'Eliseo la cerimonia dell’imposizione della berretta.

A Roma da porporato fu ammesso a partecipare a quasi tutte le con-
gregazioni, ma non ne presiedette nessuna. Gli fu assegnato il beneficio di
arciprete della basilica romana di S. Maria Maggiore e poi di vescovo di Vel-

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174 RECENSIONI

letri. Ma il peso di un male insidioso, il diabete, che da vent'anni lo minava.
con fasi alterne, sopraffece la forte fibra operosa e combattiva del cardinale
Cerretti, che il 15 agosto 1926 si ritirò in Orvieto, ove, fra la venerazione di.
tutto il popolo, trascorse gli ultimi anni di pensoso raccoglimento e di cri-
stiana meditazione sino alla morte, avvenuta l'8 maggio 1933.

Fondamentalmente in due modi si puó affrontare e condurre la bio-
grafia di un personaggio : dall'esterno e dall'interno. Dall'esterno : ricompo-
nendone il profilo e il carattere mettendo a profitto un'ampia serie di rile-
vazioni degli aspetti e dei momenti della sua esistenza e della sua operosità,.
come un'assidua ripresa fotografica lungo il corso della vita. Dall'interno :
inserendosi per un spontaneo processo di naturale affinità col soggetto nel-
l'ambiente, nell'indole e nella vita stessa di lui e interpretando in certo modo:
con gli stessi occhi e con gli stessi moti dell'animo il mondo esterno, uomini
e vicende.

Don Giuseppe De Luca ha seguito questo secondo metodo, interpretando
con felice intuizione e con sicura fedeltà il temperamento e l'animo del car-
dinal Cerretti, riscontrando in lui, nelle sue virtù, nelle esplicazioni del suo:
carattere le esigenze fondamentali della sua propria vocazione di prete e
della illimitata devozione alla Chiesa. Alle doti eccezionali della sua intelli-
genza, alla finezza aristocratica del suo spirito aggiunge un singolare fascino:
di suggestione la sua cultura umanistica ; somma di virtù che rendono an-
cora più penoso il rimpianto per la sua immatura scomparsa.

GIOVANNI CECCHINI

MARCELLA GATTI, Le Carceri di San Francesco del Subasio. A cura del Lions.
Club di Assisi, 1969, pp. 198, 5 tavv. f. t., 8 n.n. nel testo.

La complessità della trattazione, la conoscenza delle fonti documen-
tarie, bibliografiche, letterarie, tradizionali e il cauto, penetrante impiego
dei valori da esse espressi, l’acconcia distribuzione della materia in ben in-
dividuati capitoli, il vigile senso di prospettiva storica ravvivato dal possesso
della spiritualità del magistero francescano e, non ultimo requisito, la chiara
fluida espressione formale costituiscono, a mio giudizio, i pregi di quest’ot-
timo lavoro sul famoso romitorio e convento assisano.

Per tutto ciò questo lavoro può considerarsi sull'argomento definitivo,
a meno che saltino fuori nuovi documenti sinora sconosciuti, il cui apporto.
modifichi sostanzialmente le conoscenze sin qui accertate o, cosa più desi-
derabile, forniscano un contributo di chiarificazione a quelle zone che, ap-
punto per insufficiente documentazione, son piuttosto fluide e in ombra.

Già nel primo capitolo Profilo storico delle Carceri nel periodo prefrance-

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RECENSIONI 175

scano e francescano Marcella Gatti porta un ragguardevole contributo di
chiarificazione all'argomento della provenienza dell'area del romitorio e della
figura giuridica ad essa attinente col rifiutare come infondata la donazione
dei benedettini del Monte Subasio e col riconoscere la concessione non in
proprietà, ma in uso da parte del Comune di Assisi. Concessione del resto che
il comune era solito praticare a quei « carcerati » e a quelle « carcerate » che
avevano scelto la costa boscosa e romita del Subasio per realizzarvi il proprio
ideale di contemplazione e di preghiera.

Il vocabolo di «carcere » già in uso in epoca prefrancescana venne ben
presto applicato al primitivo romitorio francescano, secondo la testimonianza
fornita dal cosidetto lodo di frate Elia del 28 agosto 1257. La rubrica 34
degli Statuti del Comune di Assisi oltre a testimoniare l'ampiezza del feno-
meno eremitico sul Monte Subasio, denunzia chiaramente la coesistenza dei
frati e dei fraticelli. I quali fraticelli con l'occupazione delle Carceri di S.
Francesco, che avvenne in data incerta ma sui primi del Trecento, danno
luogo ad uno dei più difficili problemi inerenti alla storia dell'eremo france-
scano : come è avvenuta e come si spiega l'occupazione delle Carceri da parte
dei fraticelli ?

Più che di un’occupazione a viva forza da parte di un nucleo esterno al
romitorio si trattò probabilmente, come mi sembra che tenda a credere l’A.,
a una conversione interna di frati francescani veri e propri verso forme più
rigoristiche.

Qualche tempo dopo la cacciata dei fraticelli dalle Carceri, avvenuta
verso il 1340, si apre un periodo di alta spiritualità francescana con l'introdu-
zione del movimento dell'Osservanza promosso da Paoluccio Trinci.

Dal 1370-73 si attua alle Carceri una splendida fioritura di operosa spi-
ritualità francescana che si perpetua vigorosa nel secolo xv con l'apporto di
eminenti figure come S. Bernardino e S. Giacomo della Marca e declina poi
nel secolo successivo. Molto oscure, per mancanza di documentazione, le
circostanze e le cause di questo illanguidimento, prodottosi se non per natu-
rale esaurimento, sotto la spinta di nuovi orientamenti di carattere conven-
tuale.

Asserisce Marcella Gatti a questo proposito: «... verso la fine del '500
la comunità osservante esistente alle Carceri doveva essere ormai un comune
convento, senza più la sua specifica caratterizzazione recessuale ». Ed ecco
attuarsi l'inquadramento e la struttura delle Carceri sopravvissuti l'uno e
l'altra sino ai giorni nostri, dopo il passaggio di esse al principio del secolo
xvi alla « Riforma ».

La penetrante, scrupolosa narrazione delle vicende di questo singola-
rissimo centro di vita spirituale francescana, che ha vissuto una sua storia
tutta particolare, é integrata da una serie di documenti inediti o mal noti,
da un catalogo di manoscritti e incunaboli della biblioteca del convento,
in parte sommario ma sufficientemente indicativo, da tre tavole planimetriche

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176 RECENSIONI

a complemento del capitolo dedicato allo sviluppo edilizio del convento, da
un indice dei nomi di persone e di luoghi, in cui — piccola menda — è
stato usato per le une e per gli altri il medesimo carattere tipografico. Come
pure è seguito nelle citazioni di opere a stampa il malvezzo, ormai genera-
lizzato, della esclusione dell’editore o dello stampatore.

L’edizione è stata fatta a cura del Lions Club di Assisi con onorevole
merito.

GIOVANNI CECCHINI

- -—- Necrologi

ANGELO BIAGETTI

Rare volte ci è dato trovare tra uomini del passato e di oggi
chi abbia esplicato attività molteplici e varie con uguale entusiasmo,
con pari onestà, con singolare modestia.

È il caso di Angelo Biagetti, professionista scrupoloso e dotato,
esemplare impiegato di banca, ispettore onorario dei monumenti,
scavi ed oggetti d’arte ed antichità per i Comuni di Acquasparta e
di Montecastrilli, socio ordinario e revisore dei conti nella Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria, appassionato ricercatore e
studioso di memorie locali della regione umbra.

Geometra prima, funzionario, poi, dell'Ufficio esattoriale di Ac-
quasparta, svolse contemporaneamente una feconda opera culturale
e letteraria, come dilettante, in apparenza, egli, che era uomo senza
la minima ombra di dilettantismo. Collocato a riposo, accentuò l’at-
tività di ricercatore sino alla morte, che incontrò sventuratamente,

per improvviso malore, il 23 maggio 1968.

Era nato il 9 febbraio 1900 in Acquasparta, da Giuseppe Bia-
getti e Gemma Barberini, di una facoltosa famiglia di Avigliano,
nella casa, che abitò per tutta la vita e che fu la culla della sua in-
tensa, assidua e laboriosissima indagine sui resti cospicui di un pas-
sato, al quale si doveva dedicare con tanto fervore.

Visse la sua fanciullezza e la prima giovinezza nel paese natio,
si spostò poi a Terni per la preparazione professionale, preparazione
che fu costretto ad interrompere, perché chiamato alle armi con i
giovani della classe 1900; partecipò, quindi, alle ultime vicende
della prima guerra mondiale nel Genio Telegrafisti in prossimità del
fronte e, spesso, nelle prime linee. Congedato, si diplomò con ottimi
voti e prese ad esercitare la professione, per breve tempo, in Ac-
quasparta e nelle Marche; ebbe poi l’incarico di Esattore del Co-
mune nella sua cittadina, ebbe la tranquillità economica e poté,
come si suol dire, accasarsi.

L'esperienza della guerra aveva affinato le sue doti di umanità
e di bontà, doti spiccatissime che caratterizzarono tutta la sua esi-

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178 NECROLOGI

stenza, nei confronti della famiglia, nei confronti di tutti coloro in
mezzo ai quali viveva. All’autore di queste brevi note, che gli fu
vicino per molti anni, egli amava raccontare spesso le sofferenze
della vita militare, ma ponendo sempre l’accento sui disagi delle
popolazioni del Veneto, sulla loro generosità e sul loro spirito di
sacrificio. Angelo Biagetti, per una profonda carica di umanità e di
altruismo, sentiva e viveva i drammi sociali, era lontano da ogni
sentimento o atteggiamento di violenza, fu sempre un’anima natu-
ralmente cristiana. Ne è riprova il fatto che non ebbe e non coltivò
mai inimicizie, non serbò mai rancore verso alcuno, neanche verso.
chi l'avesse gravemente offeso. ;

C'è di più: spesso faceva del bene a persone, delle quali
aveva conosciuto qualche difficoltà, preoccupandosi che non lo ve-
nissero a sapere. Egli, insomma, aveva tratto dalla guerra l'unico
insegnamento che essa dovrebbe dare. Per questo, tutti coloro che
| hanno avuto bisogno di lui, come funzionario, o come uomo di cul-
| tura, fossero di Acquasparta, di Terni, di Perugia, di Roma, fossero
studenti universitari di Todi o di Vienna, come è accaduto più volte,
sono stati accontentati ed aiutati nel migliore dei modi, con la pre-
mura e la sollecitudine di chi, spontaneamente e nel più assoluto
disinteresse, ama fare propri i problemi degli altri.

Fu padre di quattro figli, nella educazione dei quali impegnò
più la sua capacità di comprensione e di affetto che la sua autorità.

Credo che non sia fuor di luogo concludere queste considera-
zioni sulla figura dell’uomo, prima di passare a quella dello studioso:
e dello scrittore, sottolineando l’affetto e la simpatia, che Angelo
Biagetti ebbe vivissimi per i giovani. Giovane di spirito ed entu-
siasta, sapeva stare in mezzo ai giovani, sapeva instillare in loro,
vivendo i loro problemi ed adattandosi al loro modo di pensare,
l'amore del sapere ed il culto delle tradizioni e delle memorie patrie :
un'altra ragione, non certo la meno importante, del suo attaccamento.
alla vita.

Angelo Biagetti cominció molto presto la sua fatica di ricerca-
tore, ma fu subito apprezzato, sia per il gusto e la genialità, dimo-
strati nella illustrazione di monumenti e di carteggi scovati in bi-
blioteche pubbliche e private, sia per il felice intuito, impiegato nel
cogliere il loro significato storico e nel risalire alla civiltà, della quale
essi erano espressione. La sua notorietà ebbe un primo, importante
riconoscimento nel 1934, quando il Ministero della Educazione Na-
zionale lo nominò Ispettore Onorario dei monumenti, scavi e og-

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getti d'arte ed antichità per i Comuni di Acquasparta e di Monte-
castrilli.

Angelo Biagetti avvió il suo lavoro, non limitandosi a sorve-
gliare, ad impedire deturpazioni e abbattimenti, programma diffi-
cile, del resto, ad attuare, soprattutto per mancanza di adeguati
strumenti legislativi, ma volle far rivivere, per cosi dire, le testi-
monianze del passato, volle che esse tornassero a far sentire la loro
voce, sia tra gli studiosi, sia tra il pubblico meno preparato, con una
nutritissima serie di studi, anche a carattere divulgativo, pubblicati
su giornali e riviste.

Essi saranno indicati particolareggiatamente nella nota biblio-
grafica. Notevole in essi l'efficacia del linguaggio piano e sostenuto
nello stesso tempo, pieno di grazia, di arguzia, di avvincente sem-
plicità.

Cominció con Carsulae, allora abbandonata e squallida. Su di
essa volle richiamare l'attenzione degli archeologi, collaborando an-
che con il ben noto topografo dell'Italia antica e studioso dei monu-
menti romani, prof. Lugli; al quale preparò tutto il lavoro di rile-
vamento e di misurazione, per una ricerca importantissima, acqui-
sita agli atti dell'Accademia dei Lincei.

Fu preso, poi, da grande interesse per il Palazzo Ducale di Ac-
quasparta, per la vita e l'opera del principe Federico Cesi, per la
fase, diciamo cosi, acquaspartana dell'Accademia dei Lincei, per le
singole figure degli accademici, italiani e stranieri: Giovanni Ech,
Virgilio Cesarini, Anastasio De Filiis, Stelluti ecc. Fu il Biagetti a
volere che le vie e le piazze acquaspartane ricordassero queste me-
morie storiche e questi personaggi ; fu il Biagetti che defini l'Acqua-
sparta dei primi decenni del '600, la « Piccola Atene Umbra ». Egli
ricercó documenti, fece viaggi in altre città per contatti con gli stu-
diosi più accreditati, scrisse articoli vari, sempre con il proposito di
suscitare interesse, di far conoscere, non solo i propositi e gli entu-
siasmi del principe Federico Cesi e dei suoi seguaci, ma anche altri
personaggi e rami dell'illustre famiglia romana, che ebbe dignità ec-
clesiastiche, feudi e privilegi a Todi, a Cantalupo ed in altri centri
della Sabina.

Particolare risonanza ebbero le sue scoperte su Giandomenico
Bianchi, nel quale individuò l’architetto del Palazzo Ducale di Ac-
quasparta : seguì le tracce dell’attività di quest’ultimo nel Comasco,
a Rieti, ad Amelia, dimostrando che in questa città il Bianchi aveva
dato sistemazione definitiva alla monumentale porta d’ingresso.

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180 NECROLOGI

Offri sempre alla Deputazione di Storia Patria per l'Umbria la
piü fattiva e disinteressata collaborazione, non solo accettando l'in-
carico di Revisore dei Conti, ma soprattutto presentando relazioni
di notevole valore, compiendo ricerche scrupolose sulle Abbazie Be-
nedettine dell'Agro Amerino, raccogliendo iscrizioni e notizie pre-
ziose, sempre con l'aria modesta di chi teme di aver fatto troppo
poco e crede, per questo, di non avere voce in capitolo.

Dotato di una sensibilità eccezionale, pur tra mille esitazioni.
si cimentó anche con il genere letterario della novella e del bozzetto,
Nacque cosi la raccolta Gli amanti di Efeso, che fu una sorpresa per
tutti coloro, che avevano sempre conosciuto ed apprezzato il Bia-
getti come scrittore di ben altre cose. La raccolta, é vero, non ebbe
il successo che si riprometteva, tuttavia si presentó subito ai lettori
piü attenti come la traduzione di stati d'animo particolari in una
anima tormentata. Forse analizzate e studiate quali espressioni e
proiezioni di un intenso soggettivismo, quelle novelle si configure-
ranno in una piü valida dimensione : agli esperti il compito di una
valutazione vera e propria.

È toccato a molti di lavorare intensamente, con la dedizione
piena della propria intelligenza e delle proprie energie, per una meta,
della quale non hanno potuto vedere la compiuta realizzazione.
Siffatto, amaro destino ha venato di malinconia l'operosa esi-
stenza di Angelo Biagetti. Egli aveva lottato e sofferto, aveva
tentato l'impossibile per vedere restaurato e tornato a nuove, im-
portanti funzioni il palazzo ducale di Acquasparta. Con molto zelo
aveva seguito i saltuari ed incerti lavori di restauro, eseguiti ora dal
Genio Civile di Terni, ora dal Comune. Per impedire deturpazioni e
rifacimenti rovinosi, suggeriti dalla fretta o dalla pochezza di mezzi,
aveva studiato, fotografato partitamente elementi architettonici e
cicli pittorici; aveva ricercato scrupolosamente strutture e suture
che rivelassero le parti più antiche e quelle più recenti; aveva rac-
colto le iscrizioni e le aveva interpretate. Fu merito del Biagetti,
se ricorrenze centenarie del principe Federico Cesi furono celebrate
nel Palazzo Ducale di Acquasparta, con larga partecipazione del-
l'Accademia dei Lincei, con l'intervento d'importanti personalità del
mondo della cultura.

Finalmente ci fu la ricompensa per tanto amore, per così fat-
tivo ingegno : l’incontro tra gli accorti amministratori del Comune di
Acquasparta e l'on. Giuseppe Ermini, rettore della Università di
Perugia. Il Palazzo fu ceduto all’Università, che si impegnava a re-
NECROLOGI 181

staurarlo e ad impiegarlo per attività culturali, quale centro di studi,
di convegni, d'incontri a carattere nazionale ed internazionale, di
corsi di aggiornamento per professori.

Ad Angelo Biagetti non parve vero : si realizzava il suo sogno ;
sembrava che cominciasse per lui una seconda vita, una seconda
giovinezza.

L'on. Ermini ed i responsabili della Università di Perugia sanno
con quanta passione lo scomparso Biagetti ha seguito i lavori di
restauro, che sono ora in fase di ultimazione e che egli, purtroppo,
non ha potuto vedere conclusi; nelle loro mani egli aveva posto
subito i risultati delle sue ricerche e le conquiste della sua accorta
indagine, riscuotendo da parte loro ammirazione, simpatia e, so-
prattutto, gratitudine per i suoi disinteressati ed efficaci contributi.

Ammirazione e gratitudine ad Angelo Biagetti dobbiamo noi
tutti per l'esempio di una vita generosa, per l'opera di ricostruzione
e di ricerca appassionata su tante pagine di storia umbra, per l'af-
fetto e la collaborazione offerti ai giovani studiosi, ai quali, con la.
sua morte, egli rimette ed affida il compito di continuare le indagini
sulle terre arnolfe, sulle proprietà del Canova a Sangemini, sul le-
prosario di San Bartolomeo in agro casuentino, sul Palazzo Comu-
nale di Sangemini, sui centri montani di Firenzuola e di Macerino :
notevole mole di studi avviati e non portati a compimento. Com-
pletata, invece, anche se non revisionata è l'opera, che per il Bia-
getti rappresentò il più severo impegno, sulla vita e la personalità del
principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei. Tale
suo scritto, gelosamente custodito dagli eredi, è ora in fase di co-
piatura : dovrà essere collazionato e vedrà la luce forse in un tempo
relativamente breve, come noi tutti ci auguriamo.

Angelo Biagetti ha lasciato, dunque, molte cose compiute, altre
da compiere; ha lasciato una consegna ed un esempio : l’esempio
di un dovere, adempiuto con capacità e coscienza, l’esempio di una
opera modesta, in parte anonima, eppure validissima.

ANTONIO MIZI

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182 NECROLOGI

NOTA BIBLIOGRAFICA

1) A. BIAGETTI, Virginio Cesarini accademico Linceo e il suo testamento.
Terni, Tip. De Caterinis 1933.
2) A. BIAGETTI, L’architetto del Palazzo Ducale di Acquasparta. Perugia,
Tip. l'Economica, 1934.
3) A. BIAGETTI, Acquasparta (Cenni storici - Monumenti - Acquasparta Sta-
zione Idropinica). Terni, Editrice Annuari Guide Regionali Italiane, s. a.
(Estratto dalla guida Umbria-Sabina di D. Padovano - Terni).
4) A. BIAGETTI, Nuovi documenti e notizie sull’architetto del palazzo ducale
di Acquasparta. Estratto dagli Atti del 11° Convegno Nazionale di Storia
dell’Architettura (Assisi, 1937-xv). Roma, Casa Editrice Carlo Colombo,
1939. (cfr. « Bollettino Deputazione Storia Patria per l'Umbria », vol. xxx1).
5) A. BIAGETTI, Gli amanti di Efeso. Padova, Edizioni Stediv, 1951. (in
copertina disegno di Carlo Quaglia).
6) A. BIAGETTI, Federico Cesi il Linceo e il palazzo ducale di Acquasparta )
in tre inventari inediti del XVII secolo, in « Bollettino della Deputazione
di Storia Patria per l'Umbria », vol. LXI (1964).
7) A. BIAGETTI, Paolo III° e la Comunità di Todi (Documenti inediti).
In corso di pubblicazione nel « Bollettino della Deputazione di Storia
Patria per l'Umbria».
8) A. BIAGETTI, Federico Cesi e il palazzo ducale di Acquasparta, in «Il
Messaggero di Roma », 1 settembre 1940.
9) A. BIAGETTI, Galileo Galilei e Federico Cesi, in « Il Messaggero di Roma »,
14 settembre 1940.
10) A. BIAGETTI, S. Francesco in Acquasparta, in « Il Messaggero di Roma »,
28 settembre 1940.
11) A. BIAGETTI, Un cappuccino alla Corte dei Cesi, in «Il Messaggero di
Roma », 31 ottobre 1940.
12) A. BIAGETTI, Incontro con Carosius pittore interamnense. Il Convento di
San Francesco in Acquasparta, in « Il Messaggero di Roma », 15 maggio
1941.
13) A. BrAcETTI, Lucrezia Borgia al castello di Portaria, in « I1 Messaggero
di Roma », 21 agosto 1941.
14) A. BIAGETTI, Tra i cipressi del Castello di Casigliano (Una casa princi- \
pesca fiorentina vi ha da tre secoli il suo dominio), in « Il Messaggero
di Roma », 30 ottobre 1941.
15) A. BIAGETTI, Cesi antica ed ubertosa, in « Il Messaggero di Roma », 20
novembre 1941.
16) A. BIAGETTI, Nel tricentenario di Galileo. « Li precipizi del Velino » visi- |
tati dallo scienziato, in « Il Messaggero di Roma », 29 gennaio 1942.
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NECROLOGI 185

17) A. BIAGETTI, La voce del mondo romano sale dai resti della sepolta Carsoli,
in « Il Messaggero di Roma », 19 aprile 1942.

18) A. BIAGETTI, Santa Maria delle Grazie, in « Il Messaggero di Roma »,
31 maggio 1942.

19) A. BIAGETTI, Nell'alía quiete di Colcello, in « Il Messaggero di, Roma »,
7 giugno 1942.

20) A. BIAGETTI, Ecco la Sagra del Vescovo di Antiochia, in « Il Messaggero
di Roma », 24 giugno 1942.

21) A. BIAGETTI, Le celebrazioni dei grandi umbri ed il restauro degli antichi
monumenti, in «Il Messaggero di Roma », 30 agosto 1942.

22) A. BIAGETTI, Anastasio De Filiis linceo nel periodo torbido delle perse-
cuzioni, in « Il Messaggero di Roma », 10 ottobre 1942.

23) A. BIAGETTI, L'Abbazia di Stroncone, in «Il Messaggero di Roma »,
25 febbraio 1943.

24) A. BIAGETTI, La leggenda di Monna Aletta, in « Il Messaggero di Roma »,
25 marzo 1943.

25) A. BIAGETTI, Gli avvenimenti storici del primo ’800 nelle note di Andrea
Paccariè, in « Il Messaggero di Roma », 9 aprile 1943.

26) A. BIAGETTI, Affreschi ad Acquasparta, in « Il Messaggero di Roma »,
6 maggio 1943.

27) A. BIAGETTI, Ricognizioni nell’ Amerino, in «Il Messaggero di Roma »,
8 maggio 1943.

28) A. BIAGETTI, Oggi ad Acquasparta s'inaugura la mostra d'arte, in « Il
Messaggero di Roma », 11 agosto 1946.

29) A. BIAGETTI, Un pittore umbro dell’800: Giuseppe Diana, in «La Fa-
villa », Perugia, 20 settembre 1946.

30) A. BIAGETTI, L’arte ci viene incontro. I pittori ternani espongono all’aperto,
in «Il Messaggero di Roma », 9 ottobre 1947.

31) A. BIAGETTI, Nell’Alta Valle di Castel dell'Aquila, in « Il Messaggero
di Roma », 18 ottobre 1947.

32) A. BIAGETTI, Origini e maestà della Rocca di Sismano, in « Il Messag-
gero di Roma », 5 novembre 1947.

33) A. BIAGETTI, Giro lungo alla mostra di Spoleto. Nuovi orientamenti della
pittura umbra, in « Il Messaggero di Roma », 20 dicembre 1947.

34) A. BIAGETTI, J nostri pittori e le correnti d'avanguardia, in « Il Messag-
gero di Roma », 21 gennaio 1948.

35) A. BIAGETTI, Sosta a Casteltodino, in «Il Messaggero di Roma», 23
gennaio 1948.

36) A. BIrAGETTI, La «rosa» di Andrea Orcagna nel miracolo del duomo
d’Orvieto, in « Il Messaggero di Roma », 14 maggio 1948.

37) A. BIAGETTI, Visione apocalittica alla « Festa delle acque », in « Il Mes-
saggero di Roma », 3 aprile 1948.

38) A. BiAGETTI, Una grande conquista nel campo della solidarietà artistica

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184 NECROLOGI

(Intervista con Carlo Quaglia), in « Turismo », Terni, settembre-ottobre
1948.

39) A. BIAGETTI, Clementoni, Ciaurro e Mirimao alla «bottega Zingarini »,
in «Il Messaggero di Roma », 28 ottobre 1948.

40) A. BIAGETTI, Uccisa dal « Catalogo » l’ariosa poesia del turismo, in «Il
Messaggero di Roma », 12 novembre 1948.

41) A. BIAGETTI, Turismo e poesia, in « Turismo », Terni, novembre-dicem-
bre 1948.

42) A. BraGETTI, Come Ser Pietro Paolonio partiva da Acquasparta verso
Roma, in « Il Messaggero di Roma », febbraio 1949.

43) A. BraGETTI, Giovanni Ecchio e i primordi dell’Accademia dei Lincei,
in « Turismo », Terni, marzo-aprile 1949.

44) A. BIAGETTI, Il convento di San Pietro in Monte Scoppio, in « Turismo »,
Terni, marzo-aprile 1949.

45) A. BIAGETTI, Il medico Giovanni Ecchio e i primordi dell’ Accademia dei
Lincei, in « Il Messaggero di Roma », 25 maggio 1949.

46) A. BIAGETTI, Galileo Galilei nel Umbria, in «L'Umbria », Perugia, 2
giugno 1949.

47) A. BIAGETTI, Cameriera d’albergo (novella), in « Il Messaggero di Roma »,
25 giugno 1949.

48) A. BIAGETTI, Sei pittori ternani a Spoleto col plenilunio, in « Il Messag-
gero di Roma », 31 luglio 1949.

49) A. BIAGETTI, La morte di Fra Ginepro (novella), in « Turismo », Terni,
novembre-dicembre 1949.

50) A. BiAGETTI, Nebbia (novella), in « Turismo », Terni, maggio 1950.

51) A. BIAGETTI, Il mito delle città pelasgiche, in « Turismo », Terni, settem-
bre-ottobre 1950.

52) A. BIAGETTI, Rinuncia (novella), in « La Voce Turistica », Terni, marzo-
aprile 1952.

53) A. BIAGETTI, L’evasione di Mary (novella), in «La Voce Turistica »,
Terni, luglio 1955.

54) A. BIAGETTI, Un giovane scienziato-poeta bavarese alla dotta corte di Fe-
derico Cesi in Acquasparta, in « Il Messaggero di Roma », 24 dicembre
1957.

55) A. BIAGETTI, Roccaporena, in « Il Messaggero di Roma », 19 febbraio
1958.

56) A. BrAGETTI, La prima sede dei Lincei riaperta ai convegni di cultura,
in «Il Tempo», 4 agosto 1964.

57) A. BrAaETTI, Personale di Marras nel Palazzo Comunale, in «La Na-
zione », 21 dicembre 1966.

58) A. BraGETTI, Manzini e Miniucchi al Circolo « Il Drago », in «La Na-
zione », 26 marzo 1967. - EAST

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ANTONIO MUZI

Con la morte di Antonio Muzi, socio corrispondente della De-
putazione di Storia Patria per l'Umbria, avvenuta in veneranda età,
il 1° novembre 1970, Orvieto ha perduto un tipico rappresentante
di quella generazione che alla vasta cultura univa il senso civico
permeato di amore al luogo nativo e di bontà e rettitudine nella
vita privata e nella pubblica amministrazione.

Brillantemente superó gli studi medi ed i corsi universitari, ad-
dottorandosi in Giurisprudenza, mentre il suo carattere si plasmó
soprattutto nella famiglia.

Suo padre Muzio, ancora è ricordato nell'ambiente locale per
quella oculatezza disinteressata e quella correttezza dimostrate nella
direzione della Cassa di Risparmio ed in Enti di beneficenza, con
quella passione per l’arte e la cultura che lo rendeva, in diverse ma-
nifestazioni, provvido mecenate. Entrato nel Ministero della Pub-
blica Istruzione fu funzionario integerrimo e scrupoloso, arrivando
al grado di Capo Divisione e lasciò l’ufficio, prima del tempo, per le
leggi limitative alla sua carriera.

Preferì allora ritirarsi nella sua Orvieto, dove era nato nel 1883,
per coltivare, con maggiore libertà, quegli studi storico-archeologici
che potessero dare un contributo sostanziale alle vicende locali.

Per questo si avvaleva della consultazione di concittadini stu-
diosi, nella città e fuori, tra i quali sono da ricordare : Geralberto
Buccolini, don Alceste Moretti, Raniero Mengarelli, Pericle Perali,
Enrico Stefani e Roberto Valentini.

Si può dire che la sua bontà e la sua spiccata cultura si rivela-
rono con la fondazione dell’Istituto Storico Artistico Orvietano del
quale fu primo Presidente dal 1944 al 1951.

Nel 1910, nel cinquantenario dell'unione di Orvieto all'Italia,
Antonio Muzi aveva già fatto parte del comitato cittadino che com-
pilò il volume La liberazione di Orvieto 11 settembre 1860 (Orvieto,
Marsili, 1910).

Quando ancora nella zona orvietana erano evidenti le rovine e
le distruzioni della guerra, si sentì la necessità, specialmente fra i

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giovani, di far sorgere un sodalizio culturale al disopra delle fazioni
e lontano da personalismi accesi, voluti dalle vicende mutevoli degli
uomini.

Nel clima di libertà, si voleva un'istituzione che sulle orme nella
Nuova Fenice, in vita alla fine del secolo e all'inizio dell'attuale,
per merito di Luigi Fumi e di alcuni studiosi locali, ravvivasse le ri-
cerche nei fondi storici e bibliografici per difendere lo spirito orvie-
tano e far brillare al sole l'emblema di Orvieto. Era un legame, con
alti intenti, tra il passato e il presente. Il 24 aprile 1945, quando la
radio annunziava l'avanzata delle truppe alleate nei grandi centri
del nord e quindi la prossima fine delle ostilità, l'Istituto Storico
Artistico Orvietano, nella sala consiliare del comune, si presentó
ufficialmente al pubblico ed Antonio Muzi nel discorso introduttivo
poté ben dire « Quando si pone mente ai problemi dello spirito si
allontanano la violenza e la guerra ». Contemporaneamente all'atti-
vità dell'Istituto si inizió la pubblicazione del « Bollettino», ancora re-
datto, del quale in un articolo di presentazione, nel primo numero,
Muzi ribadiva gli scopi di maggiore valorizzazione del patrimonio
cittadino e di diffusione della cultura. L'Istituto, nelle sue varie
branche, invitava tutti gli orvietani indistintamente per interessarli
a quello che le generazioni passate hanno lasciato.

Nel Comitato di Redazione il Muzi spesso interveniva con il suo
consiglio, mentre non mancava la pubblicazione di qualche interes-
sante studio.

Presidente dell’Istituto Storico Artistico Orvietano, fece parte
del comitato cittadino per il centenario di Luigi Mancinelli, nel
1948, e di quello del centenario di Luigi Fumi, nel 1949, nel quale
si svolse il primo congresso nazionale archivistico; e durante la sua
presidenza, fu rivolto un vivo interessamento ai problemi arti-
stici e culturali cittadini.

Dal 1945 al 1947 resse quale consigliere anziano l’Opera del
Duomo nella quale mostrò uno spirito veramente orvietano. Il duomo
fu voluto dagli orvietani, che sempre, nei secoli lo hanno gelosamente
custodito, senza contaminarlo con divisioni di parte e senza farne
oggetto di compromessi di fazione. Sull’alto del duomo vicino alla
croce deve sempre essere innalzato il vessillo di Orvieto simbolo
immacolato dei valori della città.

Il Muzi ebbe la ventura di assistere al primo centenario della
liberazione di Orvieto e, poiché aveva fatto parte del comitato del NEGROLOGI 187

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cinquantenario, fu voluto membro, quale rappresentante della De-
putazione di Storia Patria dell'Umbria, di quello del centenario.

L'Istituto Storico Artistico Orvietano, che già aveva retto con
dignità e signorilità, lo acclamò presidente onorario.

Antonio Muzi è stato uno di quegli spiriti che hanno compreso
l'inevitabile funzione della cultura unita a quell'amore per il luogo na-
tivo, difeso nei suoi valori, senza compromessi di sorta, per non
abbattere i segni della civiltà.

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LUIGI BELLINI
(1926-1971)

Le leggi di natura lasciano in genere ai piü giovani il compito

di commemorare i piü anziani. Purtroppo a me tocca qui di assol-
vere un compito ben più doloroso: quello di ricordare la figura e
l'opera di un carissimo allievo che fu soprattutto un collaboratore
e che per lunghi anni condivise con me gli oneri didattici e quelli
dell'organizzazione della vita scientifica dell'Istituto di Statistica del-
l'Ateneo perugino.
Quando l'incontrai per la prima volta, Luigi Bellini mostrava
già la stoffa dello studioso: attratto dalla realtà storico-sociale del-
l'Umbria che tanto amava, aveva infatti voluto abbandonare l'im-
personale tecnicismo degli studi d'ingegneria per rivolgersi verso di-
scipline che lo avvicinassero al suo vivo interesse di conoscenza delle
vicende passate e attuali della sua regione, fornendogli gli strumenti
metodologici per approfondirle.

Nato a Ponte S. Giovanni il 29 novembre 1926 da una famiglia
di artigiani, che lo aveva educato al gusto del bello e all'attacca-
mento alla terra umbra, dopo l'esperienza degli studi di ingegneria
— per lui deludente — si era iscritto al Corso di Economia e Com-
mercio nell'Università di Perugia dove aveva conseguito la laurea
nel 1954 discutendo una tesi in storia economica.

Si puó ben dire che tutta la sua vita fu improntata ad attività
che confermavano il suo profondo legame con l'Umbria.

Affascinato dalla prospettiva che gli si era aperta con la pre-
parazione della tesi di laurea, si dedicó dapprima a studi di storia
economica dimostrando particolare interesse ed attitudini al tipo di
ricerca storica, che restó, del resto, sempre la sua maggiore passione.
Approfondendo le ricerche intraprese per la tesi, studió l'evoluzione
della mezzadria in Umbria dall'Unità alla fine del sec. xix soprat-
tutto centrando l'attenzione sulle condizioni di vita dei mezzadri e
delineando, quindi, le caratteristiche economico-sociali del mondo
rurale della regione nell'intervallo dall'unificazione alla prima guerra
mondiale e tracciando un quadro del movimento contadino cosi

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NECROLOGI 189

come si era manifestato nel contesto sociale umbro ; allo studio
degli aspetti prevalentemente sociali fece seguire altre ricerche più
propriamente economiche che lo portarono a estendere la sua analisi
e a fissare — tra l’altro — alcuni elementi fondamentali per deli-
neare una storia dell’agricoltura della regione negli ultimi cento anni.
Nel quadro degli studi di storia economica, merita anche particolare
menzione il suo contributo alla storia della stampa in Umbria nel-
l'800, nel quale si documenta una delle attività economiche più
‘caratteristiche della regione.

Nel frattempo, egli si era familiarizzato con le fonti statistiche
e aveva acquisito sempre meglio la conoscenza degli strumenti me-
todologici per l'analisi dei fenomeni collettivi: le competenze dello
statistico venivano cosi a fondersi con le attitudini dello storico,
peraltro consapevolmente partecipe della realtà politica ed econo-
mica attuale. Infatti, Luigi Bellini era divenuto assistente alla cat-
tedra di statistica, prima volontario (dal 1955 al 1958), poi incari-
cato (dal 1958 al 1966) e infine di ruolo (dal 1966) ; né gli era man-
cata l'esperienza diretta della gestione politico-amministrativa della
cosa pubblica, avendo rivestito la funzione di membro del Consiglio
Comunale di Perugia dal 1964 al 1969.

La sua attività scientifica si era cosi orientata verso una pro-
blematica demografico-sociale, anche sotto la spinta della sua par-
tecipazione, in qualità di esperto, alle discussioni e al lavoro del
comitato scientifico costituito presso il Centro studi per il piano re-
gionale di sviluppo economico dell'Umbria. Nel quadro degli studi e
ricerche promossi dal Centro, Luigi Bellini aveva approntato una
pregevole monografia sul movimento turistico in Umbria nella quale
era riuscito a individuare le caratteristiche salienti del turismo um-
bro opportunamente trattando, con appropriate metodologie, l'in-
fido materiale statistico disponibile in argomento ; parallelamente,
egli aveva condotto tre inchieste su argomenti di notevole interesse
per chiarire taluni aspetti delle attuali condizioni dell'economia um-
bra: l'una sul movimento pendolare dei lavoratori, che è uno dei
rari esempi di inchieste indirette su un fenomeno ancora cosi poco
studiato in Italia nonostante la sua crescente rilevanza nelle moderne
economie capitalistiche, l'altra sulla situazione — dopo un decennio
— dei licenziati dalla « Terni» nel 1952, di cui egli era paziente-
mente riuscito a ricostruire le vicende, e dalla quale poté ricavare
indicazioni illuminanti sulla gravità delle forme di sottoccupazione
e dequalificazione della manodopera regionale ; la terza, infine, sulle

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possibilità di occupazione offerte nell'ambito regionale ai diplomati
degli Istituti professionali e tecnici industriali, anch'essa illuminante
per un giudizio sulla domanda di lavoro e, quindi, sulle caratteri-
stiche effettive dello sviluppo industriale dell'Umbria.

Peraltro, l'opera di maggiore importanza che egli condusse a
termine per il Centro regionale è stata quella sull'evoluzione demo-
grafica dell'Umbria dal 1861 al 1961 nella quale è raccolto un com-
plesso di ricerche demografiche in parte frutto di elaborazioni di
materiale statistico ufficiale, in parte risultato di indagini campio-
narie condotte sui dati anagrafici dei singoli Comuni della regione,
il che permetteva un'analisi territoriale disaggregata per la delimi-
tazione di zone omogenee.

A questa ricerca, che avevo accettato di dirigere perché ben
sapevo che avrei potuto affidarla in buone mani, Luigi Bellini de-
dicò il suo appassionato impegno in tutte le varie fasi : dall'imposta-
zione metodologica all’esecuzione del piano di indagine, dalla verifica
dei risultati alla loro utilizzazione e interpretazione. La sua profonda.
conoscenza della realtà regionale gli permise, infatti, di valutare il
grado di attendibilità dei dati e soprattutto di ricavarne il massimo
di informazioni riuscendo — nella illustrazione dei risultati — a far
scaturire le linee essenziali non soltanto dell’evoluzione demografi-
ca umbra e delle sue differenziazioni nelle varie zone della regione,
ma soprattutto delle determinanti economiche di tale evoluzione e
di tali differenziazioni. L'interesse dell’opera è testimoniato dall'am-
bito riconoscimento che la Deputazione di Storia Patria dell'Umbria
ha voluto concederle assegnandole il « Premio Bertini-Calosso ».

Quando, nel 1963, lasciai l'insegnamento nell'Ateneo perugino,
Luigi Bellini stava lavorando ad altre ricerche sull'Umbria affida-
tegli dal Centro regionale che lo aveva chiamato come collaboratore
per aggiornare e approfondire le indagini demografiche ; ma questo
non gli aveva impedito di preparare — aderendo ad una mia richiesta
— un'interessante raccolta sistematica di materiale statistico pazien--
temente reperito in numerose e varie fonti, locali e nazionali, per
tratteggiare le caratteristiche della struttura economica dei vari co--
muni dell'Umbria, così come essa si è trasformata nel corso di un
secolo determinandone la mutata collocazione nello sviluppo econo-
mico generale: il lavoro — che uscirà postumo nel quadro di ri-
cerche intraprese dall'Istituto di Demografia dell'Università di Roma
per tentare di individuare le interrelazioni tra evoluzione demogra-

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NECROLOGI 191

fica ed evoluzione economica di alcune regioni italiane — era ancora
in bozze al momento dell'immatura scomparsa del Nostro.

L'entusiasmo e la passione con la quale Luigi Bellini si dedi-
cava all'attività didattica e alla ricerca scientifica non erano stati
smorzati, fino agli ultimi mesi, dal male che pur da qualche tempo
doveva averlo subdolamente aggredito.

Nel 1968-69 gli era stato attribuito l'incarico di insegnamento
della demografia presso l'Università di Perugia e nel 1970 si era
impegnato a dirigere, con il contributo del CNR, un gruppo di ri-
cerca di demografia storica. A tale gruppo era stato affidato il com-
pito di effettuare una ricognizione delle fonti archivistiche per la
storia demografica dell'Umbria nell'ambito di un più vasto pro-
gramma coordinato dal Comitato Italiano per lo studio dei problemi
della popolazione. Della raccolta di tale materiale archivistico e
della sua utilizzazione critica egli già da molti anni si interessava,
seguendo con perizia e con amore numerose tesi di laurea di stu-
denti umbri, le quali avevano per oggetto l'evoluzione demografica
di alcuni Comuni della regione per i quali piü ricco era il materiale
conservato negli archivi parrocchiali.

Nel gennaio 1971, quando già ormai le sue forze erano minate,
il Nostro aveva brillantemente sostenuto l'esame di Libera docenza
in Statistica sociale, ottenendo cosi quel riconoscimento accademico
che gli avrebbe potuto aprire ulteriori prospettive e successi. Questo,
invece, fu per lui l'ultimo traguardo: a distanza di pochi mesi, il
29 maggio, egli si spegneva nella sua Perugia che aveva tanto amato :
dove era cresciuto, aveva vissuto e lavorato, dove aveva conosciuto
una donna intelligente e affettuosa con la quale, in piena comunione
di affetti, aveva creato la sua famiglia.

La sua immatura scomparsa lascia un grande vuoto e un pro-
fondo, commosso rimpianto in quanto l'hanno conosciuto : con la
sua bontà e con la sua esuberanza egli si accattivava la simpatia di
chi avvicinava ; con la sua intelligenza e serietà si procurava la stima
di chi lavorava con lui. Il suo attaccamento all'Umbria era un tratto
caratteristico della sua personalità : tratto tanto piü raro oggi che
l'aspirazione delle «élites » intellettuali è quella di integrarsi nelle
metropoli. Con lui l'Umbria ha certo perduto uno tra i suoi piü
attenti studiosi, oltre che uno dei suoi figli più affezionati. Tutti
noi che abbiamo imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo, abbiamo
perduto un caro amico.

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192 NECROLOGI

BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI LuIGI BELLINI

La mezzadria in Umbria dall' Unità alla fine del secolo XIX (Condizioni di
vita dei contadini, loro redditi e consumi), in « Movimento Operaio »,
n. 3-4, maggio-agosto 1955.

L'agricoltura umbra negli ultimi cento anni (appunti per uno studio), in « Cro-
nache Umbre », a. 1, n. 1, 1958-59.

La vita nelle campagne dall' Unità alla fine del secolo XIX, in « Cronache
Umbre », a. 11, n. 2, 1959.

Cattolici e movimento contadino in Umbria agli inizi del secolo, in « Cronache
Umbre », a. tii, n. 2, 1959.

Le rilevazioni delle forze di lavoro, in « Politica ed Economia », a. rm, n. 7,
luglio 1959.

Note per la storia del movimento contadino umbro, in « Rivista Storica del So-
cialismo », n. 7-8, 1959.

Aspetti e problemi economici dell’ Umbria, in « Cronache Umbre », a. r1, n. 4-6,
1959.

Produzione tipografica in campo economico in Umbria dalla fine del ’700 alla
I* guerra mondiale, in «Bollettino della Deputazione di storia patria
per l'Umbria », vol. Lx, 1963.

Appunti per una Storia dell'economia umbra dal 1840 al 1910, in « Bollettino
della Deputazione di storia patria per l'Umbria », vol. LXI, 1964.
L'evoluzione demografica delU Umbria dal 1861 al 1961. Relazione delle ri-
cerche demografiche, nella « Collana di studi per il piano di sviluppo
economico dell'Umbria », contenuta nel volume di Nora Federici e Luigi
Bellini con lo stesso titolo, alle pp. 15-436. Centro regionale per il

Piano di sviluppo economico dell'Umbria, Perugia, 1966.

Movimento pendolare dei lavoratori per alcuni centri dell’ Umbria, nella « Col-
lana di studi per il piano regionale di sviluppo economico dell'Umbria »,
vol. xi, tomo xi, Perugia, 1966.

I licenziati dalla Terni nel 1952 : la loro situazione dieci anni dopo, nella « Col-
lana di studi per il piano regionale di sviluppo economico dell'Um-
bria », vol. xI, tomo x, Perugia, 1966.

Analisi delle possibilità di occupazione offerte in Umbria ai diplomati degli
Istituti Professionali e Tecnici industriali, nella « Collana di studi per
il piano di sviluppo economico dell'Umbria », vol. xr, tomo rx, Perugia,
1966.

Il movimento turistico in Umbria nel periodo 1958-63, nella « Collana di studi
per il piano regionale di sviluppo economico dell'Umbria », vol. xr, tomo
vri, Perugia, 1966.

Appunti per la storia dell'agricoltura umbra negli ultimi 100 anni, in due pun- NECROLOGI 193

tate in « Rivista di Storia dell'agricoltura », n. 1, pp. 12-36, marzo 1967
e n. 2, pp. 120-138, giugno 1967.

Alcune esperienze nelle indagini demografiche per il piano di sviluppo econo-
mico regionale dell' Umbria, in «Rivista Italiana di Economia, Demo-
grafia e Statistica » (Atti della xx Riunione Scientifica della SEEDS
vol. xx, n. 1-4, 1969.

Aspetti statistici della struttura economica dei comuni umbri dal 1861 al 1961,
Istituto di Demografia dell'Università di Roma (in corso di stampa).

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ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 17 APRILE 1971

Presenti : il Presidente prof. Giovanni Cecchini, il Vicepresi-
dente dott. Francesco Santi, il Consigliere prof. Leopoldo Sandri, e
la Segretaria prof. Paola Pimpinelli; assente giustificato il Consi-
gliere prof. Luigi Salvatorelli.

La seduta è aperta dal Presidente alle ore 17, nella sede della
Deputazione.

Si dà per letto e si approva il verbale della precedente adunanza,
e si procede quindi alla trattazione degli argomenti all’ordine del
giorno.

Pubblicazioni — Il Presidente sottopone all’esame e all’appro-
vazione del Consiglio, sotto l’aspetto scientifico-culturale e finan-
ziario, il programma delle pubblicazioni da attuare per il corrente:
anno: il volume contenente gli Atti del Convegno sul Movimento
dei Disciplinati del dicembre 1969, Medaglie perugine dal secolo XV
al XX di Mario BeLLucci, il volume degli Annali tipografici di
Orvieto curato da LuciA TAMMARO CONTI.

Per quanto riguarda la pubblicazione dello Statuto del Comune:
di Perugia del 1279 che si trascina dal 1962 senza giungere all’au-
spicata realizzazione, il Consiglio, udite le informazioni che il Pre-
sidente può dare in proposito, delibera all’unanimità di fissare come
perentorio termine di consegna del lavoro completo il 31 dicembre
del corrente anno; scaduto il quale senza esito la Deputazione si
riterrà sciolta dall'impegno della pubblicazione.

Nei prossimi giorni uscirà il volume LxvII, fascicolo 11 del Bol-
lettino : il Presidente spiega quali difficoltà di ordine tecnico ed ester-
no abbiano determinato il ritardo di alcuni mesi per l’uscita di questo
fascicolo.

Si mostra poi ai membri del Consiglio il nuovo catalogo delle
pubblicazioni in vendita, che si sta ora mettendo in circolazione,
anche per incrementare questa importante voce del bilancio della

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Deputazione; nel catalogo sono stati per la prima volta inclusi
molti estratti, come era stato deciso nella precedente riunione del
Consiglio.

Sede — Il Presidente riferisce al Consiglio su alcuni orienta-
menti che a questo proposito si sono manifestati in seno all'Ammi-
nistrazione Comunale ; il Consiglio é del parere di attendere, in posi-
zione vigilante, ulteriori eventuali sviluppi.

Nuovo Statuto — Il Presidente ricorda che già nella riunione
del 3 aprile 1966 il Consiglio riconobbe la necessità di effettuare una
revisione dello Statuto attualmente in vigore. Considerato che la
prevista ristrutturazione generale delle società storiche in Italia, in
base al progetto di legge elaborato in seno alla Giunta Centrale per
gli Studi Storici, non va per ora verso l'attuazione, si affaccia la
opportunità di procedere a quanto il Consiglio aveva allora prospet-
tato; si discutono singolarmente gli articoli dell'attuale Statuto,
specie per quanto riguarda la definizione delle categorie dei Soci e
le assemblee generali e ordinarie, e si concordano alcune proposte
di modifica che il Consiglio presenterà, per la discussione e l'appro-
vazione dell'intero testo del nuovo Statuto, alla prossima Assem-
blea dei Soci Ordinari.

Esauriti gli argomenti all'ordine del giorno, la seduta é tolta
alle ore 19.30.

La Segretaria Il Presidente
PAOLA PIMPINELLI GIOVANNI CECCHINI

ASSEMBLEA DEI SOCI ORDINARI DEL 18 APRILE 1971

Domenica 18 aprile 1971, alle ore 10 in seconda convocazione,
nella sede della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, il Pre-

sidente prof. Giovanni Cecchini apre la seduta, alla presenza dei

Soci Ordinari Roberto Abbondanza, Ignazio Baldelli, Giulio Battelli,
Alba Buitoni Gatteschi, Umberto Ciotti, Piero Grassini, Franco Man-
cini, Raoul Manselli, Giuseppe Mira, Raffaello Morghen, Ugolino
Nicolini, Adriano Prandi, Leopoldo Sandri, Francesco Santi, Costan-
zo Tabarelli, e della Segretaria Paola Pimpinelli.

Hanno giustificato la loro assenza: Eugenio Dupré Theseider,
Gino Franceschini, Alberto M. Ghisalberti, Massimo Pallottino, Mario
Pericoli, Carlo Pietrangeli, Mario Salmi, Luigi Salvatorelli.
ATTI DELLA DEPUTAZIONE 197

Approvato il verbale della precedente assemblea, su proposta
del prof. Morghen viene inviato. un telegramma di saluto e di augurio
al prof. Luigi Salvatorelli, assente per indisposizione.

Il Presidente propone all'Assemblea, che approva, l'inversione
delle voci all'ordine del giorno, per trattare in primo luogo la discus-
sione e l'approvazione del testo del nuovo Statuto predisposto dal
Consiglio Direttivo, dopo aver constatato che sussiste il numero le-
gale di presenze di almeno quindici Soci prescritto dall’art. 17 dello
Statuto attualmente in vigore.

Si procede all’esame dei primi quattordici articoli, sui quali
intervengono i Soci Morghen, Battelli, Baldelli, Mira, Ciotti. Tali
articoli sono approvati all’unanimità nel testo definitivo.

Il Presidente, in considerazione dell’ora tarda, propone, e l'As-
semblea approva, di rinviare l'esame dello Statuto ad una sessione
pomeridiana, per dar luogo allo svolgimento degli altri argomenti
all'ordine del giorno.

Il Presidente pronuncia la relazione sull’attività svolta nel corso
del 1970 e riferisce sul programma delle pubblicazioni imminenti e
prossime, e cioè : Medaglie perugine dal secolo XV al XX di Mario
BELLuccr, Riformanze del Comune di Perugia del 1266 a cura di
UGgoLIinNo NicoLini, Annali tipografici di Orvieto a cura di Lucia
Tammaro Conti, Il « Diplomatico » del Comune di Perugia dal 1202
al 1260 a cura di ATTILIO BartoLI LANGELI, Statuto del Comune di
Gubbio a cura di AwroNiNo LomBaRDO e FERNANDO COSTANTINI.

Circa l'argomento della integrazione del Consiglio Direttivo, in
sostituzione del p. prof. Giuseppe Abate, il Presidente informa l'As-
semblea che il Consiglio Direttivo propone il prof. Ignazio Baldelli
per la surrogazione. L'Assemblea con plauso approva la proposta.

Parimenti approva la proposta avanzata dal Presidente di eleg-
gere il Socio ordinario Ugolino Nicolini a Revisore dei conti a surro-
gazione di Ignazio Baldelli.

Il Presidente presenta all'esame dell'Assemblea il conto con-
suntivo 1970 con la relazione dei Revisori dei conti e il bilancio
preventivo per il 1971 che, dopo esaurienti spiegazioni fornite su ri-
chiesta di alcuni Soci, vengono approvati all'unanimità.

Il Presidente alle ore 12.45 sospende la riunione che verrà ri-
presa nel pomeriggio alle ore 16.30.

Alle ore 16.30, presenti tutti i sopranominati Soci Ordinari, il
Presidente riapre la sessione proseguendo nella lettura degli articoli
dello Statuto da 15 a 23, su ognuno dei quali é aperta la discussione.

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Nel corso della discussione intervengono i Soci Sandri, Abbon-
danza, Santi, Mira, Battelli, Nicolini, Morghen, Grassini, Prandi. Si
perviene cosi all'approvazione unanime dell'intero testo del nuovo
Statuto, che, a cura del Presidente, verrà inoltrato per l'approva-
zione al Ministero della Pubblica Istruzione unitamente ad una rela-
zione illustrativa. :

Ravvisata la necessità di un regolamento d'applicazione dello
Statuto, l'Assemblea delega il Consiglio a redigere una bozza di re-
golamento da approvarsi dall'Assemblea stessa in una ventura con-
vocazione.

Il prof. Prandi, poiché ritiene di interpretare il pensiero del-
l'Assemblea, rivolge un plauso al Consiglio Direttivo e in particolare
al Presidente per l'operosità dimostrata nell'assolvimento del com-
pito di incrementare l'attività scientifica della Deputazione.

Il Presidente chiude la sessione alle ore 18.

La Segretaria I] Presidente
PAOLA PIMPINELLI GIOVANNI CECCHINI

Segue il testo del nuovo Statuto nella formulazione approvata
dall'Assemblea dei Soci Ordinari.

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER L'UMBHRIA
con sede in Perugia

STATUTO
Art. 1 — La Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, la

cui origine risale al R.D. 27 novembre 1862, n. 1003, che istituiva
la Deputazione di Storia Patria per le Province Toscane e l'Umbria,

.costituita poi con R.D. 27 febbraio 1896, n. 74 — a seguito della

trasformazione della Società Umbra di Storia Patria, a sua volta
fondata il 19 settembre 1894 — ed eretta in Ente Morale con R.D.
22 maggio 1898, n. 426, ha il fine di promuovere gli studi storici
nella Regione umbra.

La Deputazione ha sede in Perugia.

Art. 2 — La Deputazione è composta da Soci Onorari, da
Soci Ordinari in numero di trentacinque, da Soci Corrispondenti in
numero di settanta e da Aggregati senza limitazione di numero. ATTI DELLA DEPUTAZIONE 199

Art. 3 — I Soci Onorari sono scelti fra personalità eminenti,
che possiedano particolari benemerenze nei riguardi della Deputa-
zione.

I Soci Ordinari sono scelti fra i cultori italiani di studi storici
che rechino un notevole contributo all'attività della Deputazione.

I Soci Corrispondenti sono scelti fra i cultori italiani e stranieri
di studi storici concernenti la Regione.

Gli Aggregati sono scelti fra persone che portino interesse agli
studi storici.

Art. 4 — I Soci Onorari e i Soci Ordinari sono eletti dall'As-
semblea dei Soci Ordinari e la loro nomina è approvata con decreto
del Capo dello Stato.

I Soci Corrispondenti sono eletti dall'Assemblea dei Soci Ordi-
nari, e la loro nomina viene partecipata al Ministero della Pubblica
Istruzione.

Gli Aggregati sono eletti dall'Assemblea dei Soci Ordinari, e
la loro nomina ha luogo con provvedimento del Presidente.

Art. 5 — I Soci Ordinari, i Soci Corrispondenti e gli Aggregati
sono tenuti a corrispondere alla Deputazione una quota annuale
nella misura determinata dalla Assemblea dei Soci Ordinari.

Art. 6 — Sono organi della Deputazione :
a) l'Assemblea dei Soci Ordinari ;
b) il Consiglio Direttivo ;
c) i Revisori dei Conti.
Spetta al Presidente della Deputazione presiedere gli organismi
collegiali di cui alle lettere a) e D).

Art. 7 — L'Assemblea dei Soci Ordinari si riunisce in via or-
dinaria una volta all'anno e in via straordinaria su domanda moti-
vata di almeno un terzo dei Soci Ordinari o per decisione del Con-
siglio Direttivo. La convocazione nell'un caso e nell'altro dovrà ef-
fettuarsi con un anticipo di dieci giorni.

Art. 8 — Nelle adunanze l'Assemblea dei Soci Ordinari pro-
cede :
d) all'approvazione dei conti consuntivo e preventivo ;

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200 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

b) all'approvazione ed alle modifiche dello Statuto della De-
putazione ;

c) alla elezione di nuovi Soci;

d) alla elezione del Presidente, del Vicepresidente e dei Con-
siglieri ;

e) alla elezione di tre Revisori dei Conti, che non siano mem-
bri del Consiglio Direttivo.

L'Assemblea inoltre formula proposte relative al programma di

attività scientifica della Deputazione.

Art. 9 — Le adunanze dell'Assemblea dei Soci Ordinari sono
valide in prima convocazione con la presenza di metà piü uno dei
Soci. In seconda convocazione le adunanze sono valide qualunque
sia il numero degli intervenuti.

Art. 10 — Per le deliberazioni relative alle modifiche dello Sta-
tuto occorrerà la metà più uno dei Soci Ordinari rappresentati anche
per delega.

Per la deliberazione di scioglimento e devoluzione del patri-
monio della Deputazione ad altro scopo similare occorre il voto fa-
vorevole di almeno tre quarti dei Soci Ordinari, che possono anche
esprimerlo per lettera.

Art. 11 — L’Assemblea dei Soci Ordinari ha facoltà di no-
minare speciali commissioni con particolari compiti per facilitare il
raggiungimento degli scopi della Deputazione.

Art. 12 — Il Consiglio Direttivo :

a) sovraintende a tutte le attività della Deputazione ;

b) esamina le proposte che interessano gli studi che la De-
putazione ha per compito, e, per mezzo del Presidente, ne riferisce
nelle adunanze ordinarie e straordinarie dei Soci;

c) raccoglie le proposte e prepara la lista dei nuovi Soci da
proporre all'Assemblea dei Soci Ordinari e la deposita, almeno dieci
giorni prima dell’Assemblea stessa, nella segreteria, a disposizione
dei Soci Ordinari ;

d) fa quant’altro ritiene di interesse della Deputazione.

Art. 13 — Il Consiglio si raduna ogni volta che il Presidente
lo reputi opportuno, o che due dei componenti ne facciano richiesta.

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ATTI DELLA DEPUTAZIONE 201

Le deliberazioni del Consiglio sono valide a maggioranza di voti
e con l'intervento di almeno tre membri. In caso di parità prevale
il voto del Presidente.

Art. 14 — Il Consiglio Direttivo è composto da un Presidente,
da un Vicepresidente e da tre Consiglieri, tutti eletti dall’ Assemblea
dei Soci Ordinari con le norme indicate nell’art. 8.

I componenti del Consiglio Direttivo durano in carica quattro
anni e possono essere rieletti.

La sostituzione dei componenti del Consiglio che, per qualsiasi
ragione, vengano a mancare deve aver luogo mediante regolare ele-
zione da parte dell'Assemblea dei Soci Ordinari ed ha effetto sino
al termine del quadriennio.

Il Consiglio Direttivo nomina un Segretario ed un Bibliotecario,
i quali possono essere scelti anche fra i Soci Corrispondenti e restano
in carica per tutta la durata del Consiglio. Ad essi può venire asse-
gnata una retribuzione.

Art. 15 — La nomina del Presidente è approvata con decreto
del Capo dello Stato; quella degli altri componenti del Consiglio
con decreto del Ministro della Pubblica Istruzione.

Art. 16 — Il Presidente, che ha la rappresentanza legale della
Deputazione, convoca le adunanze, le presiede e le dirige, firma gli
atti e cura l’esecuzione delle deliberazioni.

Art. 17 — Il Vicepresidente supplisce il Presidente in caso di
assenza o di impedimento e ne assume le funzioni.

Art. 18 — La Deputazione pubblica il Bollettino, del quale il
Presidente è Direttore responsabile.

La Deputazione indice Convegni di studi storici regionali, che
possono essere tenuti a Perugia o in altri centri della Regione, allo
scopo di estendere e intensificare l’azione che la Deputazione si pre-
figge di svolgere a favore della cultura e dell’incremento degli studi
storici. Generalmente in tale occasione viene convocata l'Assemblea
generale dei Soci.

Art. 19 — La Deputazione provvede alle proprie spese con i
seguenti mezzi :

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202 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

a) sussidi dello Stato, delle Province, dei Comuni;
b) quote e contributi dei Soci;

c) sussidi straordinari di enti vari;

d) vendita delle pubblicazioni.

Art. 20 — I Revisori dei Conti durano in carica un quadrien-
nio e possono essere rieletti.
Due Revisori possono essere scelti fra i Soci Corrispondenti.

Art. 21 — Il Presidente trasmette al Ministero della Pubblica
Istruzione non oltre il mese di gennaio di ogni anno una relazione
sull'attività svolta dalla Deputazione nell'anno precedente, e, dopo
l'approvazione da parte della Assemblea dei Soci Ordinari, il conto
consuntivo e il conto preventivo.

Inoltre invia alla Giunta Centrale per gli Studi Storici una re-
lazione sull'attività svolta.

ADUNANZA DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
DEL 12 LUGLIO 1971

Il giorno 12 luglio 1971, alle ore 16.30, a Roma, in casa del
Consigliere Salvatorelli, il Presidente prof. Giovanni Cecchini apre
la seduta del Consiglio Direttivo, alla presenza dei Consiglieri prof.
Ignazio Baldelli, prof. Luigi Salvatorelli, prof. Leopoldo Sandri, e
della Segretaria prof. Paola Pimpinelli.

Si dà per letto e si approva il verbale della precedente adunanza.
E all'ordine del giorno la rettifica del testo del nuovo Statuto della
Deputazione.

Il Presidente riferisce che, dopo la discussione e l'approvazione
nell'Assemblea dei Soci Ordinari del 18 aprile c.a., egli provvide ad
inviare il testo del nuovo Statuto, corredato di una relazione, al
Ministero della Pubblica Istruzione, per la prescritta sanzione go-
vernativa. Egli sottopone ora al Consiglio le osservazioni formulate
dal Ministero su alcuni degli articoli, e in base a tali osservazioni
vengono riesaminati e discussi, e quindi approvati all'unanimità nella
nuova formulazione, i seguenti articoli :

Art. 1 — In luogo di: «..... la Deputazione di Storia Patria
per le Province Toscane e l'Umbria, costituita poi..... »,

Gate la Deputazione di Storia Patria per le Province To-
scane e l'Umbria, costituita ..... ». ATTI DELLA DEPUTAZIONE 203

Art. 11 — In luogo di: «Il Consiglio Direttivo é composto da
un Presidente, da un Vicepresidente e da tre Consiglieri, tutti eletti
dall'Assemblea dei Soci Ordinari, con le norme indicate nell'art. 8
ande dis varata La sostituzione dei componenti del Consiglio che, per
qualsiasi ragione, vengano a mancare deve aver luogo mediante re-
golare elezione da parte dell'Assemblea dei Soci Ordinari ed ha ef-
fetto 5. »,

«Il Consiglio Direttivo è composto da un Presidente, da un
Vicepresidente e da tre Consiglieri, tutti eletti dall'Assemblea Ordi-
naria dérisoer Ordinarn. s. 1.05.5 0] 1L OON La sostituzione
dei componenti del Consiglio che, per qualsiasi ragione, vengano a
mancare deve aver luogo mediante regolare elezione da parte del-
l'Assemblea Ordinaria dei Soci Ordinari ed ha effetto ..... ».

Art. 17 — Inluogo di: «I Revisori effettivi..... possono par-
tecipare alle adunanze del Consiglio Direttivo su invito del mede-
simo »,

«I Revisori effettivi... ... possono partecipare alle adunanze
del Consiglio Direttivo su invito del Presidente ».

Art. 20 — In luogo di: «La Deputazione provvede alle pro-
prie spese con i seguenti mezzi : a) sussidi dello Stato, delle Province,
dei Comuni ; b) quote e contributi dei Soci; ..... »,

«La Deputazione provvede alle proprie spese con i seguenti
mezzi: a) quote e contributi dei Soci; b) sussidi dello Stato, delle
Province. ‘e?dei Comuni; +... ».

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I] Consiglio delibera quindi di convocare in autunno, presumi-
bilmente nel mese di ottobre, una assemblea straordinaria dei Soci
Ordinari, per la discussione e l'approvazione del testo con le rettifiche
ad esso apportate, cosi che sia possibile proseguire l'iter per la defi-
nitiva ratifica governativa dello Statuto.

Il Presidente a titolo informativo fa presente che a seguito degli
aumenti salariali e del prezzo della carta la « Arti Grafiche Città di
Castello », di cui si serve la Deputazione per la stampa del Bollettino
e delle altre pubblicazioni, ha notevolmente elevato i prezzi.

La seduta è tolta alle ore 18.30.

Il Presidente
GIOVANNI CECCHINI

La Segretaria
PAOLA PIMPINELLI

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204 ATTI DELLA DEPUTAZIONE

PREMIO « ACHILLE BERTINI CALOSSO » 1970

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUDICATRICE

La Commissione Giudicatrice del concorso 1970 per il Premio
«A. Bertini Calosso », nominata dal Consiglio Direttivo della Depu-
tazione di Storia Patria per l'Umbria nelle persone dei proff. Giulio
Battelli, Giuseppe Mira, Adriano Prandi, si è costituita nominando
Presidente il prof. Giuseppe Mira e Segretario-relatore il prof. Giulio.
Battelli, ed ha tenuto tre sedute, nei giorni 23 dicembre 1970, 14.
e 18 aprile 1971.

I Commissari hanno preso in esame i quattro lavori presentati
al concorso, e cioè:

ATriLIO BarToLI LAnGELI, Il « Fondo Diplomatico » e la storia
di Perugia dal 1202 al 1261.

ANTONINO CaLECA, Miniature in Umbria. I. La Biblioteca Ca-
pitolare di Perugia. Firenze, Marchi e Bertolli, 1969.

GIANNA DaRrEGGI, Recupero e riesame di una collezione privata
nei dintorni di Perugia, in «Studi Etruschi », vol. xxxvir, 1969,
pp. 463-486.

HenRI DEsPLANQUES, Campagnes ombriennes. Paris, Colin, 1969.

I membri della Commissione, dopo aver esaminato singolarmente.
secondo la propria specifica competenza i lavori, e dopo matura di-
scussione, formulano collegialmente su di essi i seguenti giudizi :

Bartoli Langeli : Il lavoro, condotto con serietà scientifica e con
buon metodo, merita attenta considerazione, in quanto porta un
contributo positivo alla conoscenza della storia di Perugia relativa.
ad un periodo per cui sono scarse le fonti autentiche.

Caleca : Il lavoro merita il più vivo elogio perché inaugura con un
ragguardevole contributo la pubblicazione di una serie di codici mi-
niati in Umbria. Si auspica che nel proseguire questi studi il Caleca
adotti una maggiore precisazione nella definizione storico-artistica.
delle miniature, maggiore esattezza nell’illustrazione paleografica e.
completezza nella bibliografia.

Dareggi : Si tratta di un breve lavoro su argomenti già in parte:
noti, che denota diligenza di metodo.

Desplanques : È questo un lavoro di ampio respiro, che copre la.
totalità della realtà umbra da un punto di vista ecologico, storico ed. ATTI DELLA DEPUTAZIONE 205

4
zione

economico. Si vale di vasta indagine archivistica, di approfondita
ed intelligente utilizzazione delle fonti bibliografiche e sopratutto di
accurata ricognizione del territorio.

Pertanto l’opera si presenta come lavoro esemplare per tale ge-
nere di ricerca a carattere regionale. La Commissione la ritiene degna
di particolare considerazione.

Sulla base dei giudizi così formulati e dell'esame comparativo
delle singole opere, la Commissione unanime delibera di assegnare
il Premio « A. Bertini Calosso » 1970 all'opera HENRI DESPLANQUES,
Campagnes ombriennes.

La Commissione inoltre si compiace che la memoria del prof.
Achille Bertini Calosso sia legata a così alta istituzione.

Visto, approvato e sottoscritto.

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Perugia, 18 aprile 1971 La Commissione
Giuseppe Mira Presidente

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Fraternite di Disciplinati a Macerata

nei secoli XIV-XV

Giovanni XXII il 18 novembre 1320 proclamó Macerata città
e la elevò a diocesi ». Macerata raccolse così i frutti della sua abile
politica condotta nella lotta tra Papato e Impero. Le affermazioni
in campo amministrativo e politico, nonché la felice posizione geo-
grafica della città favorirono l'aumento demografico; questo pur-
troppo avvenne in maniera disordinata. La città accoglieva non solo
abili commercianti et esperti artigiani, ma diveniva frequentemente
rifugio di numerosi nullatenenti, gente che spesso fuggiva da città
e villaggi colpiti dal terribile flagello della peste. I forenses venivano
accolti in città indiscriminatamente, senza praticare alcuna profilassi ;
tutt'al più, da coloro che provenivano da zone infette, veniva ri-
chiesto un semplice certificato medico ?. Evidenti furono le conse-
guenze : la peste periodicamente tornò a mietere vittime in Mace-
rata. Ricordiamo alcune date tristemente famose a partire dal 1374 :
1377, 1383, 1391, 1430, 1446, 1457, 1485, 1494, 1496, 1499 2).

Se alla peste aggiungiamo la carestia causata oltre che dal non
razionale sfruttamento dei terreni, anche e soprattutto dalle guerre
che infestavano le campagne marchigiane, distruggendo completa-
mente i raccolti, comprendiamo lo stato di prostrazione cui più
volte fu soggetta la città di Macerata ?.

È una costante storica il risveglio del sentimento religioso ad
ogni apparire di gravi calamità. Quello che è sintomatico rilevare è
che a Macerata la stessa autorità civile, in detti frangenti, indice
processioni propiziatorie, fa voti di erigere edicole o chiese in onore
della Vergine, stimola e favorisce l'erezione di fraternite laicali : e
ciò « perché la Maestà di Dio si degni di allontanare i flagelli che
colpiscono la città », secondo un'espressione più volte ricorrente nelle
Riformanze 9. Tale ingerenza del potere civile nel campo religioso è
spiegabile : Macerata, pur essendo sede vescovile, fino al Concilio
di Trento fu governata da vicari, mentre i titolari normalmente ri-
siedevano a Recanati 9.

14

E
210 MARIO SENSI

Delle sei fraternite laicali, erette in Macerata nei secoli xiv e
xv, almeno cinque hanno come causa prossima la peste e per altret-
tante è documentato l'intervento dell'autorità civile ; queste sono :
Fraternitas disciplinatorum s. Mariae de porta, Fraternitas s. Francisci,
Fraternitas s. Francisci, detta pure del Bon Yhesu et beato Berardino,,
Fraternitas sive societas sclavorum eretta sub vocabulo divi Sebastiani,
Fraternitas s. Marie de Misericordia e Fraternitas Corporis Christi.

Delle sopraccennate fraternite almeno tre praticavano la disci-
plina : ci è testimoniato dagli statuti rispettivi per la fraternita di
s. Francesco o del Buon Gesù e s. Bernardino e per quella degli schia-
voni o di s. Sebastiano ; dall'appellativo riferito nelle Riformanze,
nonché dai simboli incastonati nel soffitto della cappella dell’ora-
torio, per la fraternita di s. Maria della porta. Per le altre, fatta ec-
cezione della fraternita del SS.mo Sacramento i cui statuti non men-
zionano la disciplina, mancano testimonianze all’uopo, come del resto.
mancano testimonianze di disciplinati operanti in Macerata durante.
la «grande devozione » del 1260-61, ripetutasi nel 1334 e poi nel
1347-49. Non bisogna dimenticare del resto che per la regione mar-
chigiana mancano completamente documenti sulla « grande devotio »
e fraternite di disciplinati si hanno prevalentemente nel secolo xiv ?.
Problematica è l’individuazione delle cause di questo ritardo ri-
spetto alle restanti regioni italiane. Se non è fuori luogo ricordare
l'opposizione di re Manfredi, allora in lotta con la Chiesa, occorre.
tuttavia precisare che il dominio di Manfredi sulla Marca durò dal
1258 al 1265 e fu oscillante; quindi il ritorno del potere papale,
dopo la morte di Manfredi, dovette certamente eliminare ogni osta-
colo alla diffusione del movimento penitenziale, ma in proposito
mancano assolutamente documenti 9.

Fatta eccezione della fraternita di s. Francesco, totalmente ine-
dita, per le sopracitate fraternite maceratesi si hanno brevi note in
Foglietti 9, Bettucci??, Di Pierro '!! e recentemente in Gentili 19.
Nessun cenno tuttavia sul loro tardo fiorire, sulla singolarità del-
l'intervento dell'autorità civile nell'erezione delle medesime, sulla
loro funzione sociale, nonché infine sul carattere prettamente este-
riore della pratica della disciplina.

Sembra che le fraternite maceratesi, anche quella piü antica,
la Fraternitas disciplinatorum s. Mariae de porta, non siano una

conseguenza, almeno immediata, della «grande devozione»; piut-

tosto nella peste, che periodicamente tornó a mietere vittime nella
città e nelle vicinanze di Macerata, va ricercata la causa prossima
FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 211

della loro erezione. Ad ogni apparire del morbo la città è mobilitata :
l'autorità civile indice processioni propiziatorie, fa voto di erigere
edicole o chiese, promuove nuove fraternite con l'intento di propi-
ziare la maestà di Dio. Un primo esempio ci è fornito dalla delibe-
razione presa nel consiglio comunale dell’8 ottobre 1374. A1 Consiglio
di Credenza il 27 settembre di quell'anno fu proposta la costruzione
di un altare «de novo in episcopatu et ad laudem et reverentiam
beate Virginis Marie celebretur et celebrari faciat pro commune of-
fiium divinum ad dictum altare ad hoc ut mortalitas que nuper
viget in civitate Macerate cessetur intuitu precum, interpoxitionis
beate Virginis Marie coram altissimo nostro Domino divino etc. » 29).
Il consigliere ser Friedelutius Nuctii arrengó che l'altare costruendo
«in episcopatu civitatis Macerate ad pedem unius ex columnis ec-
clesie dicti episcopatus de novo construatur, ex expensis tamen com-
munis, sub vocabulo beate Virginis Marie; et quanto citius fieri
potest expensis communis celebretur offitium divinum per totum
clerum dicte civitatis et etiam fiant processiones et litanie per dictam
civitatem et hoc facto, in subcessivo tempore, anno quolibet et festo
conceptionis beate Virginis Marie de mense !? ad dictum altare ob
reverentiam conceptionis predicte offitium divinum dicatur et ce-
lebretur et commune dicte civitatis Macerate teneatur et debeat
onni anno in dicto festo ad dictum altare pro offerta et oblatione
dare et exhibere de ipsius pecunia duos florenos auri » :9, La proposta
fu approvata dal Consiglio generale l'otto ottobre con 60 voti favo-
revoli e 4 contrari'9. Il 22 dello stesso mese l’altare era ancora in
via di sistemazione, poiché al Consiglio di Credenza, cui il Consiglio
generale aveva demandato piena autorità sul negozio, in quel giorno
si discusse sul modo di reperire il denaro per la costruzione dell’altare
« nuper ordinato » e per gli arredi sacri « pro induendo et coperendo:
ipsum altare » 1°),

Nei predetti documenti nessun cenno a fraternite laicali le quali
avrebbero dovuto partecipare alle processioni propiziatorie ; solo nel
secolo successivo troviamo l'imposizione da parte del Comune alle:
fraternite di partecipare alle funzioni religiose indette dal medesimo
« perché il Signore allontani la peste dalla città ».

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Di tre anni appena posteriore al voto predetto é la prima no-
tizia sulla fraternita di s. Maria della porta. Il 23 agosto 1377 la

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212 MARIO SENSI

fraternita chiese al Consiglio di Credenza l'esenzione dall'imposta
dovuta «quod ipsa fraternitas habet certas possessiones quarum
fructus convertuntur in manutentionem hospitalis dicte fraternita-
tis et pauperum Christi » 19. Questa aveva dunque già in detta data,
la manutenzione dell'ospedale del mercato, di cui tuttavia non co-
nosciamo la data di erezione !'9. Leggo in Morresi sotto l'anno 1376 :
«viene iniziata la formazione dell'ospedale civico », cioè del mer-
cato 29°. Ignoro dove l'autore abbia attinto la notizia, non confer-
mata dalle Riformanze; non é improbabile tuttavia che in detto
anno, durante la peste, l'ospedale fosse stato riattivato.
La mancanza di notizie anteriori sulla Fraternita della porta e
la funzione ospedaliera esercitata dalla medesima, con il conseguente
riconoscimento giuridico, nonché intervento finanziario da parte del
Comune ?? mi spingono a collegare l'erezione di detta fraternita con
la peste e la carestia che contrassegnarono gli anni 1374-1376 *».
La fraternita potrebbe quindi esser sorta con funzioni ospedaliere
in un momento in cui la città era prostrata da gravi calamità. Del |
riconoscimento giuridico da parte del Comune dell'istituzione fa fede
l'intervento finanziario da parte del medesimo ; i pii lasciti dei quali
si ha larga testimonianza nei protocolli dei notai Marino ‘ Brunetti '
e Andrea ‘ Corradutii ' (1383-1399) 2° favorirono certamente lo svi-
luppo della fraternita la cui azione caritativa si svolse per circa un |
secolo, finché nell'ultimo decennio del secolo xv fu assorbita dalla
Confraternita del SS.mo Sacramento allora eretta ?9?.
All’infuori degli accennati lasciti testamentari mancano ulteriori
notizie sulla Fraternita della porta fino al 1427 ?9. .
La mancanza degli statuti non ci permette di precisare se lo
scopo e il centro della vita della compagnia fosse la penitenza nella
specifica forma della flagellazione. Che gli iscritti praticassero la fla-
gellazione non v'é dubbio: oltre l'appellativo «fraternitas discipli-
natorum », ce lo testimoniano i simboli propri dei disciplinati, tra
i quali il caratteristico flagellum, posti sulle chiavi di volta della
cripta di s. Maria della porta *9. Sembra peró che la disciplina non
fosse la devozione, ma una devozione, conferma ne è l'indirizzo ospe-
daliero. |
Ciò che è sintomatico tuttavia rilevare è la laicità dell'istitu- |
zione : una vita religiosa sottratta non solo alla direzione del clero
secolare, ma neppure legata agli ordini mendicanti, pur presenti in
Macerata. Il 27 dicembre 1457 la fraternita rivolse al Consiglio di
Credenza una petizione nella quale si chiedeva conferma delle deci-

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 213

sioni prese dal consiglio generale della fraternita il 4 dicembre dello
stesso anno «super la publica et evidente utilità de la dicta frater-
nita per la conservatione et agumento de la predicta fraternita per-
ché ha de bisogno de molte cose et necessarie per governare la dicta
fraternita »*?. Nella discussione che si tenne nell'oratorio annesso
alla chiesa di s. Maria della porta, il consigliere che arrengó, quanto
alla riforma degli statuti rimase nel vago, minimamente accennó a
problemi di natura religiosa ; quanto poi alle riforme da farsi da
parte di dieci o undici confratelli, queste dovevano essere confer-
mate «per la magnifica communità in ne li consigli oportuni sì che
de rasione vaglia et tenga per li tempi da venire » mentre minima-
mente é menzionato l'ordinario diocesano, cui per diritto spettava
la conferma di ogni innovazione statutaria. L'ipotesi che l'autorità
del vescovo fosse pacificamente accettata, e in tal caso quindi non
sarebbe stato necessario richiedere esplicitamente nell'arengo una
approvazione previa dell'autorità religiosa per le eventuali modifiche
statutarie, non sembra suffragata da alcun documento, anzi l'ifer
seguito dalla Fraternita della porta, cioè la richiesta di conferma degli
statuti fatta al Comune, senza aver in precedenza sentito almeno il
parere dell'ordinario, fu una costante di tutte le fraternite macera-
tesi erette nel secolo xv.

Oltre l'assistenza ai poveri degenti nell'ospedale 29 la fraternita
doveva provvedere pure alla manutenzione degli edifici adibiti al-
l'uopo. Le elemosine e i beni patrimoniali evidentemente non erano
sufficienti a sopperire a tutte le necessità ; per questo sia nel ripiano
del bilancio ordinario, sia per affrontare le spese straordinarie la
fraternita ricorreva periodicamente al Comune ?7,

All’ospedale era annessa una bottega, gestita dalla stessa fra-
ternita, dove si vendevano non solo medicinali, ma condimenti, so-
stanze coloranti e persino profumi. I prodotti, come risulta da un
registro dell’ospedale, finito tra i Camarlinghi della curia, venivano
acquistati alla fiera di Recanati, la grande fiera di merci che prov-
vedeva a tutte le necessità della regione *%,

Quest’attività collaterale della fraternita fu probabilmente ini-
ziata nel 1460, trovo infatti nelle Riformanze di detto anno la deli-
bera di esenzione «a solutione gabellarum » a favore della Fraternita
della porta *!. Tale risvolto economico finì certamente col dare al-
l’istituzione l’impronta di una società commerciale, preludio di una
imminente crisi dell’istituto stesso. Negli anni che seguirono, e in
particolare nel 1485, le fraternite operanti in Macerata erano in

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214 MARIO SENSI

crisi. Tra il settembre e l’ottobre di quell’anno al consiglio comunale
si discusse «de provisione fienda circa malatos et infectos peste et
similiter de fraternitate ordinanda pro civitate Macerate » ® e an-
cora «de fraternitate reformanda et de voto fiendo ad placandam
divinam maiestatem, ut cesset hanc pestem a civitate ista » 29).

Si ignorano le ultime vicende della fraternita di s. Maria. Pro-
babilmente i fraternali, sul finire del secolo xv, si unirono alla Con-
fraternita del SS.mo Sacramento : trovo infatti tra le carte di questa
confraternita che nel 1525 la Fraternita del SS.mo Sacramento aveva
la gestione dell'ospedale di s. Maria della porta *? e tre anni dopo,
in un documento riferito dal Compagnoni, si legge « Confraternitas
s. Marie de porta, sive Corporis Christi » 99).

*ckck

Anche la fraternitas s. Francisci fu probabilmente eretta in
concomitanza della peste che sopravvenne a Macerata nel 1382 e
nell'anno successivo ?*9?, Di detta fraternita, totalmente inedita, pos-
sediamo scarse notizie, tutte provenienti dal menzionato codice 537,
t. 8 della Biblioteca comunale di Macerata, contenente i protocolli
di Marino ‘Brunetti’ e Andrea ‘Corradutii’ (1383-1399). Dal te-
stamento di un certo ‘Ser Colaus natus quodam magistri Alberti
de civitate Macerate ', datato 15 giugno 1383, veniamo a sapere che
esecutori testamentari dei beni del predetto (devoluti tra gli altri
al convento e alla chiesa di s. Francesco, alla fraternita omonima
ivi eretta, nonché ai poveri) erano i confratelli della Fraternita di
s. Francesco, cioè : « Georgium Giberti, Ser Nicolam Bartholomey,
Ser Marinum Soprantii, Petrum Duccioli, Farinatam Nicolutii, Ja-
cobum Baroni... priorem fraternitatis predicte »*?. Una parte dei
beni del testatore dovevano essere impiegati per la costruzione di
un altare, con relativa cappella «sub vocabulo Sancti Dominici »
nella ehiesa di s. Francesco e quivi avrebbero dovuto celebrare le
funzioni i fraternali *9. Altra parte dei beni doveva essere devoluta
«in subveniendo pauperibus mulieribus nubendis ».

Da una particula del testamento emerge l'incertezza della con-
tinuità della fraternita, elemento questo che ci spinge a porne l'ere-
zione intorno a quell'anno o nei mesi che immediatamente lo pre-
cedettero : «si contingnerit — si legge infatti nel testamento — dic-
tam fraternitatem deguastari et annullari, quod absit, substituit ad

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 215

predicta facienda et distribuenda fraternitatem sancte Marie de porta
de Macerata ».

Tre anni dopo, da un altro testamento, datato 31 gennaio 1387,
sappiamo che era priore della fraternita tal Ser Cola Bartholomei,
da identificarsi forse con quel Ser Nicolam Bartholomey sopra men-
zionato ; questi costituì Stefano Petri Juliani tidecommissario del
genitore Pietro, per l’esecuzione del testamento paterno a favore
della Fraternita di s. Francesco 8°).

Né dai sopracitati documenti, né dagli altri lasciti testamentari,
l'ultimo dei quali risale al 1391 4°, risulta che la fraternita praticasse
la disciplina, mentre appare evidente l'impostazione spirituale (la
preghiera comune e l'assistenza comunitaria ai sacri Misteri: con
tali finalità fu voluta l'erezione dell'altare di s. Domenico in s. Fran-
cesco) e l'azione caritativa svolta dai confratelli (devoluzione di
parte delle rendite e delle oblazioni a favore dei poveri e delle zitelle
nubende). Va precisato peró che le notizie sulla Fraternita di s. Fran-
cesco ci provengono tutte dall'unico protocollo sopramenzionato, dove
non solo la Fraternita di s. Francesco, ma neppure la Fraternita di
s. Maria della porta è accompagnata dall'appellativo « disciplinato-
rum», appellativo che del resto troviamo per la Fraternita della
porta solo nelle Riformanze, e per di più, una sola volta *»,

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Dopo il 1391 non si ha piü nessun cenno sulla Fraternita di s.
Francesco, ma è singolare l'erezione di una nuova fraternita sotto
lo stesso titolo e nella medesima chiesa di s. Francesco circa cin-
quant'anni dopo. Il 2 aprile 1447 alcuni cittadini maceratesi chie-
sero al Consiglio generale di Macerata l'autorizzazione di poter eri-
gere una fraternita sotto i titoli del Buon Gesü e del b. Bernardino,
nella chiesa di s. Francesco, «ad ció che lu altissimo Creatore li
piaccia continuamente cessare da questa città la dicta peste et omne
altra adversità » ‘2.

Prima di esaminare la petizione, credo opportuno fare alcune
precisazioni sul culto, a Macerata, del Nome di Gesù, raffigurato da
s. Bernardino da Siena con un unico stemma, nella nota forma tri-
grammatica, con l’intento di sostituire le innumerevoli armi ed in-
segne che dividevano tra loro i cristiani.

Sebbene di persona s. Bernardino non venisse mai in Macerata ‘°,
il culto del Nome di Gesü trovó quivi un ardente apostolo in fra

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216 MARIO SENSI

Giacomo da Monteprandone, meglio conosciuto come s. Giacomo
della Marca. E Macerata fu spettatrice del primo miracolo compiuto, -
nel Nome di Gesù, da s. Giacomo la domenica delle Palme del 1425 49,
Ma allorché tra il 1426 e l'anno successivo si scatenó la lotta contro
il nuovo culto, culminata con il processo di s. Bernardino in Roma 5),
Marino, vescovo di Macerata e Recanati, inviò al Consiglio comunale
di Macerata una lettera con la quale proibì «quod tabula relicta
per fratrem Jacobum ordinis minorum, monstretur populo, prout
factum est hactenus, nisi talis cultus fuerit per Sedem Apostolicam
approbatus »*9. Il Consiglio comunale, su proposta del consigliere
Bartolomeo ‘ser Cole’, il 17 gennaio 1428 decise «quod commune
se non intromictat in hoc, nec aliquam contentionem capiat cum
domino episcopo, cui parere convenit; sed fratres sancti Francisci
dicte civitatis, quibus facta est inhibitio ne dictam tabulam mon-
strent populo, nisi fuerit talis cultus approbatus per Sedem Aposto-
licam, operentur in hoc quod volunt»*?. Atteggiamento dunque
prudenziale da parte del Comune nella lite fra il vescovo e il con-
vento di s. Francesco; tuttavia quanto alla Tavola di proprietà
della comunità stessa il Consiglio decise di non distruggerla, ma di
riporla in luogo sicuro « donec dicta decreta non fuerint declarata » ;.
in attesa cioé di una eventuale ed auspicata autorizzazione da parte
della Santa Sede a praticare detto culto. La politica adottata dal
Comune evidentemente non fu gradita da Benedetto Guidalotti, suc-
cessore di Marino di Tocco, o meglio dal suo vicario Isidoro da Mi-
lano — il Guidalotti mori infatti prima ancora di prendere possesso
della diocesi di Macerata ‘9 — il quale ingiunse al Comune « quod
Tabula Benedicti Jhesu consignetur in manibus dicti domini vicarii,
cum nullum gratius et acceptius fieri posset prefato domino Bene-
dicto cum intendat quod veneratio dicte Tabule non fiat omnino:
nam dicta veneratio non est ab Ecclesia approbata ». Di fronte a
un'ingiunzione cosi precisa il Comune fu costretto a deliberare il 18.
febbraio 1429 «quod dicta Tabula consignetur dicto domino vi-
cario et de ea faciat quidquid vellet » ‘9. Probabilmente però la de-
libera rimase lettera morta. Circa un anno dopo, il 26 giugno 1430,
profittando della sede vacante della diocesi 59), il Comune inviò un
ambasciatore al Luogotenente della Marca «ad rogandum quod di-
gnetur dominatio sua permittere venerationem Tabule Benedicti Jhesu
et quod ipsa Tabula portetur cum aliis reliquiis in processionibus
fiendis occasione pestis, ad hoc ut Deus, sua miseratione, pestem
removeat.a dicta civitate » 9, In quell’anno infatti la città di nuovo

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 217

fu colpita dalla peste 59; solo il monogramma del Nome di Gesù,
per quel senso magico che gli si attribuiva, avrebbe liberato la città
dal terribile flagello : queste le intenzioni non solo del popolino, ma
dei magistrati stessi, dovute a quella superstizione di origine ata-
viea, dalla quale, durante il Medio Evo, erano affetti un po' tutti :
laici ed ecclesiastici, predicatori e pubblico, dotti e analfabeti.

Nel 1446 e nell'anno successivo la peste di nuovo tornó a Mace-
rata e poiché nel 1446, a distanza di due anni appena dalla morte di
s. Bernardino (20 maggio 1444) «fo principiata una chisiola in vo-
cabulo del biato Berardino, longo la ecclesia de san Francisco, ad
cagione che lu altissimo Dio, mediante li pregi del dicto beato Be-
rardino, cessasse la peste, si como per la sua infinita pietà et mise-
ricordia ha facto », «certi cittadini... viri fidelissimi serviduri » il
2 aprile 1447 supplicarono il Comune perché promuovesse « una fra-
ternita in nome del sopradicto beato ad ció che lu altissimo Creatore
li piaccia continuamente cessare da questa città la dicta peste et
omne altra adversità » 5. Sulla supplica il consigliere ser Marco
‘ Bartholomei" espresse parere favorevole e aggiunse : «et similiter
si alii volunt facere alibi fraternitatem, ex nunc sit eis concessa li-
centia » mentre Francesco ' Antonii Colai', altro consigliere, pro-
pose che gli eventuali iscritti sarebbero dovuti essere fedeli alla
Chiesa, procurando anche il bene e la tranquillità della città 5*9. Il
29 aprile dello stesso anno furono approntati i capitoli della frater-
nita e il 9 luglio successivo furono presentati al Consiglio comunale
il quale demandó l’incarico di esaminarli ad una commissione e questa
li approvò il giorno seguente 9. Fecero parte della commissione,
oltre i priori della città, « Manente Guiglelmi, ser Nicolao Dominici,
Bartolomeo ser Cole, ser Juliano ser Laurentii et magistro Pero
Petri malescalco, uno ex prioribus fraternitatis ecclesie sancti Fran-
cisci de dicta civitate »*9. La professione di manescalco, esercitata
dal menzionato priore, come pure la vaga indicazione dei firmatari
della petizione, ci spingono a postulare un carattere popolare della
fraternita. Ma di questa, come del resto delle altre fraternite oggetto
del presente studio, fatta eccezione di quella del SS.mo Sacramento,
non ci sono pervenute le matricole, le quali ci avrebbero permesso
la conoscenza dello stato degli iscritti, nonché il numero.

Come la Fraternita della porta, anche quella del Buon Gesü
aveva la manutenzione di un ospedale, ma «per ricevere li poveri
peregrinanti ». L’opera, auspicata negli statuti, era già in funzione
nel 1448 : il 10 aprile di quell'anno infatti il Consiglio comunale de-

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218 MARIO SENSI

liberó «quod amore Dei debeat dari hospitali Boni Yhesu et pro
dipictura cappelle Boni Yhesu, quantum habuit hospitale s. Marie » *?.

La sede della fraternita era affiancata alla chiesa di s. Francesco,
per cui la fraternita ebbe l'appellativo di s. Francesco, come risulta
dall'intitulatio dei capitoli *9 ; normalmente peró sia nelle Rifor-
manze, sia nei libri delle spese del Comune la fraternita viene indi-
cata con gli appellativi del Buon Gesü, o di s. Bernardino, essendo
stata eretta, come si specifica nel prologo degli statuti « ad laude et
honore de l'altissimo Dio, del Bon Jhesu... et del glorioso beato
Berardino » 59. Per la sede, probabilmente ceduta dal convento di
s. Francesco, dovette sorgere un diverbio tra la fraternita e il con-
vento : trovo infatti nelle Riformanze che, il 10 ottobre 1451, il Con-
siglio comunale deliberò « quod cammera loci sancti Francisci, in
capite reclaustri dicti loci poxita intra et tempore pestis citra, pos-
sessa est et nunc possidetur per fraternales fraternitatis Boni Jhesu,
possideatur in futurum per dictos fraternales, absque aliqua con-
tradictione, reservata tamen voluntate monasterii et capituli, nec
non et dominio dicti loci et conventus sancti Francisci » *9.

Il 4 maggio 1510 papa Giulio II, con breve, univa l'ospedale
del Buon Gesü e i suoi beni al convento di s. Francesco, mentre la
cappella della fraternita, «la quale sporgeva in fora (dalla chiesa
di s. Francesco) tutto il sito che habbiamo al presente avanti la
porta battitora... fu demolita l'anno 1536 del mese d'agosto » °D.

A differenza delle due precedenti fraternite, di questa ci son
pervenuti gli statuti, nella stesura approvata dal Consiglio comunale
il 10 luglio 1447. Il testo, steso in volgare e suddiviso in venticinque
rubriche, precedute da un prologo, non presenta uno speciale inte-
resse statutario ed è privo di citazioni bibliche e patristiche 2.
Dopo un’invocazione a Dio, alla Vergine Immacolata, a s. Giuliano,
patrono cittadino, e al beato Bernardino da Siena, gli statuti ren-
dono omaggio al pontefice Niccolò V, al collegio dei cardinali, con
particolare menzione del card. Domenico Capranica, rettore generale
della Marca anconitana, ma minimamente nominato Niccolò d’Asti,
allora vescovo di Macerata e Recanati *9, Poiché gli associati erano
entrati nella compagnia « per la salute de la sua anima et de’ suoi
de quisto mondo passati », quanto alle pratiche di pietà gli statuti
obbligavano gli iscritti innanzitutto ad accostarsi ai sacramenti nelle
festività di Natale e di Pasqua. L’ordo orationis prevedeva poi la
recita quotidiana di cinque pater-avemarie. Era contemplata pure
la pratica della disciplina, che tuttavia aveva un carattere pretta-

(4 FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 219

mente esteriore : era prescritta dodici volte l’anno, lungo le vie cit-
tadine, durante la questua che si effettuava ogni prima domenica
del mese ed inoltre durante le processioni del Venerdì Santo e del
Corpus Domini. Infine i confratelli erano obbligati a partecipare
alla messa comunitaria nelle grandi solennità e ogni prima domenica
del mese.

Quanto alle opere di misericordia le regole prevedevano, oltre
l'assistenza morale e materiale degli iscritti e il suffragio dei con-
fratelli defunti *9, un apostolato a favore dei pellegrini che fossero
transitati per la città, un’azione caritativa verso tutti i poveri di
Macerata, specie a Pentecoste, la sepoltura di coloro che fossero de-
‘ceduti fuori delle mura cittadine, sussidi dotali per le fanciulle po-
vere, ceri per i defunti poveri, nonché l'assistenza ai frati del conven-
to di s. Francesco qualora fossero malati.

Gli statuti non contengono nessuna parte rituale per la rece-
zione dei novizi; prescrivono soltanto, come conditio, un esame « de
la fede catholica » sostenuto dagli aspiranti dinanzi ai priori.

L'organico, proposto dall’assemblea generale, prevedeva due
priori e un camerlengo, estratti ogni due mesi dal bossolo, in analogia
con la forma di governo della città. Al termine del loro mandato sia
i priori, come il camerlengo erano tenuti «a rendere rasione de la
intrata et l’ossita de loro tempo a tucti li fraternali, o veramente a
quilli regulaturi (una specie di sindaci revisori) che serranno ordi-
nati ».

L’autorità dei priori in seno alla fraternita era insindacabile :
ad essi spettava «procedere, condannare, punire, mitigare, remit-
tere; et pene et penitentie imposte mandare ad executione » fino
ad un massimo di quaranta soldi; inoltre pacificare i confratelli
che eventualmente fossero venuti a diverbio e dare licenza di acce-
«dere al tribunale civile. Per quanto sopra, era nella facoltà dei priori
richiedere l’intervento della forza pubblica, se ostacolati nell’eser-
‘cizio delle loro funzioni. Si tratta quindi di una giurisdizione che so-
istituisce l'autorità giuridica ed è simile al foro speciale largito dal
‘Comune alle Arti.

L'inadempienza delle norme statutarie da parte dei confratelli
implicava pene pecuniarie. che andavano da un minimo di due a
un massimo di quaranta soldi, o la verberazione. La renitenza com-
portava l'espulsione dal sodalizio, preceduta da un cerimoniale assai
significativo : i priori dovevano radunare tutti i confratelli e « an-

dare 'nante casa de quil tale rebello et havere el suo sacco pieno de

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paglia et arderlo ’nante l’uscio de lu predicto non obbediente » (Rub.
XVII).

del consiglio di quattro «guardiani privati», i quali erano tenuti

«de accusare ad essi priori secretamente ciaschuno de la dicta fra-

ternita che contrafarrà » (Rub. xxv). Ai medesimi priori spettava

la presidenza delle riunioni ordinarie e la convocazione di quelle.
straordinarie, per la legalità delle quali era sufficiente la presenza di.
dieci confratelli. Alle compravendite era invece deputato un sindaco

il quale peró poteva agire solo dietro licenza dei priori.

Per fomentare lo spirito di corpo degli associati era prescritta
la consolazione, cioó una colazione annuale «recreandose como fe*
Christo co' li soi sancti discipuli ».

Proibito era il passaggio ad altre confraternite ; gli associati
potevano mantenere tuttavia legami con le corporazioni delle arti.

cui in precedenza erano legati.

La nota di maggior rilievo della fraternita, oltre il foro speciale

goduto dai priori, è il suo carattere eminentemente laico, carattere
del resto comune pure alle altre fraternite disciplinate di Macerata.

Negli statuti nessuna menzione del vescovo locale, né le stesse Ri-
formanze accennano ad approvazioni previe o successive dell’istitu-

zione da parte dell'autorità religiosa. Dalla rubrica «de fratribus
infirmis subveniendis » si puó dedurre un certo rapporto tra i frati
di s. Francesco in Macerata e la fraternita, senza tuttavia poter in-

dividuare l'apporto dato dai medesimi francescani alla spiritualità.

dell'istituzione.

Verso la metà del secolo xv operavano in Macerata due frater-
nite laicali : la Fraternita della porta e quella del Buon Gesù, prov-
vedendo rispettivamente all'ospedale del mercato e all'ospizio dei
pellegrini. Tuttavia né il comune, né l'iniziativa privata avevano
provveduto alla costruzione di un lazzaretto per appestati, pur cosi
necessario ; cosicché, durante la moria, in mancanza di un'apposita
organizzazione, il comune era costretto, volta per volta, ad assol-
dare persone miserabili disposte a fungere da monatti. Ma allorché,
in concomitanza alla presa di Costantinopoli, intere comunità illi-
riche, provenienti dalla Slavonia e dall'Albania, si riversarono sulle

coste italiane, spingendosi poi nell'entroterra, si ha notizia di molti.

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 221

comuni della Marca che costrinsero detti schiavoni e albanesi ad
esplicare le mansioni di monatti 99),

Per quanto riguarda Macerata le Riformanze raramente anno-
tano la presenza di illirici prima del 1453 *9 ; dopo detto anno se
ne ha invece larga testimonianza *? e nel 1458 la comunità degli
schiavoni, ivi residenti, doveva essere ben consistente se quaranta
€ oltre schiavoni erano disposti a costituire una fraternita laicale *9,

E ben noto come durante il Medio Evo tutte le funzioni della
vita sociale erano informate al principio corporativo ; e mentre agli
inizi l'adesione fu libera, successivamente le leggi comunali la re-
sero obbligatoria. Un numero cosi ragguardevole di illirici in Mace-
rata postulava pertanto l'erezione di una congregazione allo scopo
di inserire i singoli membri nel quadro sociale. L'iniziativa fu presa
dal sacerdote Domenico * Pugnecte ', canonico del Duomo e cappel-
lano della comunità *9, quindi arciprete di s. Giorgio *9».

I] 5 marzo 1458 al Consiglio di Credenza si discusse «super
petitione domini Dominici Pugnecte petentis quod communitas vellet
concedere certis sclavis ut possent facere unam fraternitam s. Marie
de Misericordia et nollent quod dicti fraternales possint capi pro
manuvoltis; qui sclavi sunt numero quatraginta et ultra et dicti
sclavi dicunt quod alii qui introire nolunt dictam fraternitam sol-
vent in comuni bolonenos quinque pro quolibet» ?). Su proposta
del consigliere ser Marco ' Bartholomei' la petizione fu approvata
con 68 voti favorevoli e 3 contrari, a condizione « quod solvat qui-
libet ipsorum de dicta fraternita in comuni tres bolonenos pro quo-
libet » *2,

Le Riformanze sfortunatamente non conservano gli statuti della
fraternita, né ci forniscono ulteriori notizie sulla medesima, all'in-
fuori di una petizione fatta dai confratelli allo scopo di ottenere
l'autorizzazione a costruire il campanile per la piccola chiesa della
Misericordia, autorizzazione che fu concessa con delibera del 18 ot-
tobre 1458 e allo scopo il Comune si impegnò a fornire trecento mat-
toni ?9,

Ufficialmente la richiesta di erigere una fraternita era stata
fatta dagli schiavoni tramite don Domenico, ma non è improbabile
che l'iniziativa fosse partita dallo stesso comune; si spiegherebbe
così quel «capi pro manuvoltis », cioè quel costringere gli schiavoni
ad associarsi '9. Fine della fraternita era la custodia e il culto della
chiesa della Misericordia, di quella chiesa cioè che era stata eretta
in un sol giorno a seguito della delibera comunale presa il 3 agosto
222 MARIO SENSI

1447 «ut precibus benedicte Marie Virginis pestis que viget in ci-
vitate ad presens cesset» '9. La chiesa probabilmente era stata of-
ferta al vescovo e quindi riscattata dal comune prima del settem-
bre 1457, dietro il versamento di due ducati, tramite don Domenico
‘ de Pugnectis ' *9, Sembra però che almeno nelle intenzioni del co-
mune, oltre una finalità spirituale si attendeva dalla fraternita un
servizio sociale : l'assistenza e l'eventuale sepoltura degli appestati.
Ma di ció la documentazione tace. Sta di fatto che breve fu la du-
rata della fraternita. Il 4 marzo 1461 il Consiglio comunale deliberò

di trasferire altrove la piccola chiesa della Misericordia, onde for-

mare una piazza di fronte all'episcopio *?. Le Riformanze tacciono

sull'esecuzione o meno della predetta delibera, ma è significativo ri-

levare una diminuzione, intorno a quell'anno, del culto verso la
Vergine della Misericordia : sarebbe stata altrimenti problematica

una delibera di tal tenore; e probabilmente la fraternita si era già

sciolta.

La mancanza degli statuti, come sopra è stato accennato non

ci permette di stabilire se i confratelli praticarono la disciplina, ma

a somiglianza della Fraternita del Buon Gesù e di quella di s. Seba-
stiano, di cui appresso, è probabile che tra le devozioni fosse contem--

plato pure l'esercizio della disciplina.

>

La mancanza di una profilassi adeguata, come più volte è stato»
ripetuto, fece sì che la peste periodicamente riapparisse in città.
Vero è che ad ogni sentore del morbo il comune eleggeva deputati

di vigilanza, vietava ai medici condotti di allontanarsi dalla città.

e proibiva l'ingresso in città ai forestieri 7. Ma dette precauzioni
erano insufficienti. Nonostante le precedenti morie, nel 1463 la città
non aveva ancora un suo lazzaretto. Il 4 dicembre di quell’anno al

Consiglio di Credenza fu stabilito « quod modus dandus pro accon-

cimine unius hospitalis pro amorbatis veniat in generali» ?9. Sei
giorni dopo il Consiglio generale demandó piena autorità ai priori

«super actatione unius hospitalis ubi possint stare infirmi, casu quo:

contaminaretur » 8°).

Nel frattempo si susseguirono, con straordinaria celerità, de-

libere di espulsione, «timore pestis », degli albanesi e degli schia-
voni, cui era attribuita la diffusione del morbo 81).

Nel 1485, 1°11 settembre il Consiglio di nuovo tornò a discutere:

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 223

«de provisione fienda circa malatos et infectos peste et similiter de
fraternitate ordinanda pro civitate Macerate » *9, Quattro giorni do-
po al Consiglio generale il consigliere ser Giovanni Battista ‘ser
Marci' propose che i priori, unitamente a don Marco, al Guardiano
della chiesa di s. Maria della Pietà «reforment, sive de novo faciant
unam scholam, sive fraternitam de civibus Macerate qua ordinata
ex voto ut Deus et gloriosa Virgo Maria cesset hanc pestem a civi-
tate ista » *9. Il 23 settembre al Consiglio di Credenza si tornò di
nuovo a parlare dell'erezione di una nuova fraternita, ma prima si
sarebbero dovuti riunire i vari ospedali cittadini, secondo la volontà
del pontefice *9. Evidentemente la riunione degli ospedali era mo-
tivata dalla loro non funzionalità, concomitante alla crisi delle fra-
ternite maceratesi operanti in tale settore.

Il 15 ottobre 1486 il consigliere Francesco ‘ser Iohannis ' tornò
di nuovo a proporre la costituzione di una fraternita « quod habeat
curam s. Marie de Fonte et hospitalium omnium »; nel frattempo
però gli ospedali maceratesi si sarebbero dovuti ridurre a due : evi-
dentemente uno adibito per le malattie non infettive, l’altro per gli
appestati *9. E il lazzaretto era stato edificato presso la chiesa di
s. Maria della Fonte, posta a circa un chilometro dalla città, dopo
che l’immagine della Vergine, ivi dipinta, aveva cominciato ad operar
miracoli (18 ottobre 1469) 89).

La nuova fraternita doveva essere eretta «ad honorem glo-
riose matris Marie, sancti Rocchi et sancti Sebastiani ». E ben noto
come questi due santi, durante il Medio Evo, svolsero il ruolo di
protettori contro la peste. In Macerata, mentre il culto verso .s.
Rocco si sviluppò successivamente a detta data *?, il culto verso
s. Sebastiano si era intensificato a partire dalla seconda metà del
secolo xv. Il 16 ottobre 1462 il Consiglio comunale deliberò di pa-
gare a Venanzo, arcidiacono del Duomo, le spese fatte « pro labo-
rando pannum sancti Sebastiani, videlicet in auro, in seta, seu se-
rico et refe et aliis rebus » *9 ; e per le spese sostenute il 20 gennaio
1463, per la festa in onore del santo, don Domenico ' Pugnecta '
ricevette dal Comune tre bolognini per sé e otto per i sacerdoti in-
\ tervenuti e per la cera 89). Nel 1482 poi la chiesa di s. Agostino venne
| dotata dall'agostiniano P. Antonio Ciminella di una notevole reli-
quia di s. Sebastiano, un braccio; il che evidentemente inten: ificó
il culto verso il santo *?9. Infine, quasi contemporaneamente alla
decisione del comune di erigere una fraternita in onore di s. Seba-
stiano e di s. Rocco, fu presa l'iniziativa da parte di alcune pie

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224 MARIO SENSI

donne di costruire « unam capellam in qua depingi volunt imaginem
et figuram s. Sebastiani et s. Rocchi ». All'uopo, il 28 gennaio 1486,
le pie donne avevano chiesto ed ottenuto un contributo dallo stesso
Comune 9).

Si ignora quando la nuova fraternita, comunemente detta di
s. Sebastiano o degli schiavoni, effettivamente si costitui e se, fin
dagli inizi, fu composta da schiavoni.
rono nella chiesa di s. Maria della Fonte, ma pochi anni appresso
gli iscritti chiesero ed ottennero di trasferirsi in s. Maria della Mi-
sericordia. Infatti dietro richiesta del p. Matteo da Sulmona, priore
di s. Agostino, il 2 gennaio 1491 il Comune, su proposta del consi-
gliere Giacomo di Simone, concesse al convento di s. Agostino l'an-
nessa chiesa della Misericordia «in venerationem fraternitatis sancti
Sebastiani » ??).

La fraternita, sebbene già operante, non aveva ancora i propri
statuti; questi furono stesi solo il 5 agosto 1493 ed approvati dal
Consiglio comunale il primo settembre dello stesso anno °°).

Scrive il Bettucci che la Fraternita di s. Sebastiano, alla quale
con i padri agostiniani era passata la custodia della chiesa della
Misericordia, decadde verso la metà del secolo xvi e fu sostituita
il 6 maggio 1574 dalla Confraternita delle Grazie «la cui principal
cura fu il culto divino in detta chiesa, la conservazione e l’augumento
di essa et insieme de tutte l'opere della misericordia » *9.

Gli statuti della Fraternita di s. Sebastiano, suddivisi in 23 ru-
briche, ripetono, in più luoghi alla lettera, quelli della Fraternita
del Buon Gesù ; se ne distinguono soltanto per una maggiore sem-
plicità : le norme sono ridotte infatti all'essenziale e mancano di
qualunque riferimento biblico. Elemento caratteristico, preludio della
scomparsa imminente della disciplina e segno dell'orientamento delle
successive fraternite maceratesi verso nuove forme di devozione, é
la non obbligatorietà della flagellazione. Mentre i confratelli del
Buon Gesü erano tenuti ogni prima domenica del mese alla messa
comunitaria e alla disciplina, pur lungo le vie della città, i confra-
telli di s. Sebastiano, nelle stesse domeniche, erano tenuti soltanto
alla messa comunitaria (Rub. i); solo durante le processioni del
Corpus Domini e del Venerdi Santo gli statuti di s. Sebastiano pre-
vedevano, sotto forma di consiglio, che « quilli fossero apti ad darse
la disciplina et frustarse, con devotione lo debbia fare» (Rub. iv,
vil). La stessa disciplina compare una sola volta tra le pene commi-

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e] FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 225

nate ai trasgressori degli statuti: sono previste, per il resto, esclusi-
vamente pene pecuniarie che vanno da un minimo di due a un mas-
simo di quaranta soldi.

Quanto all'organico, come nella Fraternita del Buon Gesù, erano
previsti due priori, un camerlengo e un sindaco le cui cariche dura-
vano due mesi continuati. Nessuna menzione invece di ospedali
affidati alla cura dei confratelli; quanto alle opere di misericordia
gli statuti prevedono esclusivamente, oltre l'assistenza mutua e il
suffragio dei confratelli defunti, un'azione caritativa verso i padri
agostiniani «quando alcuno frate del conventu... stesse admalato
et infirmo ». Predomina invece negli statuti l'aspetto cultuale este-
riore e ragione delle fraternite a partire da questo momento diverrà
la partecipazione alle solenni processioni : lo spirito della « Devotio »
€ ormai troppo lontano.

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Dai documenti sopra riferiti traggo le seguenti conclusioni :

1 — A Macerata mancano testimonianze sui movimenti pe-
nitenziali degli anni 1260-61, 1334, 1347-49. Il primo documento
della più antica fraternita di disciplinati operanti in città, la Fra-
ternita di s. Maria della porta, risale al 23 agosto 1377.

2 — Delle sei fraternite laicali erette in Macerata, tra la se-
conda metà del secolo xrv e la fine del secolo xv, almeno cinque
hanno come causa prossima la peste e altrettante sono dovute al-
l'intervento dell’autorità civile. L'azione di supplenza da parte del
comune trova la sua giustificazione, oltre che nella crisi della Chiesa
maceratese, anche e soprattutto nelle finalità sociali perseguite dalle
confraternite.

3 — Disciplinati erano i confratelli di s. Maria della porta,
del Buon Gesù e di s. Sebastiano. Si ignora se anche quelli di s. Fran-
cesco e di s. Maria della Misericordia praticassero la disciplina. Questa
tuttavia aveva un carattere prettamente esteriore, i fratelli si disci-
plinavano non nell’intimità dell’oratorio, ma lungo le vie cittadine
in occasione delle solenni processioni e della questua mensile, e la
pratica venne meno sul finire del secolo xv. Mentre i capitoli della
Fraternita di s. Sebastiano, approvati dal comune il primo settembre
1493, ancora prevedono la disciplina, ma la rendono facoltativa,
quelli della Fraternita del SS.mo Sacramento, approvati dallo stesso
comune tre anni dopo, non l’accennano minimamente. Solo dopo il
rinnovamento religioso post-tridentino la pratica della disciplina sarà

15
226 MARIO SENSI

ripresa, ma unicamente dall'Oratorio della beatissima Vergine Ma-
ria, eretto in Macerata il 10 settembre 1610 *».

4 — L'azione ospedaliera fu concomitante all'erezione delle
fraternite ; gestivano ospedali: la Fraternita di s. Maria della porta.
(ospedale del Mercato), la Fraternita del Buon Gesù (ospedale dei
pellegrini), la Fraternita di s. Sebastiano (il lazzaretto di s. Maria
della Fonte, almeno inizialmente) e la Fraternita del SS.mo Sacra-
mento (ospedale del Mercato); da qui la funzione sociale ricono-
sciuta dal comune mediante l'approvazione dei rispettivi statuti,
nonché l'elargizione di denaro pubblico a titolo di elemosina, l'esen-
zione dalle tasse sui legati e donazioni, l'esenzione dalle gabelle e
soprattutto il riconoscimento del foro speciale, già goduto dalle cor-
porazioni d'arte e mestieri.

5 — E sintomatico infine rilevare come a Macerata momenti
di tensione spirituale abbiano dato vita a nuove fraternite le cui
fondazioni si susseguirono a breve distanza di tempo, ma la cui vita
tuttavia fu di breve durata. Le istituzioni che avevano reclamato
l'autonomia nei confronti della giurisdizione vescovile, dopo l'ondata
di entusiasmo, mancando di una solida spiritualità, caddero, attra-
verso l'inosservanza delle regole, nell'oblio.

ManRIO SENSI

NOTE

1) Macerata, Archivio di Stato (d'ora in poi ASM), Fondo priorale, perg. A.

®) Vedi E. BeTTUCCI, La chiesa di Nostra Signora della misericordia e la
sua devota immagine, Macerata, G. Ilari, 1897, pp. 10, 17.

?) Oltre le Riformanze del Comune di Macerata (ASM, Fondo priorale,.
Riformanze — d'ora in poi, Riformanze —) 2, cc. 60v-61 ; 3, cc. 14v-16 ; 5,
cc. 116v-117 ; 15, c. 67v ; 23, c. 196 ; 29, c. 339; 44, c. 236 ; vedi pure R.
FoGLIETTI, Conferenze sulla storia medioevale dell'attuale territorio maceratese,.
Torino, A. Baglione, 1885, ad annum ; G. De Minicis, Cronache della città
di Fermo, Firenze, M. Cellini e G., 1870, p. 132, n. 48 ; M. LEoPARDI, Annali
di Recanati con le leggi e i costumi degli antichi recanatesi, inoltre memorie
di Loreto, 1, Varese, La tipografica, 1945, p. 185.

4) Vedi ad esempio Riformanze, 3, cc. 14-16v. Sulla carestia che imper-
versó in Macerata tra il 1490 e il 1502 vedi M. SENsr, Tre monti frumentariî
del secolo X V, in « Studi maceratesi », v (1971), pp. 294-295.

5) O. GENTILI, Macerata sacra, Roma, Herder, 1967?, pp. 26-27.

*) Vedi Riformanze 2, c. 61 ; 5, cc. 116v-117 ; 23, c. 196.
(4

FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 227

") Sulle fraternite di disciplinati operanti nelle Marche vedi: A. Zon-
aur, Documenti storici fabrianesi. Capitoli della fraternità dei disciplinati di
Fabriano, Fabriano, Tip. Sociale, 1879 ; G. GrIMALDI, I capitoli della fraternità
di S. Croce d'Urbino, in «Le Marche », v (1905), pp. 256-273 ; 324-328 ; v1
(1906), pp. 65-96 ; 222-234 ; C. Dr PieRrRo, 7 disciplinati di S. Giacomo di
Recanati e i loro statuti, in « Atti e memorie della regia Deputazione di storia.
patria per le provincie delle Marche », Terza serie, rrr-rv (1923), pp. 44-70 ;
G. M. MonTI, Le confraternite medievali dell'alta e media Italia, 1, Venezia,
La nuova Italia, 1927, pp. 221-223 ; F. Rossi, Memorie ecclesiastiche di Ur-
bania, 1, Urbania, Scuola tipografica Bramante, 1936, pp. 271-296 ; A. M.
TERRUGGIA, Un’indulgenza a favore della Confraternita della Santa Croce di
Ascoli Piceno, in «Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Um-
bria », LXVII (1970), pp. 233-37.

*) La problematica è affrontata in C. Dr PIERRO, op. cit., pp. 46-48.
Vedi inoltre G. M. MONTI, op. cit., 1, pp. 221-223; R. MonGHEN, Raniero
Fasani e il movimento dei disciplinati del 1260, in « Il movimento dei disci-
plinati nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia, 1260) », Perugia, 1962,
p:937; :

*) R. FOGLIETTI, op. cit., pp. 418, 526.

IM),E BETTIECGBtODERCIDS p 3sn31:6:22p3/10;*n:2353:p31 1155145:51055 0163
28, 46.

11) C. Dr PrERRO; op. cit., p. 48, n. 2, p. 52, n. 3.

12) O. GENTILI, 0p. cit., pp. 288-290.

13) Riformanze 2 (1373-1374), c. 60.

4) Ibidem, c. 60v : segue « decemb. » espunto con una linea trasversale.

15) Ibidem, cc. 60v-61.

16) Ibidem, cc. 64v-65.

1?) Ibidem, cc. 70v-71v. Il voto comunale di erigere un altare in onore
della Vergine, perché cessi la peste, è un precedente singolare del successivo
voto fatto dal medesimo comune durante la peste del 1447. In quell’anno
il consiglio comunale decise di erigere in un sol giorno un piccolo tempio in
onore della Vergine della Misericordia « ut precibus benedicte Marie Virginis
pestis, que viget in dicta civitate ad presens, cesset » [Riformanze, 22 (1444-
1447), c. 86v]. Inspiegabilmente l'episodio fu ignorato dal BeTTUCCI autore
del più volte citato studio sulla chiesa della Misericordia, come del resto lo
è stato da tutti gli storici maceratesi.

18) Riformanze, 3 (1377-1378), c. 32v : A margine « Petitio fraternitatis ».
« Vobis dominis... potestati et prioribus civitatis Macerate exponitur pro
parte fraternitatis disciplinatorum sancte Marie de porta de civitate Mace-
rate quod ipsa fraternitas habet certas possessiones, quarum fructus conver-
tuntur in manutentionem hospitalis dicte fraternitatis et pauperum Christi,
quod Dei amore, dicte Virginis Marie, domini nostri Jesu Christi confirmare
placeat et vellitis quod in solutione dativarum possessionum dicte frater-

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228 MARIO SENSI

nitatis et hospitalis dicta fraternitas non gravetur. Que possesslones sunt in
appretio .x. librarum etc. ». Il testo, con alcune varianti fu già pubblicato
da C. Dr PiERRO, op. cit., p. 52, n. 3.

19) Si legge nel testamento del medico Paolo ' Spenendei', rogato in
Macerata il 16 settembre 1321, tra gli altri lasciti: «in fabrica cuiuslibet
ecclesie, carceri et ospitali civitatis Macerate .1im. solidos » Roma, Archivio
di Stato, Pergamene di Maceraía, cass. 71, n. 1. Dalla particula non si puó
tuttavia senz'altro dedurre, come fece E. LoEvison (Sunti di pergamene
marchigiane conservate nell'Archivio di Stato di Roma, in « Atti e memorie
della Deputazione di storia patria per le Marche ». Terza serie, r1 (1918),
p. 281) che l'ospedale menzionato fosse quello del mercato. Il CoMPAGNONI
(Macerata, Biblioteca comunale, t. 8, f. 135) ripreso dal FOGLIETTI (op. cit.,
p. 256) fa risalire la data piü antica dell'ospedale del mercato al 1390 ; trat-
tasi evidentemente dell'appellativo, non dell’istituzione.

2) V. MoRRESI, Cronache maceratesi dal MCXII al MCM XII, Macerata,
P. Colcerasa, 1912, p. 13.

21) A seguito della petizione sopra menzionata il Consiglio generale il 29
agosto 1377 stabili « quod dicta petitio admictatur et fiat eis prout in eadem
petitione continetur. Et ex nunc a solutione collectarum pro appretio decla-
rato in petitione predicta pro futuro tempore dicto communi minime teneatur
fraternitas supradicta et hospitale predictum omni modo et iure quibus me-
lius possumus eundem hospitale et fraternitatem totaliter liberamus et vo-
lumus esse liberas et exentes pro appretio supradicto in petitione contento »
(Riformanze, 3, c. 35v).

?) In una supplica, fatta nel 1377 al Consiglio di Credenza, si afferma
che messer Catalano fu podestà al tempo della carestia dell'anno precedente :
Riformanze, 3 (1377-78), c. 14, 16v.

3) Macerata, Biblioteca comunale, Fondo Compagnoni, Ms. 537, t. 8,
c. 17: «Domina Lippa uxor Francisci Venture de civitate Macerate... re-
liquit... unam faculam hospitali ecclesie s. Marie de porta », 25 aprile 1383 ;
c. 22: «Ser Colaus magistri Alberti » nell'evenienza che la Fraternita di s.
Francesco si fosse sciolta «substituit ad predicta facienda et distribuenda
fraternitatem s. Marie de porta de Macerata, cui fraternitati s. Marie reliquit
pro eodem labore et amore Dei relictum factum supradicte fraternitati s.
Francisci, quolibet anno (sul legato e sulla fraternita, vedi Appendice doc. 1),
15 giugno 1383 ; c. 25v, « Antonius Cecchoni de Macerata reliquit ... hospi-
tali ecclesie s. Marie de porta decem libras denariorum quas expendi iussit
pro lecto, seu aliis pannis necessariis pauperibus existentibus in dicto hospi-
tali », 1° luglio 1383 ; c. 36, « Nobilis vir Bonconte Roggerii de Molgliano . . .
reliquit fraternitati ecclesie s. Marie de porta duos cereos quatuor librarum
cere pro quolibet ipsorum cereorum », 12 luglio 1383 ; c. 40v, « Domina Mor-
bidutia... reliquit fraternitati s. Marie de porta .xx. solidos denariorum »,
26 luglio 1383 ; c. 87v, « Raynaldus Morici de Gualdo... reliquit fraternitati

{dl FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 229

s. Marie de porta viginti solidos denariorum et una libra candelarum » 25
febbraio 1387 ; c. 121v, « Vanna uxor quondam Ferri de Bononie . . reliquit
fraternitati s. Marie de porta decem libras denariorum » 25 febbraló 1388,

Ulteriori lasciti alla fraternita per gli anni 1390-91 a cc. 135, 145, 147.
163, 169, 170, 176.

^) Sulla confraternita del SS.mo Sacramento che fin dal 19 giugno 1494
contava degli aggregati e nel maggio del 1496 presentó al Consiglio di Cre-
denza lo statuto per la relativa approvazione vedi O. GENTILI, Op. cit., pp.
289, 298-301 ; inoltre Capitoli della venerabile compagnia del SS.mo Sagra-
mento della illustre città di Macerata, Macerata, Sebastiano Martellini, 1607.

2) Al Consiglio di Credenza la fraternita presentó il 9 giugno 1427 la
seguente petizione: «Supplicatur humiliter pro parte prioris et sindici fra-
ternitatis s. Marie de porta de civitate Macerate quod cum ipsi pro comodo
et utilitate hospitalis, honoreque et decore civitatis facere vellent logias
ante hospitale eorum, situm in mercato communis, recto tramite quantum
durat hospitale et hoc potius sit ad hornamentum civitatis, quam ad inco-
modum alicuius, dignetur vestra magnificentia concedere eisdem pro dicto
hospitale licentiam fabricandi et logiam construendi iuxta alias logias, sive
trasannas dicti hospitalis et cum ad honorem Dei sint, petunt sibi concedi
de gratia speciali », Riformanze, 14, c. 78. La licenza fu concessa in data 22
giugno (Ibidem, c. 80). Cfr. FOGLIETTI, op. cit., p. 256.

2) R. FOGLIETTI, Guida di Macerata e dintorni, Macerata, V.C.T., 1905, p. 14.

*) Riformanze, 29 (1456-1459), cc. 234v-236. Vedi Appendice, docu-
mento rr.

28) Per mancanza di documenti non è possibile precisare la capienza
dei posti letto dell'ospedale, né i generi di malattie ivi curate. Da una deli-
bera del Consiglio comunale veniamo a sapere che tanto l'ospedale della
porta, quanto quello del Buon Gesü, di cui appresso, prendevano cura anche
degli esposti (Riformanze, 31 (1461-62), c. 177v).

2°) Il 15 luglio 1447 la fraternità presentò al Consiglio di Credenza la
seguente petizione: «Suplicase umelemente per parte de li vostri minimi
servituri priori et homini de la fraternita de sancta Maria de la porta expo-
nenti como loro abbiano determinato co’ l'aiuto deddio reidificare lu spidale
del merchato ove abelmente possono stare li poviri homini che Anno ad ve-
nire nel dicto loco et questo fanno per honore et belleza de la ciptà et anche

che adcció che l'altiximo Dio se dingne per sua misericordia et pietà levar

via questa mortale peste. Per tanto supplica a le V. M. S. se digne voler fare
a la dicta fraternita qualche adiuto, si che possa mectere ad esecutione la
loro bona voluntà et servire el dicto spidale et darlli perllamore deddio et de
Sancta Maria benedicta ducati .x. piü o mino, secundo serrà piacero de li
S. V. a le quale continuamente se erecomanda » (Riformanze, 22 (1444-47,
cc. 80v-81v). La petizione veniva accolta, su proposta del consigliere Rodol-
finus ser Petri, con 60 voti favorevoli e uno contrario (ibidem, c. 82). Pro-

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230 MARIO SENSI

babilmente peró il Comune non versó subito la somma, per questo il 24 no-
vembre successivo Bellomo, priore della fraternita, tornó di nuovo a chiedere
di persona in Consiglio « quod placeret huic comunitati dare et concedere
hospitali sancte Marie de dicta civitate pro reparatione ipsius hospitalis et
amore Dey aliquem florenum etc. ». Con 27 voti favorevoli, nessuno contrario,
il Consiglio stabili « quod ex nunc, dicto hospitali, amore Dey, sit datum et
concessum ducatos decem per istum commune, ad rationem .xr. bolonenorum
pro ducatu » (Riformanze, 24 (1447-1448), c. 64v). Al priore Bellomo sopra
menzionato appartengono forse quegli « Acta Bellomi ser Jacobi et Marci
Antonii priorum fraternitatis s. Marie de porta» stipulati per concedere in
enfiteusi alcuni terreni «ex quibus modica utilitas videtur hospitali resul-
tare... cupientes dicti hospitalis conditionem facere meliorem », ASM, Fondo
Confraternita SS.mo Sacramento, n. 251 secc. xv-xvi. Altra elargizione, egual-
mente per il restauro deli’ospedale, fu deliberata dal Comune nel 1456 (Rifor-
manze, 26, c. 8v) e concessa tra l'ottobre e il novembre dello stesso anno (ASM,
Archivio priorale, Liber Expensarum, 171, c. 25 ; « Prioribus fraternitatis s. Marie
de porta, videlicet Stefano Iohannis Montanarii et Andree Boniohannis, ducatos
decem, datos amore Dey per manus Palamedis, olim cultoris, et hoc per
actatura domus hospitalis ». A margine é riportata la somma di 10 ducati
in ragione di 40 bolognini a ducato). Ulteriore elargizione di 3 ducati fu deli-
berata dal Comune in data 4 settembre 1457: «Quod communitas donet
amore Dey fraternitati s. Marie de porta tres ducatos; et ipsa fraternitas
expendat pensionem domus Galluctii in reparatione dicte domus, et hoc ex
dicto et consilio reddito per Franciscum ser Iohannis » (Riformanze, 29, c.
287v). La somma fu versata tra il dicembre di quell’anno e il gennaio suc-
cessivo (Lib. Exp., 171, c. 151v) con la seguente motivazione : « pro subsidio
facto infirmis de anno preterito ». Contemporaneamente la medesima somma
fu versata, con eguale motivazione, alla Fraternita del Buon Gesù. A pro-
posito di quest’ultima elargizione e della petizione da parte della Fraternita
della porta è importante rilevare come, a seguito del riconoscimento giuridico
delle due istituzioni, il comune non solo contribuiva al ripiano dei rispettivi
bilanci, ma sovrintendeva al patrimonio stesso delle istituzioni. Nuova elar-
gizione alla Fraternita della porta, di dieci ducati, fu deliberata il 22 aprile
1459 (Riformanze, 30, c. 83) e l’ultima annotata nelle Riformanze risale al 6
marzo 1468 : « pro solvendo debito facto pro logia hospitalis mercati » (Rifor-
Inanze, 38, cc. 55v-58v).

39) ASM, Camarlinghi (Tesoreria), cod. 653, cc. 1-18 (a. 1473, ss.): «In
questo libro se farrà mentione de tucte robbe comprate alla fiera de Recanati,
meste nella botteca, la quale se fa per lu spedale de sancta Maria ...». Vedi
L. ZDEKAUER, Per una storia della fiera di Recanati (1384-1473), in « Atti e
memorie della regia Deputazione di storia patria per le provincie delle Mar-
che », Serie terza, 11 (1918), pp. 260-265.

81) Riformanze, 30, c. 203v, 14 febbraio 1460. Contemporaneamente al-
l'esenzione dalle gabelle il consiglio stabili « quod uxor que fuit olim Corac-

dl {dl

FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 231

€e, quia se et bona sua donavit dicte fraternitati, removeatur de libro fu-
mantis » La cessione dei beni alla fraternita esentava dunque il donatore,
vita durante, da qualsiasi tassa : un'ulteriore prova del riconoscimento giu-
ridico dell'istituzione da parte del Comune.

35) Riformanze, 44, c. 236, 11 settembre 1485.

33) Ibidem, c. 237, 15 settembre 1485.

84) ASM, Archivio priorale, Fondo Confraternita SS.mo Sacramento, busta
252, perg. 23 :«... fraternitati Corporis Christi de civitate Macerate ac
hospitali s. Marie de porta », 31 luglio 1525. Il GENTILI, op. cit., p. 330, n. 12,
riferisce, senza collocazione e data, il seguente documento da me invano
ricercato : « Arch. Stato, Atto di conversione dei beni della confraternita dei
flagellanti a favore dell’ospedale ».

35) Macerata, Biblioteca comunale, Fondo Compagnoni, Ms. 523, c. 19v.

369) 5 De MInICcIS, Cronache della città di Fermo, Firenze, M. Cellini e C.,
18707 p. 132, n. 4:

87) Macerata, Biblioteca comunale, Fondo Compagnoni, Ms. 537, t. 8,
cc. 20v-22v. Vedi Appendice doc. 1.

38) Singolare l'erezione di un altare in onore di S. Domenico in una chiesa
francescana. Si potrebbe avanzare l'ipotesi di una predicazione tenuta da
domenicani in Macerata (quest'Ordine mendicante eresse in Macerata un
suo convento solo nel 1577, cfr. O. GENTILI, op. cit., pp. 248-49) la quale
potrebbe aver favorito l'erezione della Fraternita di s. Francesco ; ma su ció
mancano documenti.

39) MS. 537; op.: cit, c. 86.

40) Ms. 537, t. 8, op. cit., c. 85: « Petrus Juliani de Macerata . . . reliquit
Ófraternitati sancti Francisci de Macerata decem libras denariorum », 23 di-
cembre 1386 ; c. 98, « Jacobutius Santutii de Macerata... reliquit fraterni-
tati sancti Francisci de Macerata decem libras denariorum », 31 marzo 1387 ;
c. 176, «Domina Bellabruna, uxor quondam Cicchi magistri Francisci de
civitate Macerate... reliquit fraternitati... sancti Francisci de Macerata
... decem solidos denariorum », 8 gennaio 1391.

41) Riformanze, 3, c. 32v.

4) Riformanze, 23 (1445-1447), c. 196. La supplica fu edita da E. BET-
TUCCI, Op. cit., pp. 7-9.

5) Vedi B. FELICIANGELI, Appunti sulla predicazione di S. Bernardino
da Siena nella Marca, Macerata, G. Tano, 1917; D. PACETTI, Cronologia
bernardiniana, in S. Bernardino da Siena, saggie ricerche pubblicati nel
quinto centenario dalla morte (1444-1944), Milano, Vita e pensiero, 1945,
pp. 453 ss.

4) G. CASELLI, Studi su S. Giacomo della Marca, 1, Ascoli Piceno, E.
Tasti De Sanctis, 1926, pp. 48, 249.

45) G. MELANI, S. Bernardino da Siena e il Nome di Gesù, in S. Bernardino,
op. cit., p. 284.

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232 MARIO SENSI

**) Riformanze, 14, c. 134v. Il testo completo della lettera vescovile
non é stato trascritto nelle Riformanze per cui si ignora la data del documento.

4?) Ibidem. i

4) Vedi O. GENTILI, op. cit., p. 63.

4°) Riformanze, 14, c. 202.

5°) Giovanni Vitelleschi, successore di Benedetto fu eletto il 16 aprile
1431, vedi O. GENTILI, op. cit., p. 63.

31) Riformanze, 15, c. 67v.

*) Vedi M. LeopaRDI, Annali di Recanati, op. cit., p. 85.

5) Riformanze, 23 (1445-1447), c. 196.

54) Ibidem, c. 196v.

ss) Riformanze, 22 (1444-1447), cc. 75v-79. Su proposta del consigliere
Jacobus Juliani fu deliberato il 9 luglio 1447 «quod confirmatio predicta
remaneat in dominos priores cum quatuor civibus vocandis et deputandis.
per ipsos et uno ex prioribus dictorum fraternalium ».

55 Riformanze, 22, c. 80v.

5") Riformanze, 24 (1447-48), c. 104v. Ulteriore restauro della cappella
di s. Bernardino, nella chiesa di s. Francesco, questa volta a totale carico
del Comune, si ebbe tra l'aprile e il maggio 1463: « Expense facte in ecclesia
s. Francisci, videlicet sancti Bernardini...», Lib. Exp., 172, c. 64. A circa
dieci anni dall'apertura anche l'ospedale ebbe necessità di restauri : il 27 ot-
tobre 1458 il Comune deliberó dieci ducati «in copis, sive lateribus, vel in
pecunia pro reparatione hospitalis dicte fraternite, Riformanze, 29 (1456-
59), c. 341v. L'anno successivo, il 22 aprile, la somma deliberata non era
stata ancora devoluta, poiché il Consiglio incaricó i priori « quod fraterni-
tati Boni Yhesu dentur .x. ducatos eidem datos pro commune. Et hoc ex
dicto et consilio reddito per Franciscum Benedicti », Riformanze, 30 (1459-
61), c.. 83.

55) « Capitula fraternitatis s. Francisci », Riformanze, 22, c. 75v.

5°) Riformanze, 22, c. 75v. Vedi Appendice doc. rrr.

*») Riformanze, 25 (1450-1452), c. 137.

*) (Anonimo), Convento di s. Francesco in Macerata, inventario compi-
lato nel 1606, in « Picenum Seraphicum », 1917, fasc. 16, p. 384.

**) Solo alla rubrica xx è citato il passo « Deus charitas est et qui manet
in charitate, in Deo manet et Deus in eo », I, Jo. 4, 16.

*) Il prologo presenta analogie con quello degli statuti dei disciplinati
di s. Giacomo in Recanati (C. Dr PiERRO, op. cit., pp. 61-62) ed è ripreso,
quasi alla lettera, dagli statuti della Fraternita di s. Sebastiano, di cui ap-
presso.

$) I defunti dovevano essere accompagnati dalla casa alla chiesa e
quivi i confratelli dovevano recitare, inginocchiati attorno alla bara, pater-
noster e avemarie, mentre la * schola' della fraternita nel frattempo cantava
la laude iacoponica «Como te alegri o homo de altura» (Rub. vi). Altro

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 233

non ci é dato sapere quanto al rapporto tra i nostri disciplinati e la diffusione
della laude.

*) Vedi A. ScARAMUCCIA, Discorso historico sopra l'origine e rovina di
Ricinia e dell'edificazione ed accrescimenti di Monte Cassiano, Loreto, P. e G.
Serafini, 1638, pp. 322-323 ; E. BETTUCCI, op. cit., pp. 14-15 ; M. LEOPARDI,
Annali di Recanati, op. cit., p. 306 ; A. BETTINI, Storia di Recanati, Recanati,
R. Simboli, 1961, p. 117.

**) Riformanze, 24 (1447-48), cc. 57v, 280. Sono menzionati schiavoni
al servizio del Podestà e baiuli comunali.

**) Riformanze, 26 (1453-54), cc. 156v, 192, 193v, 203, 211, 214, 216;
Riformanze, 27 (1454-56), cc. 57, 57v, 102v ; Riformanze, 29 (1456-59), cc.
136, 157, 188v, 193, 196v, 253, 291v, 305. Inoltre Liber Expensarum, 171
(1456), cc. 3v, 8, 9v, 17v, 23, 24.

*5) Riformanze, 29 (1456-59), c. 254: «qui sclavi sunt numero quatra-
ginta et ultra ». A questi dobbiamo aggiungere le rispettive donne, i bam-

bini, nonché gli altri schiavoni « qui introire nolunt ».

* Don Domenico, in qualità di cappellano della comunità compare
più volte nei libri comunali. Lib. exp., 171 (1456), c. 9v : d. Domenico riceve
dal comune dieci soldi « pro collatione facta cum personis in festo S. Marie
de Gratiis de mense Augusti»; per la stessa motivazione uguale oblazione
nel 1457 (Ibidem, c. 106) e nel 1459 (Ibidem, c. 272v). Nel 1457 riceve dal
comune due ducati « pro emptione cappelle ecclesie s. Marie de Misericordia »
(Lib. exp., 171, c. 107v). Nel 1459 riceve dal comune 21 libre di denari e 16
soldi per lo stagno occorso alla fusione della campana della sala comunale
(Ibidem, cc. 220, 228). Nel 1463 riceve 6 bolognini per le spese sostenute
«in festo S. Sebastiani » (Lib. exp., 172, cc. 41, 102). Il 24 aprile 1463 in qua-
lità di cappellano della comunità rivolge al Comune una supplica nella quale
si espone «como questa magnifica comunità ha una cappella in vescovato,
in nella quale ce fe pendere uno bellidissimo crucifixo multo devoto, la quale
capella sta molto in desordene et pertanto pregaria le V.M.S. me la facesse
scalcinare, amactonare con un pocho de cancello denante, el quale fosse con
uno uscio che se podesse inchiavare, tanto che arrecheria una bella devotione
et serria piacere ad tucti li homini de questa ciptà ; considerato che questa
è la cappella de la comunità, lo domanda de gratia speciale, per grande mi-
sericordia Dominidio che reguarde da omni male » (Riformanze, 34, c. 72v).

^") In qualità di arciprete di s. Giorgio ne restaurò il campanile nel 1481
(Riformanze, 41, c. 135).

71) Riformanze, 29, cc. 253, 254.

*) Ibidem, c. 255. Vedi pure E. BeTTUCCI, op. cit., pp. 14-15.

7) Riformanze, 29, c. 339.

^) Situazioni analoghe si verificarono in altri comuni delle Marche.
Vedi ad esempio la Fraternita di s. Pietro Martire in Recanati, costituita
esclusivamente da schiavoni: M. LEopARDI, Annali di Recanati, 1, op. cit.,

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234 MARIO SENSI

pp. 303-306 ; E. BETTINI, Storia di Recanati, op. cit., p. 117; J. A. VoaEL,
De ecclesiis recanatensi et lauretano, eorumque episcopis commentarius histo-
ricus, Recineti, L. Badaloni, 1859, 1, p. 244.

7) Vedi E. BETTUCCI, op. cif., pp. 12-13. Quanto alla devozione di eri-
gere, in un sol giorno, chiese in onore della Vergine della Misericordia « per-
ché il Signore allontani il flagello della peste », vedi G. DE MINICIS, op. cit.,
p. 28 (erezione in Fermo della chiesa della Misericordia nel 1399 e spiegazione
dell’origine della devozione : sarebbe stata importata da alcuni marinai pro-
venienti dall'Oriente). Per il culto alla Vergine della Misericordia a Recanati,
vedi M. LEOPARDI, op. cit., p. 289.

16y - Eb: :ezp;, 171;:c. 107v.

77) Riformanze, 30, c. 320.

' Vedi E. BETTUCCI, op. cit., p. 10.

79) Riformanze, 34, c. 190.

80) Ibidem, c. 192.

81) Riformanze, 35, 6 febbraio 1465, c. 45, inoltre cc. 48v, 49, 50v ; Ri-
formanze, 36, cc. 66 (3 agosto 1465), 69, 209v ; Riformanze, 37, c. 7 (12 no-
vembre 1466).

82) Riformanze, 44, c. 236.

83) Riformanze, 44, c. 237v.

84) Ibidem, cc. 241v.

85) Ibidem, c. 353. La proposta fu approvata con 54 voti favorevoli e
uno contrario (c. 354). Il 6 dicembre 1485 il comune intervenne, con una
severa ammonizione, per porre fine agli illeciti che si erano verificati nel-
lospedale della Fonte. Tra l'altro i gestori dell'ospedale erano accusati di
estorsione «in sepeliendis mortuis » (Riformanze, 44, c. 269v): segno evi-
dente della crisi che investiva dette opere assistenziali.

?) Vedi O. GENTILI, op. cit., p. 136.

?7 Prova evidente del culto fu l'erezione nel 1538 di una fraternita in
suo onore, nella chiesa omonima, attigua a s. Maria della porta, da parte
di alcuni lombardi che esercitavano in Macerata il mestiere di muratori
(Vedi O. GENTILI, op. cit., p. 294). Nell'Archivio di Stato di Macerata,
Archivio notarile (busta 256) esistono molte carte riguardanti la Fraternita
di s. Rocco. Significativa, per conoscere i rapporti tra le fraternite macera-
tesi nel secolo xvi, è la supplica rivolta dai priori della Fraternita di
s. Rocco a Morone Galeazzo, vescovo di Macerata (1573-1613) il 23 aprile
1574: «Dominus Perfrancus Ciccholinus, unus ex confratribus societatis s.
Rocchi, extractus de commissione Ill.mi et R.mi domini Galeotti Moroni
episcopi maceraten. etc.

Che la mente degli antichi della compagnia di san Rocco era de andare
a gli morti ogni volta che lei era chiamata et non altrimente ; et ogni volta
che lei ci andava, ci andava in compagnia della compagnia del Sacratissimo
Corpo di Christo, et non altrimente, la qual compagnia del Corpo di Christo

(dl FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 235

sempre doveva precedere. Quanto poi al cavar li morti di casa et portarli
alla chiesa, toccava alla compagnia del Corpus Domini, eccetto che molte
volte la compagnia del Corpus Domini diceva agli fraternali di san Roccho
che pigliassero loro ancora il cataletto ; cosi in quel caso gli fraternali di san
Rocco pigliavano il cataletto dalla banda di "nanti, se gli piaceva pigliare,
ché quello stava in arbitrio loro di voler pigliare o non pigliare. Quanto a
gl’iscritti, sempre si son dati per honorare il Sacramento, ma quanto a le
‘elemosine la compagnia di san Rocco pigliava o in cera, o in denari quel che
gli se dava; ma quando occorreva morire qualche pover homo mendico di
fuori della città la compagnia di san Rocco ci andava gratis con bona gratia
della compagnia del Corpo di Christo ».

3)
89)«Lib:.exp:;:.172;:c-42;:102;

9°) Vedi O. GENTILI, op. cit., p. 136.

91) Riformanze, 44, c. 288v.

°°) Riformanze, 46, c. 151. Dall'intervento del consigliere Giacomo di
Simone, che tra l'altro propose « quod communitas faciat pingi figura Virgi-
nis Mariae, Sancti Rocchi et Sancti Esebastiani» nella chiesa di s. Maria
della Misericordia, possiamo dedurre che in detta data ancora non era stata
dipinta la prodigiosa immagine della Vergine.

*) Riformanze, 47, cc. 226v-231v. Vedi Appendice doc. rv.

*) E. BETTUCCI, op. cit., pp. 45-46. Sulla chiesa di s. Maria delle Grazie
vedi O. GENTILI, op. cit., pp. 146-148. Già dal 1456 il comune provvedeva
alle spese occorrenti per la festa di s. Maria delle grazie che si celebrava in
agosto. Vedi Lib. exp., 171, c. 9v. «Domino Dominico Pugnecti pro colla-
tione facta cum personis in festo S. Marie de Gratiis de mense augusti, solidos
denariorum .x. », ibidem, c. 106 e 119v per l’anno 1457 e c. 272v per l’anno 1459.

*5 I capitoli dell’Oratorio, che riprendono quasi alla lettera quelli del-
l'Oratorio del Buon Gesù, eretto in Foligno il 19 marzo 1561 da! Ven.le Giovan
Battista Vitelli (Vedi G. CHIARETTI, Di alcune fraternite laicali di disciplinati
dei secoli XVI-XVII regolate dalla spiritualità cappuccina, in « Bollettino
della Deputazione di storia patria per l'Umbria », Lxv (1968), pp. 229-260 ;
M. SENsr, Vitelli Giovanni Battista, servo di Dio, in « Bibliotheca Sanctorum »,
xII, coll. 1240-1242), prevedono la disciplina «per più castigo della carne »
ogni venerdì (rub. vi), nonché le vigilie di s. Nicola da Tolentino (giorno in
cui fu principiato l'oratorio), di s. Carlo Borromeo, di s. Filippo Neri e nel
giorno di Tutti i Santi (in suffragio dei defunti), infine la domenica di carne-
vale e il lunedì e martedì successivi (rub. vii). Gli statuti furono approvati
il 19 giugno 1611 dal vescovo di Macerata Galeazzo Morone e il 15 ottobre
1615 furono confermati dal successore Felice Centini, vedi Capitoli dell’ora-
torio che milita sotto il nome della beatissima Vergine Maria e sotto la protezione
e tutela delli gloriosi S. Carlo, S. Nicola da Tolentino et b. Filippo Neri, Mace-
rata, B. Martellini, G. Arnazzini, 1619.
c. 20v

c. 21v

236 MARIO SENSI

APPENDICE

I

Fraternita di s. Francesco

Macerata, Biblioteca comunale, Fondo Compagnoni, Protocolli di Marino
Brunetti e Andrea « Corradutii », Ms. 537, t. 8, cc. 20-22v, (excerpta).

«Ser Colaus, natus quodam magistri Alberti de civitate Macerate » il
15 giugno 1383, lascia per testamento, fra gli altri: «fraternitati dicte ec-
clesie (s. Francisci) pro missis canendis et alio modo attiore Dei distribuendos.
duos florenos auri. Ad que relicta et legata et infrascripta omnia ad pias.
causas tendentia, solvenda, satisfatienda et adimplenda Georgium Giberti,
ser Nicolam Bartholomey, ser Marinum Soprantii, Petrum Duccioli, Fari-
natam Nicolutii, Jacobum Baroni... priorem fraternitatis predicte, qui tunc-
est et pro tempore erit et quemlibet ipsorum in solidum, ita tamen quod
si aliquis ipsorum moriretur, supervenientes remaneant in plenissima pote--
state et quod possint et debeant substituere alios de dicta fraternitate si
existent, vel alios, si dicta fraternitas contiguerit deguastari et annullari»...
« Voluit et mandavit, ac etiam reliquit isto modo: videlicet quod omnia sua.
bona dispensentur et sint totaliter obligata ; videlicet quod per priorem fra-
ternitatis ecclesie sancti Francisci de dicta civitate Macerate qui tunc esset
et in futurum eligeretur, sive fraternitatem predictam et supradictos suos fi-
deicommissarios erigatur et fiat, in dicta ecclesia sancti Francisci, unum al--
tare cum una cappella sub vocabulo Sancti Dominici. Ad quod altare et in
cappella predicta continuo sit accensa una spera de introitibus fructuum bo-
norum suorum. Que bona, adveniente dicta condictione, per fraternitatem
predictam possideantur et manuteneantur et allocentur ad laboritium et.
pensionem. Et per fratres dicte ecclesie, omni mane, saltim una missa cele-
bretur, et plus, ad sensum et petitionem illorum de fraternitate predicta.
Et hoc pro anima ipsius testatoris, ipsius patris et matris et aliorum suorum.
consanguineorum et debitorum. Ad cuius celebrationem fratres qui erunt
in dicta ecclesia pro tempore teneantur et sint astricti. Et quod dictis fratri--
bus pro eorum necessitatibus omni anno per priorem dicte fraternitatis, sive
per dictam fraternitatem de fructibus dictorum suorum bonorum dentur
omni anno pro victu et adiutorio tunicarum dictorum fratrum decem vel octo
florenos auri, prout introitus censetur (?). Que bona ad solutionem dictorum
fructuum dicte quantitatis tantum et relicti dictis fratribus omni tempore
voluit esse obligata. Ipsaque bona iussit et inhibuit ex tunc vendi et alienari
non posse quoquo modo, sed ad predicta perpetuo obligata. Item voluit,.
iussit ac etiam reliquit fraternitati predicte pro labore ipsorum omnium fra-

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III

FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA

ternitatis predicte qui exequi debent predicta de fructibus dictorum suorum
bonorum omni anno decem libras denariorum proprietate ipsorum bonorum
omnimode ut premictitur reservata. Item in alia manu reliquit ipsi fraterni-
tati pro missis canendis omni anno unum florenum auri. Et si de fructibus
dictorum suorum bonorum, ultra predicta legata, aliquid superesset, voluit
et iussit quod illud quod supererit dispensetur per dictos de fraternitate
predicta et fideicommissarios predictos, videlicet vel quod fiant offitia so-
lepnia quolibet anno in dicta ecclesia s. Francisci pro anima sua, patris et
matris suorum et aliorum consanguineorum et debitorum suorum, vel quod
:ssubveniatur pauperibus Christi in maxima paupertate constitutis, tam in
:ssubveniendo pauperibus mulieribus nubendis et aliter, prout dictis fraterni-
tati/et fideicommissariis videbitur, amore Dei expendi. Non tamen intendens
filios suos gravare, quin non obstantibus substitutis et relictis predictis ven-
ere et alienare possint de bonis suis et hereditare predicta pro necessitate
ipsorum, hoc tamen addito et reservato quod si contignerit supradictum Mac-
thiutium domno Suadente reverti in domo post mortem omnium predicto-
rum suorum filiorum et vellet stare in domo et manutenere bona predicta
quod sit licitum ei bona ipsius testatoris tenere et possidere, dum tamen quod
teneatur una cum dictis fideicommissariis et fraternitate predicta de fructi-
bus dictorum suorum bonorum relicta facta dictis fratiibus facere et adim-
plere et cappellam et altare predictum, ut supra dictum est. Et quod omne
id et totum quod superabit de fructibus predictis et ultra relicta, dictus Mac

thiutius possit et debeat pro se libere retinere. Aliter si dictus Macthiutius

non rediret et predicta non faceret redeundo, voluit et iussit quod predicta
omnia adimplenda remaneant ad dictos de fraternitate predicta et fidei-
«commissarios predictos, ut supra dictum est. Et quod post mortem dicti
Macthiutii, si contignerint verum redeunti et predicta facere, ut dictum est,
voluerit quod predicta omnia legata adimplenda remaneant ad fraternita-
tem et fideicommissarios predictos. Et si contingnerit dictam fraternitatem
deguastari et annullari, quod absit, substituit ad predicta facienda et distri-
buenda fraternitatem sancte Marie de porta de Macerata, cui supradicte
fraternitati s. Marie reliquit pro eorum labore et amore Dei relictum factum
Supradicte fraternitati sancti Francisci quolibet anno. Et hec est ultima sua
voluntas et ultimum testamentum »... « Actum, lectum et scriptum testa-
mentum predictum Macerate, in trasanna ecclesie sancti Francisci de Mace-
rata, iuxta dictam ecclesiam, / reclaustrum ecclesie predicte et alia latera,
presentibus Mactheo Theoli, Vangnarello Pulcis, Sperie Raynaldi, Colao An-
dree, Ciccho Massutii, Jacobo Stephani, Antonio Boniohannis de Macerata
testibus ad hec habitis et vocatis et a dicto testatore rogatis et ser Mariano
Lipputii de Macerata notario una mecum Marino notario infrascripto rogato
Scribere et se subscribere ».

237

c. 29

c. 22v

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238 MARIO SENSI

II

Fraternita di s. Maria della porta

ASM, Riformanze, 29, cc. 234v-235v.

1457, dicembre 27 (publico et generali Consilio).
«... Secundo super confirmatione infrascripte reformationis facte per fra-
ternitam sancte Marie de porta :

In Dei nomine amen. Ad mille quactrocento cinquanta septe, in ne la.
dictione quinta, al tempo del sanctissimo in Christo patre et segnor nostro:

miser Calisto, per la divina providentia papa terzo et a di quactro del mese
de decembre. / Congregati et cohadunati tucti li fraternali de la fraternita de

sancta Maria de la porta de la cictà de Macerata de commandamento et vo-
luntà de li prudenti homini Ambrosio de Alvisio et Macteo de Paulo de Pi-

gnacta, priuri de la dicta fraternita, in ne la chiesia de sancta Maria de la
porta, posta ne la dicta cictà, nel quartero de sancta Maria, iuxta la via del
commune da tre lati et le cose de la dicta chiesia, da l'altro lato, dove simile

congregatiuni se sole fare; ne la quale congregatione li predicti priuri pre-

pusero che piacesse a tucti fraternali starrà ne la dicta congregatione arren-
gare, stantiare et reformare sopra la infrascripta proposita cioé:

Supre la publica et evidente utilità de la dicta fraternita per la conser-

vatione et agumento de la predicta fraternita, perché ha de bisogno de molte
cose utele et necessarie per governare la dicta fraternita.

Ser Cicculino de ser Antonio, uno de li dicti fraternali existente ne la.
dicta congregatione, se levó im pede et invocato el nome de l'altissimo Dio:
et de la sua gloriosa matre Maria sempre Vergene et de tucti sancti et sancte:
de la corte celestiale triumphante conseglando arringó et dixe sopre la dicta
proposita che, acció la dicta fraternita se governe per lu tempo da venire

in bona et tranquilla pace et le cose de la dicta fraternita non vada in disci--

patione, li predicti priuri elegano et eligere debbia dece, overo dudici homini

de ipsa fraternita li quali, una con li priuri serranno per li tempi, habbiano:

arbitrio, potestà, autorità et balia per vedere, deliberare, reformare et exe-
quire sopra la dicta proposita, si como a loro parerà et piacerà. Et quel tanto:
serà deliberato, ordinato, reformato et exequito per loro, sia rato, grato et.
firmo quanto fosse facto, deliberato, ordinato et ne la presente congregatione
fosse sollemnemente ordenato et exequito. Et acció che la dicta reformanza
habbia pina fermezza se debbia fare / registrare ne lo libro de li altri urdini
de epsa fraternita et confirmare per la magnifica communità de Macerata
in ne li consigli oportuni, si che de rasione vaglia et tenga per li tempi da ve-
nire.

In ne la reformatione del dicto ordene et compagnia dé fraternali facto,

FRE VEDER re
ET——————————

FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 239

misso sollemne et diligente partito per li dicti priuri in quisto modo, ciò a
qualunca pare et piace el dicto et consiglo renduto sopra la dicta proposita
per ser Cicculino predicto, sia una parte de li dicti fraternali et sengganose ;
chi volesse el contrario, se leve in piedi. Piaccque a tucti de sedere et nesciuno
se levò in contrario ; et così fo octenuto et pienamente reformato et octenuto ».

r

III

Fraternita del Buon Gesù e di s. Bernardino in s. Francesco

ASM, Riformanze, 22, cc. 75v-78v, 80v.

CAPITULA. FRATERNITATIS SANCTI FRANCISCI

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In nomine sancte et individue Trinitatis : Patris, Filii et Spiritus Sancti,
amen. Ne l'anno del Segnore mille .cccc. xLVII., indictione .x. ; nel tempo
del sanctissimo in Christo patre et segnore dignissimo de Yhesu vicario et de
tucto el populo cristiano optimo pastore miser Nicoló, per la divina Pro-
videntia papa ^) quinto, addi .xxvirm. de aprile. Ad laude, gloria et magnifi-
centia de lu omnipotente Dio el quale continuamente rege et guberna li sui
fideli cristiani et nonne impropera ; dela sua sanctissima matre Maria con
inmaculata virginità reputandose ancilla del Segnore; de tucti sancti che
sonno per martirii, sanctità et honestà adepti et conformi in ne la vita beata ;
singularmente del trinphante cavalero miser San Juliano de l'alma città de
Macerata victorioso confalore^), al quale siano accepti nostri pregi, sì che
per sua oratione abia ad protegere, regere et defendere questa città con tucti
cittadini, darli sapientia ad ordinare et mantenere in bon guberno tucti
habitanti, homini et donne, grandi et piccoli, sani conservandoli, infirmi re-
staurarli et de tucti acti a lo Altissimo opifice presentarli ; del famoso, del
Bon Yhesu trombecta et predicatore, beato Berardino per fama et mira-
culi che Dio dimostra per lui se illumina tucto el mondo ; et de la sacrosanta
matre Ecclesia, fundamento et solida petra de Yhesu el quale dixe a San
Pero: tu es Petre dicto de petra, et Io sopra questa firmaró la mia Ecclesia,
la quale Dio multiplica, augumentando la sua grege, confirmando li iusti,
removendo li infideli de la illicita et heretica pravità, dando consiglio et con-
forto al nostro sanctissimo papa, col sacro sinodo de li reverendissimi cardi-
nali, maxime de miser Dominico, dignissimo cardinale firmano et del sanctis-
simo nostro papa legato a latere ne la provincia de la Marca de Ancona et
de tucti altri officiali d'essa romana Ecclesia.

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a) Segue papa ripetuto e non espunto.
b) Forse per confessore.
240 MARIO SENSI (

Queste sonno ordinatione et capituli facti et ordinati ad laude et honore
de l’altissimo Dio, del Bon Yhesu, el quale se puse in cruce per noi salvare
da la diabolica possanza, consiglio de vectoria incornonato et del glorioso
beato Berardino, per multi et venerabili cittadini de Macerata, con voluntà
et pienera licentia de la supradicta magnifica comunità data et concessa
per loro dispensatione per Credenze et altri consigli ad havere et possere |
qualsevoglia persona de la dicta città per la salute de la sua anima et dé |
soi de quisto mondo passati; considerato el gran beneficio el quale socto
el nome del Bon Yhesu et beato Berardino gl'é concessa con gran devotione
de ció se instituisse, ad ció che ciaschuno in quisto sacro convento et frater- |
nita possa meritare per obedientia, devotione et humilità. |

De confessione et communione (1)

Et primo ordinamo che ciaschuno de la predicta fraternita, como è

iusta cosa secondo l’ordine de la ragione, perché noi siamo intrati in questa

AE compagnia per salvare le nostre anime et per la salute de li nostri passati, |
|| se debia confessare due fiate l’anno / et cusì communicare come è la Nati-
vità del nostro Segnore et la sua Resurrectione. Et chi a questo contrafa-
cesse, siano tenuti li priori de la dicta fraternita ad farli confessare. Et se
alcono fosse in questo rebello, siano tenuti li dicti priori ad farlo arctare et
costrengere ad omne rasione spirituale et civile, addendo sopra ad esso la
pena de dece soldi, con una disciplina.

De ordine orationis (11)

Item statuimo et ordinamo per bona consuetudine che ciaschuno de la
predicta fraternita, como è debito a ciaschuno fidele cristiano, omne di debia |
dire cinque paternoster et avemaria per la salute de l'anime de tucti nostri |
passati et benefacturi morti et vivi et per nostra utilità, ad ciò che el bon
Yhesu ce conserve in bono stato et felicità de l’anima et del corpo. Et questo
volemo totalmente doverse observare perché se noi continuamente fatigamo
| per lu nostro corpo mortale et de breve vita, tanto piü per l'anima. Et ad
|. | | ciò che a quisto capitulo non se falle, commandamo a ciaschuno che per humiltà
In se debia recordare. Et se un di gle scordasse, debia remittere l'altro di se-
I quente, ponendo questo in conscientia de ciaschuno. Et quando passasse |
più dì, se debia inionechiarse, ’nante a li priori de la dicta fraternita, indo- |
mandando perdonanza cò la satisfatione. Et quando alcono fosse protervo |
ad questo fare, ipsi priori gle debiano commandare che se dia una frustata,
persolvendo tucto l’abandonato con una candela de uno quatrino assignando
al cammorlengo de la fraternita.

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( FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 241

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De ordine discipline (111)

Item ordinamo, como fo volontà de tucti de 4) la predicta fraternita,
che omne prima domenica del mese tucti de la dicta fraternita debiano ve-
stirse del sacco et andare processionalmente per la cercha che serrà'ordinata
per li priori de la dicta fraternita et tucte altre domeneche sequente del mese
debiano sequire la cercha senza sacco, o secundo pare a li priori predicti
co' altri fraternali. Et in questa parte volemo che se per impaccio non po-
dessimo frustare per la terra el predicto di, debiamo remettere, si che dodece
volte l'anno ce debiamo frustare. Et quillo che al predicto di del mese, o
domenica non comparesse, remossa licita scusa, sia tenuto ad pagare dui
soldi per utilità de la fraternita, secu[n]do che pare a li dicti priori, et piü
et mino, secundo misericordia.

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De missa dicenda pro salute omnium (tv)

Anche volemo che la prima domenica del mese, non cessando dal bene
operare, et inviolabilmente doverse observare per ciaschuno de la dicta fra-
ternita, che per lu nostro cappellano se dica una messa ne la cappella, o vero
in qualche altare sia più comodità in ne lacchiesia de san Francisco, a la quale
tucti fraternali debiano essere presenti. Et quillo che a questo contrafarrà
sia tenuto de pagare dui soldi, per commandamento d'essi priori, al cammor-
lengo d'essa fraternita, salvo non fosse oppresso per infermità, o vero per piü
di prima fosse andato fora de la città. Et se in alcona cosa fosse obligato per
la quale non se trovasse a la dicta messa et anche non havesse licentia da li
dicti priori de suoi affanni, sì como temerario et presentuoso per superbia
ussito del grado de la humiltà, debiase condennare per li dicti priori in tre
soldi per la prima volta et sequendo per multe volte, debiase punire per di-
scretione de li dicti priori con misericordia, secundo la sua conditione.

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De luminaribus fiendis in festo Corporis Christi (v)

Item ordinamo che ne la festa del sanctissimo Corpo del nostro Segnore
Yhesu benedicto tucti ce debiamo vestire col sacco, nullo excludendo dal
vestire, senca licentia d'essi priori, a la pena / de dui soldi per ciaschuno
che contrafacesse. Et che debiamo portare ciaschuno uno lumeri in mano,
frustando, de più et meno valore, secundo la possibilità de li fraternali, quando
non ce fosse da pagare per la fraternita. Et quillo che a questo non serrà
presente et obediente ad essi priori, gle sia pena dui soldi. Et che, secundo el

a) De interlineato.

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242 MARIO SENSI

tempo, quando se portasse el Yhesu, sempre ce debiano essere dui cerei
accensi.

Item che al tempo de le processioni omne uno de li dicti fraternali ce
debia comparire vestito, a la pena de dui soldi per ciaschuno et ciaschuna
volta.

Item ordinamo che ne le feste sollempne ciaschuno de li dicti fraternali
debia stare a lu officio in ne la nostra ecclesia de san Francisco con devo-
tione. Et in ne la festa de san Francesco et del beato Berardino debiamo
essere tucti vestiti del sacco, secundo che se ordinarà per li priori et consiglio
de la dicta fraternita.

Anche mó volimo che lu Venardi Santo se faccia la processione per la
città, tucti vestiti et frustando ; et che nullo in quillo dì debbia mancare
de stare a la predicatione et a la dicta processione. Et chi a questo serrà fal-
litore gle sia pena cinque soldi et una disciplina, se non ha licentia da li dicti
priori.

De actu pietatis erga defunctos (vi)

Item statuimus et ordinamus como per actu de carità non solo noi,
ma omne fidele cristiano é obligato, secundo l'opera de la misericordia, in
questa parte inviolabilmente da deverse observare per ciaschuno de la fra-
ternita, che qualunqua de la dicta fraternita moresse, che tucti vestiti del
sacco ce debiamo essere ad deverlo honorare et portare, secondo che se com-
mandarà per li priori. Et quando l'averà portato a la chiesia, tucti inionec-
chiati stiano dentorno al lecto mortoro, dicendo paternoster et avemaria
per la sua anima. Et finito che sia lu officio et posto ne la suppoltura, prima ^)
che sia coperto, tucti in terra se debia inionecchiare, cantandose per li can-
turi de la fraternita quella laude : Como te alegri 0°) homo de altura. Et fi-
nito el canto se dia lu incenso et aqua benedicta a la sepultura, a la pena de
dui soldi a chi contrafacesse a questo.

Anche volemo che ciaschuno de la fraternita morendo lasse a la predicta
compagnia quaranta soldi se ha possibilità ; et de ciri similmente quanto
gle sia possibile, almeno uno, ad ció che quilli de la fraternita possa operare
et havere habilità de actendere a li morti. Et quando el moriente fosse po-
vero siano tenuti li priori de adiutarlo in ne la infermità et a la sepultura,
ale expese de la fraternita, vendendo, et alienando de quello gle fosse, con con-
siglio de tucti ^), o maiore parte de li fraternali. Et quando li priori fosse a
questo pigri et negligenti, siano tenuti ad pagare el tucto a loro spese.

a) Segue prima ripetuto ed espunto.
b) O, interlineato.
c) La i finale su rasura.

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 243

De actu pietatis (vir)

Item volimo et ordinamo, perché noi recevemo le elimosine ad laude
de Dio, et cusì per non essere ingrati deverli anche darle secondo la possi-
bilità de la fraternita, che se debia ordinare quatro de la fraternita, et piü
et mino, secundo parerà al consiglio d'essa fraternita, li quali siano solliciti
quando fosse qualche povera persona in ne la infermità, o vero in qualche
necessità, de narrarli a li priori et che gle se subvenga quanto sia possibile.
Et quando a questo fosse pigritia per li sopradicti, o per li priori, sia tenuto
ciaschuno de quisti trasgredienti de pagare quatro soldi per l'amore de Dio,
ne la predicta necessità, a loro spese. /

Anche volimo che se alcona persona povera non se potesse maritare,
essi priori co' l'altri debiano incercare con cittadini et donne quanto gle sia
possibile de adiutarla ad maritare. Et se gle fosse alcuna cosa in ne la frater-
nita, gle se debia compensare, secundo loro conscientia.

De mortuis pauperibus (virI)

Item ordinamo che quando moresse qualche povero al quale non havesse
de sepelirlo, siano tenuti li priori co' la fraternita de providere de candele
et ciri de la fraternita, a la pena de quatro soldi.

Anche volimo in questa parte che quando per morte repentina, o per
altra casione, alcono moresse fora de la città, che Dio ne leve el caso, che se
debia sepellire per la fraternita. Anche volimo che quando infirmasse alcono
de la fraternita, socto pena de obedientia, se debia subito el primo di confes-
sarse, el secundo di pigliare el Sacramento de nostro Segnore Yhesu, ad ció
che esso Yhesu gle piaccia adiutare, et se fosse ad periculo de morte rece-
vere la extrema untione. Et questa cura deve committere li priori, socto
pena de uno ciro de una libra per la fraternita.

Anche in questa parte volimo che morendo alcono de quilli che hanno
iurato a la fraternita del Bon Yhesu, debiano sepellirse col sacco.

Anche mo' ordinamo che nullo sia temerario in questa parte, cioé che
quando se raduna la fraternita o per vestire, o altra cagione, ciaschuno sia
tenuto de andare prima a la cappella del Bon Yhesu et inionecchiato dica,
con reverentia, uno paternoster et avemaria. Et quando se canta laude in
ne la predicta cappella, omne uno de la fraternita stia inionecchiato ; quilli
che ^) seranno a la pene de una frustatura, secundo che pare a la sua coscien-
tia et a li priori.

Anche mo' ordinamo che annuatim se debia fare una carità per la pre-
dicta fraternita, secundo el tempo et possibilità, in ne la festa de la Pente-

a) Manca contrafarranno.

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244 MARIO SENSI

coste, a li poveri de la città de Macerata, ad laude del Bon Yhesu, ad ció
che ello ce conserve et del glorioso beato Berardino, per la salute de l'anima
de tucti nostri passati et per meriti de tucti nostri benefacturi morti et vivi.

Anche volimo che due volte l'anno tucti li dicti fraternali se debia adu-
nare inseme ad fare per carità una consolatione, recreandose como fe' Christo
co li soi sancti discipuli. Et finita la collatione, tucti adunati, debiano andare
ne la cappella et dire tre paternostri et avemaria per li benefacturi. Et questo
se distingua con voluntà de tucti: cioè del tempo quando se deve fare.

De electione priorum (1x)

Item ordinamo che la electione de li priori de la dicta fraternita, si como
fo voluntà de tucti, se debia fare iuridicamente : cioè che se debia imbussu-
lare et mittere dui per volta, secundo che pare al consiglio et a la maior parte
della fraternita. Et imbussulati che serranno, quilli che parerà a li fraternali,
se debia trarre in fine de dui mesi, et che per veruno modo possa essere piü
che per dui mesi. Et omne volta che mitterà et traherà li priori, se debia
ancora trarre el camorlengo. Et quisto ordine volemo totalmente deverse
tenere rato et firmo finché se fornerà la imbussulatione. Et omne uno che
dopo la dicta imbussulatione fosse temeriamente ^) audace in contrario gle
sia pena cinque soldi.

De ratione priorum (x)

Item ordinamo che li priori de la dicta fraternita in fine de lu loro officio
siano tenuti?) rendere rasione de la intrata et l'ossita de loro tempo a tucti
li fraternali, o veramente / a quilli regulaturi che serranno ordinati ; et cusi
el camorlengo. Et quando ad questo se facesse rebellione sia tenuto a la pena
de vinti soldi, et non de mino sia tenuto rendere rasione.

Anche volimo che nel priorato de la dicta fraternita se debia ponere
persone discrete et repusate, si che saccia regere sé et altri, perché molto &
forte de regere altri et maxime quando l'omo non sa regere se medesmo.

De auctoritate priorum (x1)

Item ordinamo che li priori che serranno per li tempi abiano autorità
et licentia et possanza sopra tucti quilli de la dicta fraternita de procedere,
de condannare, punire, mitigare, remittere et pene et penitentie imposte
mandare ad executione. Et se per loro non se possesse exigere, habiano au-
torità de invocare li officiali, secundo le cose condecente.

a) Per femerariamente.
b) I su rasura.

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 245

Quod nullus se intromittat sine licentia (XII)

Item ordinamo et statuimo che nullo de li dicti fraternali, senza licentia
speciale de li priori, se debia impacciare de quelle cose che recercano loro.

Item ordinamo che li dicti priori de la fraternita siano tenuti ad havere
in scripto li commandamenti de la lege et li articuli de la fede. Et quando
alcona volta et festa se readuna, li faccia legere in vulgare, sì che ciaschuno
ne possa havere utilità. Et cusì essi priori siano tenuti de examinare li 4)
intranti ) a la predicta fraternita de la fede catholica. Et quando per loro
non se possesse, debia committere a altri, sì che se observe.

De pace inter confratres (xri)

Item ordinamo che quando fosse alcona discordia fra alcono de la fra-
ternita, li priori siano tenuti de pacificarli. Et quando alcono non volesse

assentire ad fare pace, li dicti priori lu possa arctare et costrengere ad loro
libertà.

De debentibus dare vel recipere (xiv)

Item volemo che quando fosse anche discordia per dare, o vero rece-
vere alcona cosa fra special persone de la fraternita se debia havere recurso
a li predicti priori. Et che essi debia concordare iustamente l'uno co' l'altro.
Et quando per loro non se podesse concordare, de licentia de li priori, se possa
intromittere ne la corte civile et che nulla rasione vaglia a quillo che intrasse
in ne la corte senca licentia de li dicti priori. Et piü siano tenuti ad quella.
pena che vorranno ipsi priori.

Anche volimo che in questo et in omne altro acto, qualunqua fosse con-
trafaciente a la iusta et rasionevole voluntà de li priori, possano li dicti priori
indommandare favore et adiutorio a li officiali de la comunità de Macerata.
Et che li dicti priori possano comandare et arctare in pena pecuniale fine ad
quaranta soldi et non piü. Et se quisto termino trapassasse, siano obligati
ipsi priori ad quella medesima pena.

De sindico fraternitatis (xv)

Item ordinamo che per la dicta fraternita se debia fare et havere uno
sindico, o piü, secondo serrà bisogno, el quale abia ad vendere, alienare,
quietare, refutare, litigare et fare tucti acti, appertenente in civili *) ad essa

a) I su rasura.
b) I su rasura.
c) I su rasura.

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246 MARIO SENSI

fraternita ; el quale sindico sia tenuto de rendere rasione a li fraternali se-
cundo le cose concorrente a l'osita de li priori et de li dicti sindici ; et li dicti
sindici non possa fare cosa alcona senza licentia de li priori. /

Quando non posset haberi tota fraternitas (xvr)

Item volimo che quando fosse necessario et non possendose radunare la
fraternita, se debia ordinare fine ad dece persone, o più o mino, li quali ha-
biano ad consigliare et recordare quello sia da fare.

De auctoritate et potestate priorum (xvi)

Item volimo et ordinamo che li priori de la dicta fraternita possa com-
mandare a omne uno de la fraternita in quelle cose che sia appertenente a la
fraternita, secundo loro officio. Et quando alcono fosse in superbia et insti-
gatione diabolica, li dicti priori lu possa condennare a loro arbitrio. Et in
questa parte volimo che fine a la terza volta li possa arctare in pecunia et
penitentia omne rebelle et non comparente ; et a la terza volta debiano li
priori radunare tucta la compagnia et andare 'nante casa de quil tale rebello
et havere el suo sacco pieno de paglia, et arderlo 'nante l'uscio de lu predicto
non obediente ; et dopo questo scacciarlo via da la compagnia. Et quando li
priori fosse a questo pigri et negligenti siano tenuti pagare libre sei de denari ;
de le quale libre tre sia pertinente a la cammora de la città de Macerata et
libre tre a la utilità de la predicta fraternita.

De sacchis fraternalium (xvii)

Item volimo che li dicti priori siano tenuti ad far fare un sacco a omne
uno de la fraternita che sia possente ; et che omne uno lasse el suo sacco nel
loco deputato et che veruno lu debia levare senza licentia d'essi priori, socto
quella pena che parerà a li priori.

Quod nullus possit ire de una fraternitate ad aliam (xix)

Item statuimo et volimo se debia inviolabilmente observare che nullo
de questa fraternita de Yhesu possa, né debiase commovere da questa fra-
ternita a l'altra ; né da quella ad questa possa venire ; et qualunqua contra-
facesse, sia scacciato et non receptato da alcona de queste fraternite, né
da altre; quando fosse, et sia pena libre dece de denari: la mità dirizando
a la comunità e l'altra parte a essa fraternita da la quale havesse voluntà de
partire.

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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 247

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De hospitali (xx)

Item volimo et ordinamo super omnia, et che inviolabiliter se debia
observare, che quando Dio concedesse gratia de havere lu hospitale per re-
cevere li poveri peregrinanti, siano tenuti li priori de la fraternita de te-
nerce persone che habiano bona et sollicita cura de lu spitale et recevere
con carità li poveri, perché Dio è summa carità et quillo che sta in carità è
appresso a Dio. Et se per pigritia non se tene sollicita cura ordinata per
essi priori, siano socto pena de quatro braccia de panno de lino per ciaschuno,
per la utilità de lu spidale.

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De fratribus infirmis subveniendis (xxr)

Item volimo che quando alcono fratre de l'Ordine de san Francesco
fosse infirmo, siano tenuti li priori de la dicta fraternita, co’ l'altri fraternali,
per carità de visitarli et adiutarli, secundo la possibilità loro et de la frater-
nita.

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De impedimento non dando fraternalibus in actu
cerche et penitentie (xxII)

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Item volimo che quando alcono de la fraternita fosse in actu de cerca
et penitentia dentro in ne la dicta fraternita, o veramente de fora, non gle
sia dato impaccio da alcono de l'arte in ne la quale fusse: perché è maior
merito et salute de frustarse et fare penitentia in ne la religione ne la quale
è intrato, che essere libero ; excepto che ne la festa de San Juliano ciaschuno
é tenuto a la compagnia sua de l'arte.

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De nova imbussulatione priorum (xxiii)

Item volimo et ordinamo che quilli priori che serranno al tempo che se
fornerà la imbussulatione del priorato de la dicta fraternita debiano essi co’
l'altri principiare ad / imbussulare per l'altro tempo che deve sequire, con
consiglio de l'altri. Et quando li dicti priori a questo fusse negligenti, gle sia
pena dece libre per ciaschuno. Et che non se pretermitta che de la pena pre-
dicta non faccia la dicta imbussulatione.

Remictuntur hic infrascripta duo capitula
ultima (xxiv) ^)

Et quisti et tucti altri capituli soprascripti volimo per ciaschuno de la
fraternita del Bon Yhesu deverse inviolabiliter observare. Et quando alcono

a) L'intera intitulatio è posta a margine.
c. 80v

248 MARIO SENSI

fosse rebelle a quisti li priori possano corrigere et punire. Et quando essi
non possesseno, habiano recurso a li officiali de la città de Macerata. Et qua-
lunqua officiale serrà chiamato in favore et rasione de ipsi priori, siano te-
nuti ad dargle adiutorio, socto pena de dece libre perveniente a la cammora
del communo. d

(xxv)

Item ordinamo per una voluntà de tucti quilli che hanno sacramentato
ne la compagnia del Bon Yhesu, et maxime de li priori de la fraternita, sta-
tuendo et ordinando quisto capitulo inviolabilmente deverse essere obser-
vato per ciaschuno : cioé che de nullo de la sopradicta fraternita sia audace,
né stulto ad devere presumere de iurare, né biastimare lu sanctissimo nome
de Dio, né per mebra, né altre cose non pertinente ad ipso honore; né de
Yhesu, né de la gloriosa Vergine Maria, né altro sancto, né sancta : perché
se scrive ne li commandamenti che omne creatura debia laudare et honorare
Dio et cultivare el suo nome sanctissimo. Et chi ad questo contrafarrà vo-
lemo che sia pena .x. soldi per volta et che debia stare per commandamento
de li priori ad tucta una messa inchionochiato et vestito co lu saccho, sem-
pre frustandose et dicendo paternoster et avemaria. Et de questa penitentia,
piü et meno, secundo la possibilità del peccatore, con voluntà de li priori,
non pretermittendo la pena pecuniale. Non volemo inperció per quisto ca-
pitulo derogare a li statuti o capituli et ordinamenti de la città de Macerata,
uve se impune la pena a quilli che iurano, o biastimma contro Dio, o li sancti.
Et volimo che se debia ordinare quatro guardiani privati li quali siano te-
nuti, quando se aduna la fraternita, de accusare a essi priori secretamente
ciaschuno de la dicta fraternita che contrafarrà. Et se nullo sentesse biasti-
mare, l'altro sia tenuto de dirlo a li priori, socto quella pena, guardando
sempre che non sia per odio del proximo.

Confirmatio capitulorum fraternitatis
ecclesie sancti Francisci ^)

Die decima mense iulii 1447.

Convenientes ad invicem prefati domini priores in sala palatii communis
eorum solite residentie, una cum Manente Guiglelmi, ser Nicolao Dominici,
Bartolomeo ser Cole, ser Juliano ser Laurentii et magistro Pero Petri male-
scalco, uno ex prioribus fraternitatis ecclesie sancti Francisci de dicta civi-
tate, et actendentes circa remissionem factam inter ipsos per consilium
generale dicte civitatis super capitulis et ordinamentis factis per fraterni-
tatem ecclesie sancti Francisci de dicta civitate et maxime super ipsorum

a) L'intitulatio è posta a margine.

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(hi FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 249

confirmationem, ut supra patet; habito inter eos maturo colloquio ; Christi,
eiusque dulcissime matris Virginis Marie et beatissimi confeoris sancti
Juliani capitis, ducis, protectoris et defensoris civitatis Macerate, beati Be-
rardini, Yhesu olim famosissimi preconis, totiusque celestis curie nominibus
invocatis ; vigore dicte remissionis in eos facte et omni modo, via, iure, for-
ma et causa quibus magis, ac melius potuerunt capitula, ordinàmenta et
decreta facta per fraternitatem ecclesie sancti Francisci de dicta civitate,
quorum capitulorum et ordinamentorum continentia supra continentur sub
.M. CCCC. XLVII., indictione .x., dieque .xxvinr., mensis iulii ; que capitula,
ordinamenta et decreta per dictos dominos priores et cives fuerunt diligenter
visa, lecta et examinata; in qualibet eorum parte sanxerunt, firmaverunt,
emologaverunt et approbaverunt, prout superius scripta sunt, non tamen
derogando, nec preiudicando aliis ordinamentis et capitulis collegii advoca-
torum, notariorum, mercatorum et aliorum artistarum dicte civitatis Mace-
rate, quibus per confirmationem predictam nullo modo derogetur, nec eis
modo aliquo preiudicetur ».

IV

Fraternita di s. Sebastiano o degli Schiavoni

ASM, Riformanze, 47, cc. 226v-231v.

(Die prima septembris 1493, Consilio credentie . . .).

Confirmatio capitulorum fraternitatis et sotietatis sclavorum nuper erecte
sub vocabulo sancti Sebastiani

Item in dicto consilio victum et obtemptum fuit per fabas albas del
sic .22., non obstantibus duabus fabis nigris del non in contrarium repertis,
quod capitula et ordinamenta infradescripta fraternitatis, sive sotietatis scla-
vorum, habitantium et civium Macerate, nuper erecte et facte sub vocabulo
divi Sebastiani, qui eius clementia intercedat apud Dominum nostrum Yhe-
sum Christum pro cuncto populo maceratense ut eum custodiat et preservet
a pestis epidemie et ab omnibus egritudinibus etc.; auctoritate presentis
numeri, virtute remissionis et potestatis supra date a consilio generali, cele-
brato die octava proximi preteriti mensis augusti, confirmentur, roborentur
et approbentur et pro confirmatis, roboratis et approbatis in omnibus et
per omnia in unaquaque parte ipsorum habeantur, exceptum quod penas
blasfemie ultra contentas in dictis capitulis et ordinamentis contrafacientes
de dicta fraternitate et sotietate teneantur et obligati sint solvere comuni-

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250 MARIO SENSI

tati civitatis Macerate, secundum formam statutorum et reformationum dicte
civitatis factarum et fiendarum, ex dicto eiusdem ^) Iohanbaptiste con-
sultoris.

Quorum quidem capitulorum et ordinamentorum talis est tenor, vide-

licet :

In nomine sancte et individue Trinitatis : Patris et Filii et Spiritus Sancti,
amen. Nell'anno del Segnore .M. cccc. xciri., indictione undecima ; nel tem-
po del sanctissimo in Christo patre et segnore dignissimo de Christo vicario
et de tucto'] popolo christiano optimo pastore meser / Alexandro per la di-
vina providentia papa sexto ; adi cinqui de iugno. Ad laude, gloria et magni-
ficentia dellu omnipotente Dio, el quale continuamente rege et guberna li
soi fedeli christiani, et etiam al nomo della sua sanctissima matre Maria
sempre vergene et delli principi de li Apostoli, meser San Pero et meser
San Paulo et del gloriosissimo sanctu meser sancto Sebastiano et del victu-
rioso sanctu et cavaleri meser San Juliano, de la magnifica ciptà de Macerata
triunphante confaloneri, et de tucta la triunphante corte celestiale devotis-
simamente pregamo et supplicamo li siano accepte li nostri preghi et pie
orationi, si che la inmenza clementia et infinitissima misericordia de ipso
Dio se digne regere, gubernare et defendere questa magnifica ciptà et tucti
habitaturi de epsai: homini et dompne, grandi et piccoli conservandoli in
sanità, removendo et descacciando da loro tucte infirmità et periculi et ma-
xime che per intercessione del gloriosissimo sanctu, meser Sanctu Sebastiano,
in cui nome et laude se fa principio de questa devotissima compagnia, se
digne defendere et gubernare questa magnifica ciptà et tucti habitaturi de
epsa da peste et omne altra contagiosa infirmità et da tucti mali et gravosi
periculi. Et che a la nostra fine rendiamo le nostre anime al nostro Redem-
ptore, al cui effectu da ipso omnipotente Dio fommo creati, amen.

Queste sonno ordinationi et capituli facti et ordinati ad laude et honore
de lu altissimo Dio et del Bon Jesu, quale se puse in croce per nui salvare
dalla diabolica possanza et del gloriosissimo capitanio et cavaleri de Jesu
Christo, meser Sancto Sebastiano, per certi spectabili schiavoni ciptadini
et habitaturi de questa magnifica ciptà et alcuni curiali, con voluntà et bona
I licentia della supradicta magnifica comunità, como in fine de quisti capituli
| | | apparerà, per salute de le loro anime, et ad ció ipso omnipotente Dio per
| intercessione della sua gloriosa matre et delli gloriosi sancti meser Sanctu
Sebastiano et meser San Juliano et de tucta la sua triunphante corte defenda
la dicta compagnia et tucto '1 populo de questa magnifica ciptà et tucto lu po-
| pulo christiano da peste et da omne contagiosa infirmità, conservandoli in

sanità, pace, habundantia, quete et unione et carità.

a) Segue ser, espunto.
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FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 251
(1)

In prima statuimo et ordinamo per bona consuetudine che ciascheuno
della predicta fraternita, como è debito ad ciascheuno fidele christiano, omne
dì debia dire cinque paternostri et avemarie per le salute delle anime de
tucti nostri passati et benefactori morti et vivi et per nostra utilità, ad ciò
ipso Dio ce conserve in bono statu et con felicità delle anime et delli corpi.

Capitulum confessionis (ir)

Item ordinamo che ciascheuno della predicta fraternita, como è iusta
cosa secundo l'ordine della Chiesa sancta per la salute delle nostre anime et
per salute de li nostri passati, se debia confessare doi fiate l'anno : la festività
de la Natività de / nostro Segnore Yhesu Christo et la Septimana Sancta,
socto pena de quaranta soldi per qualunqua contrafarrà.

De missa dicenda (111)

Item ordinamo che tucte le prime domeniche delli misi per lu cappel-
lano della dicta fraternita se debbia far celebrare la sancta messa nella chiesia
de sancto Augustino, ad la quale tucti fraternali deggano stare presenti de-
votissimamente. Et quilli che non ce starranno et non haveranno legitima |
scusa de absentia fore de la ciptà, o vero per admalatia, sia tenuto et obli- |
gatu pagare dui soldi de facto al camorlingho de epsa fraternita, o vero a li
priori.

De luminariis fiendis (1v)

Item ordinamo che la festività del sacratissimo Corpu de Christo bene-
dictu tucti quilli della fraternita, nullo excluso, salvo quilli havessero licen-
tia dal priore, se debbiano vestire li sacchi et debbiano andare devotissima-
mente in processione et tucti portare lu lume in mano, de una falcula, se-
cundo la loro possibilità ; et quilli non potessero comprarla, se debbia pro-
vedere per la compagnia. Et quilli fossero apti ad darse la disciplina et fru-
starse, con devotione lo debbia fare. Et qualunqua de dicti fraternali fossero
negligenti et inobbedienti ad la observantia del dicto capitulo, ipso facto
cada in pena de doi soldi per uno, da pagarse ad li priori, o camorlingho.

De processionibus assistendis (v)

Item che ^) ad tempo delle processiuni tucti li dicti fraternali ce / deb-
biano comparire vestiti colli loro sacchi et adcompagnare devotissimamente

a) Che, interlineato.
252 MARIO SENSI

le sancte processioni. Et qualunqua non ce intervenerà et non haverà licita
scusa, ipso facto cada in pena de doi soldi per ciaschuna fiata da pagarse
como de sopra.

Delle messe da dirse in le feste sollempne (vi)

Item ordinamo che ciascheuno delli dicti fraternali debbiano andare
alla messa in tucte feste sollempne, cioè quando per li priori della fraternita
serrà ordinato se dica ; et etiam in di della festività de Sancto Sebastiano
in la dicta chiesa de sanctu Augustino. Et tucti con devotione stare ad la
dicta messa et devotissimamente dire le soi orationi ad la pena de doi soldi
per fiata.

De assistentia Veneris Sancti (vir)

Item ordinamo che tucti della decta fraternita debbiano lu Venardi
Sanctu andare vestiti in processione et che nullo in quillo di debbia mancare
et tucti quilli sonno acti se debbiano frustare et poi debbiano stare ad la
predica et ad lu officio. Et se alcuno manchasse et non haverà licita scusa

‘ cada in pena, ipso factu, de cinque soldi da pagarse como desuper.

De actu pietatis erga defunctos (vIII)

Item ordinamo, et che inviolabilmente se debbia observare, como tucti
fideli christiani siano obligati per actu de pietà et de misericordia, che qua-
lunqua de la dicta fraternita moresse, o vero de le loro famiglie, o ad qua-
lunqua altro fosse commandato per li priori della dicta fraternita, che tucti
de la dicta compagnia ce debbia intervenire vestiti / con li sacchi et hono-
rarli ; et quilli serrà commandato per li priuri ^) lo debbiano portare et poi
l'averà portato a la chiesia, tucti debbiano stare ingenocchiati denturno ad
lu lecto mortoro, dicendo paternoster et avemaria per le anime loro, ad la
pena de deci soldi per qualunqua contrafarrà, da pagarse de factu como de
sopra.

De relictis fiendis fraternitati (1x)

Item ordinamo che quilli della fraternita venendo ad morte, ciascheuno
debbia lassare qualche cosa ad la dicta fraternita, secondo la loro possibilità.
Et quando fossero poveri che non se potessoro adiutare, li priuri de dicta
fraternita serranno per li tempi ce debbiano provedere et adiutarli et sove-
nirli de quillo della fraternita. Et quando dicti priori fossero negligenti ca-

a) Segue g espunto.

lazione Pe AITINA A I n REI ia FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 253

dano in pena de vinti soldi per ciascheuna fiata et poi se debbia provedere
per la compagnia.

De pacibus fiendis (x)

Item ordinamo che li priuri della dicta fraternita serranno per li tempi
debbiano con diligentia cercare se fosse alcuno malvolere, odio et inimicitia
fra quilli della fraternita, o vero che non se parlassero. Et che ipsi priori li
possa conmandare et imponere pene fino ad la summa de vinti soldi. Et se
fossero renitenti ad non volere pacificarse, li possa privare et cacciare della
dicta conpagnia. Et tucti priuri serranno per li tempi et subito li serrà adno-
titia de dicte / malivolentie o vero inimicitie et odii et serranno tardi et ne-
gligenti ad farli pacificare, ipso facto, cadano in pena de quaranta soldi.

De consolatione fienda semel in anno (x1)

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Item ordinamo che adminus una volta l'anno tucti dicti fraternali se
debbia adunare inseme ad fare per carità una consolatione et recrearse in-
seme, como fece Yhesu Christo con li soi discipuli ; et finita dicta consula-
tione tucti asseme debbiano andare in la cappella de sanctu Sebastiano et
dire tre paternostri et tre avemarie per tucti li benefactori. Et questa se-
cundo lu tempo serrà ordinato per la dicta conpagnia.

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De electione priorum (xir)

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Item ordinamo che li priori della dicta fraternita se debbia farre iuri-
dicamente, cioè che se debbia imbussulare tucti quilli che parerà al consiglio
della compagnia et imbussulati che serranno se debbia cavare de doi misi
in dui misi adeo che non possa essere più de dui misi. Et similmente se deb-
bia imbussulare et cavare lu camorlingo. Et quisto ordine volimo se debbia
observare et qualunqua volesse contradire, cada in pena de deci soldi.

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De ratione priorum (xriir)

Item ordinamo che li priuri de la dicta fraternita et lu camorlingo in
fine de lu loro officio siano tenuti rendere rasione della intrata et ussita del
tempo loro a quilli che serranno ordinati ; et quando recusassero de rendere
rasione, cadano in pena de vinti soldi, et omnino siano tenuti rendere ra-
sione.

De auctoritate priorum (xiv)

Item ordinamo che nel priorato de dicta fraternita se debbia mectere
persone discrete et repusate et habbiano auctorità, licentia et possanza sopra
254 MARIO SENSI

tucti quilli della dicta fraternita conmandare, inponere pene, procedere,
condampnare, mitigare et remectere pene et penitentie imposte per loro.
Et se per loro non se posesse exigere, habbiano autorità invocare lu adiuto:
delli offitiali de la ciptà, secundo le cose occorressero ?).

Delli conmandamenti da dichiararse
a li fraternali (xv)

Item ordinamo che li priori serranno per li tempi in dicta fraternita deb-
biano havere inscriptis li conmandamenti della lege et li articuli della fede ;
et tucte feste che se adunarà dicta fraternita li faccia legere vulgare ché l'in-
tenda tucta la compagnia, acciò che tucti ne piglia utilità et sappia quale è:
la nostra sancta fede captolica. Et che nullo de li dicti fraternali se debbia.
inpacciare in cose non aptremente ^) ad loro senza licentia de dicti priori.

De debentibus dare et recipere (xvi)

Item ordinamo che quando fosse alcuna discordia fra quilli della fra-
ternita per dovere dare, o vero rezevere alcuna cosa, che se debbia havere:
ricorso dinanti ad li priori della fraternita et che ipsi priori li debbiano con-
cordare iustamente l'uno con l'altro ; et habbiano auctorità conmandarli et.
inponere pene sino a la quantità de quaranta soldi et non pió. Et quando li
priori predicti non possessero concordarli de loro licentia, et non altramente,.
possano andare denanti ad la corte et domandare civiliter. Et qualunqua.
ad questo contrafarrà, cada in pena de vinti soldi ipso facto. /

De scindico fraternitatis (xvii)

Item ordinamo per la dicta fraternita se debbia fare uno scindico el
quale habbia ad vendere, alienare, recevere et quietare li beni della frater-
nita ; litigare et fare tucti atti quali se recercha a li bisogni della fraternita,
el quale sia tenuto rendere rasione ad li fraternali de dui misi in dui misi,.
quando se rende rasione per li priori de tucte cose che per lui serrà admini--
strate.

Delli sacchi delli fraternali (xvii)

Item ordinamo che li dicti priori siano tenuti ad far fare uno sacco ad.
omne uno della dicta fraternita che sonno potenti ad farlu ; et che tucti lasse:

a) Occorressero, su rasura.
b) Aptremente, per appartenenti.

TI FRATERNITE DI DISCIPLINATI A MACERATA 255

lu lor saccu in lu loco deputato, et che nullu lu debbiano levare, senza li-
centia delli dicti priori, subcto quella pena parerà ad ipsi priori.

Che nisiuno vada ad altra fraternita (xix)

Item ordinamo et volimo che nullo de la dicta fraternita et compagnia
de sanctu Sebastiano possa, né debbia partirse da questa fraternita et andare
ad un'altra, socto pena de dece libre, per la mità da applicarse ad la comunità
‘et l'altra mità ad epsa fraternita. Et se alcuno se partesse da altra fraternita
per venire in questa, li priori serranno per li tempi non li debbia receptare,
ymmo li debbia descacciare, socto dicta pena, excepto non se facesse de vo-
luntà de dicte compagnie.

De fratribus subveniendis (xx)

Item ordinamo che quando alcuno fratre del conventu de sanctu Augu-
:‘stino stesse admalato et infirmo li priori de la dicta fraternita, con li altri
fraternali, per carità debbiano visitarli et aiutarli ^) secundo la loro possi-
bilità. /

De imbussulatione priorum (xxr)

Item ordinamo che li ultimi priuri serranno cavati della bussula deb-
biano, ipsi con li altri, fare la nova inbussulatione per li altri tempi che se-
guitano. Et quando dicti priori fossero nigligenti farlo, cadano in pena de
cinquanta soldi.

(XXII)

Item ordinamo, et che inviolabiliter se debbia observare, che tucti quilli
quali hanno iurato et iuraranno ad la dicta fraternita debbiano sempre lau-
dare la infinita misericordia de Dio, la gloriosa Maria sempre Vergene et tucti
li sancti et sancte de la corte del celu. Et per nisiuno modo non habbiano
ardire, né presummano iurarli, né biastimarli, né altramente nominare le
membra de Dio, o vero de li altri sancti. Et chi ad questo contrafarrà, volimo
ssia pena dece soldi per ciascheuna volta. Et se li priori li vorrà inponere
altra penitentia, o vero dissiplina debbia farla et sopportarla.

Et quisti capituli tucti soprascripti volimo per ciascheuno della frater-
nita de sanctu Sebastiano deverse inviolabelmente observare. Et quando
alcuni fossero rebelli in la observantia, li priuri della dicta fraternita possano
quilli correggere et punire ; et quando ipsi non possessero, habbiano ricurso

a) Et aiutarli, a margine.

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ad li offitiali della ciptà de Macerata ; et tucti offitiali siano tenuti darli adiuto
et favore, subcto pena de dece libre perveniente a la cammera del comuno.

(XXIII)

Item ordinamo oltra ad li altri capituli soprascripti che tucti / denari
et altre robbe mobele : grano et vino che per qualunqua modo et via perve-
nesse ad la dicta fraternita, quelle se possano mectere in cassa, se ce debbia
mectere et farce dui chiavi, de le quale una ne debbia tenere lu camorlingo
et l'altra li priori della fraternita, o vero lu scrivano ; et grani, vini et olei
tenerli in locu commodu et siano sotto podestà delli supradicti ; et se per
alcuno se retenesse denari in mano, o altre robbe et non li mectesse in Cassa,
o vero como è dicto de sopra et passa doi dì, o vero più, cada in pena de deci
libre de facto da pagarse. Et se li priuri serranno per li tempi serranno negli-
genti et cum effectu non li farranno pagare, ipsi cadano in quella medesema
pena. Et de dicte entrate et etiam delle oscite, tucti camorlinghi debbiano:
fare el suo bastardello, o vero libro ; et l'altru se debbia fare per manu dellu
scrivano della fraternita, ad ció che le intrate haverà siano secure et non.
vadano in mala parte. Et qualunqua serrà renitente et non vorrà observare,.
ipso factu cada in pena de quaranta soldi da pagarse de factu ; et niente de

mino pure debbia questo observare, alias sia privatu dellu offitio oltra ad.
la pena pagarà ». INDICE DET'"VOIUME

Memorie

Rino FRUTTINI, Le «comunanze » nel quadro della finanza del
Comune di Perugia nel primo trentennio del sec. XV .
FioRELLA BaRTOCCINI, L'Umbria nella questione romana

Note e documenti

MaRIO MELELLI, Aldo Capitini

Recensioni

De Luca pon GiusepPE, Il cardinale Bonaventura Cerretti.
Seconda ed. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1971
(Gioyanni: Cecchini)...

MARCELLA. GATTI, Le Carceri di San Francesco del Subasio. A cura
del Lions Club di Assisi, 1969 (Giovanni Cecchini)

Necrologi

ANTONIO Mizi, Angelo Biagetti
Crispino FERRI, Antonio Muzi
Nora FEDERICI, Luigi Bellini

Atti della Deputazione

Adunanza del Consiglio Direttivo del 17 aprile 1971 .

Assemblea dei Soci Ordinari del 18 aprile 1971 .

Adunanza del Consiglio Direttivo del 12 luglio 1971 .

Premio « A. Bertini Calosso » 1970: Relazione della Commis-
sione Giudicatrice

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INDICE DEL VOLUME

258

CENTRO DI DOGUMENTAZIONE
SUL MOVIMENTO DEI DISCIPLINATI

Mario SENSI, Fraternite di Disciplinati a Macerata nei secoli

XIV-XV

Pror. GIOVANNI CECCHINI - Direttore responsabile
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